All’Umbria Film Festival 2023 una delle ospiti più attese è stata Sepideh Farsi, regista iraniana del film d’animazione La sirène. Una grande accoglienza per lei e per il film che si è anche portata a casa il premio come miglior film della XXVII edizione del festival umbro.
Dopo la presentazione nella sezione Panorama del Festival di Berlino il film è arrivato anche in Italia per raccontare una sua visione della guerra Iran-Iraq.
Proprio in occasione della prima nazionale de La sirène in quel di Montone, abbiamo fatto alcune domande a Sepideh Farsi, dal film alla situazione iraniana attuale.
Sepideh Farsi e il suo La sirène
La sirène è un film d’animazione. Quanto ti ha aiutato questa tipologia di racconto a parlare della guerra a un pubblico sia giovane che adulto? Come ha aiutato a diffondere questa storia?
La sirène è incentrata sul tema della guerra che a volte è difficile da vedere direttamente, ma si vede meglio dalla distanza. È come un prisma che ti dà la giusta distanza e permette di indirizzare un grande numero di pubblico.
In questo caso si può dire che La sirène non è esattamente un film per bambini, ma più per giovani, grazie all’animazione.
Per realizzarlo ho fatto ricerche storiche precise e l’animazione mi ha permesso di dare dettagli precisi sull’Iran e su quel periodo (il film è ambientato nel 1980). Ci sono due muri che coabitano e coesistono e questi aspetti sono difficili da ricostruire con le tecniche legate ai film in live action. L’animazione, invece, ti dà modo di fare queste cose in maniera magica. Ed ecco perché è il giusto mezzo per raccontare questo.
Musica e colori
L’animazione aiuta anche a livello di colori. Per esempio ne La sirène sembra che il colore sia più spento rispetto ai classici colori accesi tipici dell’animazione. Più precisamente all’inizio, nella prima sequenza, è più acceso, così come sul finire e in alcuni momenti precisi del film. C’è un significato particolare?
Certo. È una scelta precisa che ho fatto. Ho chiesto a chi si è occupato della grafica e ha disegnato il film di ridurre la palette per dare indirettamente il senso di costrizione al pubblico, ma senza esagerare. Abbiamo escluso alcuni colori.
L’inizio del film è più colorato, così come anche alla fine c’è un’esplosione di colore, perché andiamo verso una liberazione, una speranza, un’apertura. Stessa cosa nelle sequenze di sogno dove abbiamo più colori. L’idea era quella di parlare tramite le immagini, senza spiegare o essere didattici.
Poi abbiamo lavorato con altri livelli di animazione per cercare di rendere tutto più veritiero possibile. Per esempio vennero bruciate e distrutte davvero tantissime cose. E nella realtà c’era questa sensazione, con nuvole pesanti di fumo che, in qualche modo, ho voluto rendere nel film. La polvere delle esplosioni, il deserto danno opacità, così come la sensazione di morte.
Tutti questi livelli hanno aiutato a dare la profondità della storia.
Come se la polvere colpisse anche le persone e i protagonisti de La sirène.
Esatto. Proprio così.
Oltre ai colori volevo chiedere qualcosa sui suoni e la musica. Nella prima sequenza, che già abbiamo detto avere colori diversi rispetto al resto, vediamo e sentiamo qualcosa che non sembra raccontare una guerra o comunque non esserne un presagio. C’è un contrasto spesso evidente tra la musica e i personaggi. La prima parla senza che lo facciano i secondi. Com’è stata scelta?
Per quanto riguarda la prima scena, volevo aprire il film come se fosse una favola. Il personaggio principale è in un momento importante della sua infanzia, ma sta vivendo un trauma che lo colpisce e che si ripercuoterà nella sua vita. Inizia da lì, poi, con il faccia a faccia con la guerra.
Questo rituale, chiamato zar, viene originariamente dall’Africa. Nel sud dell’Iran ci sono schiavi neri, dall’Africa. Certe musiche e certi rituali vengono da lì. Questo è presente nel sud dell’Iran, ma anche in Egitto, Sudan e nel Corno d’Africa.
