Ci sono film entrati di diritto a far parte della storia del cinema italico, vuoi per la splendida regia, per le palpitanti interpretazioni di attori o attrici o per la magica e avvolgente colonna sonora. Ma c’è ne uno, girato cinquant’anni fa, per la regia di Sergio Martino, che vince la palma per il titolo più simpatico e indovinato: Giovannona coscialunga, disonorata con onore.
Sin dalle prime battute, un allegro commento musicale, accompagnato dal suono di uno scacciapensieri, ci informa che la vicenda é ambientata in Sicilia. Un solerte pretore scopre, per caso, che la fabbrica di formaggi, di proprietà del commendator La Noce (Gigi Ballista), un industrialotto del Nord, inquina un fiume. Per non finire sotto inchiesta, l’imprenditore decide di andare alla ricerca di una protezione politica e, su suggerimento del monsignore locale, individua nell’onorevole Pedicò (Vittorio Caprioli), il potente di turno da corrompere. Albertini (Pippo Franco), fido ragioniere del commendatore, scoperto che l’onorevole Pedicò ha un debole per le moglie degli altri, contatta Cocò (Edwige Fenech), prosperosa prostituta e la fa passare per la moglie del commendatore. Si ritroveranno tutti insieme “casualmente, su un treno e, naturalmente, alla vista della provocante Cocò, l’onorevole Pedicò strabuzzerà gli occhi e proverà, invano, a sedurla. Giunti alla stazione di Roccapizzo, l’onorevole invita Cocò e il commendatore a casa sua mentre Albertini, spedito a Roma, trova ad attenderlo Robertuzzo (Riccardo Garrone), il protettore di Cocò che, fiutato l’affare, va a casa della moglie di La Noce (Danika La Loggia) e spiffera tutto. La donna, ferita nell’orgoglio, decisa a sbugiardare il marito, parte con lui per la Sicilia e…
Un film, diventato oggetto di culto, il cui titolo iniziale era Un grosso affare per un piccolo industriale, fu uno dei primi a dare il via al successo della cosiddetta “commedia sexy all’italiana”. A ben vedere, la Fenech si spoglia di sfuggita solo in un paio di scene e il regista, più che mostrarla come un sensuale oggetto di desiderio, le cuce addosso il divertente personaggio di Cocò, una burina svampita e un’ tonta che s’innamora perdutamente dello sventurato Albertini.
Più che sulla giunonica bellezza della Fenech, già interprete, assieme a Pippo Franco, l’anno precedente de Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda, tutta calda, diretta da Mariano Laurenti, il segreto del successo del film è legato a una girandola di equivoci.
Martino impreziosisce la narrazione di una serie di divertenti trovate; Albertini è balbuziente e Cocò, (doppiata da Rita Savagnone), si esprime solo in dialetto ciociaro. Non pago punta su delle stereotipate, ma indovinate caratterizzazioni: Eufemia (Adriana Facchetti) é la segretaria “racchia” e assatanata dell’onorevole; Mary Pecicò (Francesca Romana Coluzzi), la moglie timorata, sul punto di cedere alla corte del commendatore; Armando Bandini, l’omosessuale che Pedicò, palpeggia, per errore. al buio nel vagone del treno credendolo Cocò.
Al fianco della Fenech un Pippo Franco, in gran spolvero, che ha raccontato questo aneddoto, che ho riportato nel mio volume “Il cinema visto dal buco della serratura”, in corso di stampa:
“Lavoravo nel cabaret e facevamo tardi e si finiva magari verso le due di notte e prima delle quattro non riuscivi a dormire. Il cinema vive, viceversa, di orari diversi. A volte ti devi presentare alle sei di mattina per il trucco. Quella mattina stavamo girando una scena di Giovannona coscialunga disonorata con onore, io e Edwige che era su un treno, stavamo su una cuccetta e io stavo sopra di lei e lei aveva il seno scoperto. Il direttore della fotografia ci disse: “Poiché adesso facciamo dei primi piani vostri, dobbiamo cambiare le luci, però per piacere, non vi muovete.” Allora per cambiare le luci, ci voleva magari una mezzoretta. Io sono rimasto fermo là e senza accorgermene, sentendo questo caldo che era sotto di me, mi sono addormentato sul seno della Fenech. Lei non mi ha detto nulla, perché era molto delicata, molto carina. Poi io ho fatto un piccolo rumore, mi sono svegliato, mi sono reso contro dell’accaduto e le ho detto: “Scusami, sai io faccio tardi la notte” e lei mi ha detto: “Ma non ti preoccupare che noi dobbiamo fare queste buffonate.”
Bravissimo anche Vittorio Caprioli, elegante e impomatato, perfetto nei panni dell’onorevole che corre dietro ogni gonnella. Una farsa gradevole che mette alla berlina preti, monsignori, onorevoli e commendatori e che, a distanza di cinquant’anni, senza mai scivolare nel volgare o nel pruriginoso, mantiene ancora intatta la sua verve. Non a caso è uno dei film preferiti di Quentin Tarantino ed é citato ne Il secondo tragico Fantozzi, nella scena della ribellione degli impiegati, costretti a vedere e rivedere da Guidobaldo Maria Riccardelli, l’odiato capoufficio, appassionato cinefilo all’infinito La corazzata Potemkin. Tante le battute esilaranti: su tutte quella di Albertini che, dopo aver stretto il patto con Cocò, le dice: “Le cose rimangano tra noi, Come dicono i francesi, entraineuse.”