La sequenza è nata per fare un parallelo tra i traumi e la violenza della guerra e per aprire la storia come una favola. Poi siamo improvvisamente catapultati nella guerra e si ferma la musica.
Questo rituale ha forti connessioni con la musica. E in generale nel film la musica è usata in modo narrativo. La mia idea era usarla come voce. Ho chiesto di inserire strumenti iraniani nella musica ed è stato fatto un insieme di più musiche e strumenti che rappresentano, in qualche modo, la complessità dell’Iran e delle tradizioni. Questo permette di dare diverse emozioni al film ed era importante per sottolineare la narrazione con la musica.
Sepideh Farsi e l’animazione
Questo è il tuo primo film d’animazione. Com’è stato l’approccio a questo genere e al film di finzione?
Come ho detto anche prima, era quasi ovvio quando ho deciso di parlare di questo argomento e di questo particolare momento nella storia dell’Iran, con Abadan sotto assedio e i civili che resistevano: era chiaro che dovevo raccontare usando l’animazione. Non avrei potuto fare un live action, ma, nonostante tutto, ho dato un approccio realistico, storico. Lo stile dell’animazione è realistico.
Lo storyboard è fatto in modo inusuale; non ho usato effetti particolari; ho fatto pochi movimenti di camera. Quello che ho fatto è stato portare la mia esperienza di regista con tanti documentari e live action nel mondo dell’animazione. Il mio obiettivo è stato questo.
E penso che si senta anche perché quando vedi i personaggi de La sirène pensi «questo ragazzo è vivo», come un’esperienza alla Pinocchio. Accade perché tutti i livelli sono messi insieme per creare il film; il modo in cui ho guidato gli attori con la voce; come abbiamo lavorato fin dall’inizio. Partendo da qualcosa di reale per avere la giusta ispirazione, abbiamo creato stile, universo, atmosfera e molti sforzi sono stati nel creare qualcosa di magico e incredibile.
Di solito, poi, l’animazione è in inglese o in francese e solo raramente in altre lingue.
L’Iran raccontato da Sepideh Farsi
Prima di vedere La sirène, trattandosi di un film d’animazione, mi è venuto subito in mente Persepolis di Marjane Satrapi. La conosci?
Sì, la conosco e ho visto il film (molto bello), ma non ho mai pensato che le due storie siano legate. L’unico legame è che sono film d’animazione. Ma i film sono diversi, così come l’approccio e la narrazione. Sono diversi anche e soprattutto gli obiettivi.
Volevo chiederti un parere sulla situazione attuale dell’Iran. Anche se La sirène è ambientato nel 1980, per certi aspetti è molto attuale.
Indubbiamente è un momento particolare per noi iraniani, soprattutto per chi di noi vive fuori dall’Iran, per motivi personali o politici. Io per esempio non posso tornare. Sono stata arrestata come dissidente quando ero adolescente e poi ho avuto problemi con il regime e ora sono fuori.
Per me è una scelta politica fare ancora film sull’Iran e portare una mia storia per raccontare il paese; per rompere la narrazione ufficiale. Tutti i film che esistono sulla guerra sono di propaganda. E non sono diretti da donne e non sono d’animazione. La sirène è un’esperienza unica in questo senso. C’è blasfemia, c’è ironia, politica, ma per renderlo libero c’è una presa di posizione politica.
Quello che sta succedendo più o meno da un anno in Iran sapevamo che sarebbe successo; aspettavamo solo il momento.
La sceneggiatura de La sirène è stata scritta nel 2016, quando non c’era ancora nulla. Ma se lo guardi ora senti che ci sono eco di quello che sta succedendo adesso in Iran. Penso che questo sia possibile perché la resistenza in Iran c’è da molti anni, con alti e bassi continui. Il film è una combinazione di cose. Penso che le cose non siano finite e non stiano finendo, ma penso (e spero) che ci si stia avvicinando alla liberazione.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli