Il Lago Film Fest non è solo un festival da anni punto di riferimento per il cinema corto di ricerca, ma anche una vera e propria esperienza sensoriale immersi nella natura, con schermi e immagini che letteralmente vengono fuori dalle acque del lago e dal verde del bosco.
Per conoscere meglio questa manifestazione, unica nel suo genere, abbiamo intervistato la sua fondatrice e direttrice, Viviana Carlet.
Qual è la specificità di una manifestazione come il Lago Film Fest?
È un festival, quindi significa che, come per gli altri, ci sono proiezioni e incontri. Questo, però, non significa che tutti i festival siano uguali, ma ognuno ha una sua caratteristica. La nostra peculiarità è nella metodologia d’approccio alle tematiche e ai progetti che ci vengono sottoposti. E poi il modo in cui lavoriamo, il tentativo di essere il più inclusivi possibile. Un’altra nostra specificità è dare spazio alle nuove generazioni. Ad esempio, sono ormai tre anni che abbiamo una rinnovata direzione artistica molto giovane, con dei ragazzi, già ottimi professionisti, che riescono ad avere uno sguardo sulla contemporaneità che una persona come me, over 40, già non ha più. Il Lago Film Fest è nato con l’idea di mettere insieme persone, artisti, creativi, registi, ricercatori nel mondo dell’arte e del cinema, che avevano bisogno di uno spazio dove incontrarsi, un luogo informale dove poter creare delle cose insieme.
Viviana Carlet
Tu del festival sei la fondatrice e la direttrice dal 2005. Quale la sua storia e i suoi cambiamenti nel tempo?
Il Lago Film Fest è nato come fosse un grande progetto di public art, di arte relazionale. Persone che vengono a visitare questo luogo, già di per sé particolare, un piccolo borgo che si affaccia su due laghi, e vivono in questo ambiente, creando cose insieme. Interagiscono, lo trasformano vivendoci. Quindi il Lago Film Fest è nato come una sorta di grande cantiere a cielo aperto, sotto le stelle, con un approccio molto informale, ma non per questo meno serio. Ci basavamo, e continuiamo a farlo, su un’idea di spazio pubblico di condivisione e formazione. Negli anni, il Lago Film Fest è lentamente cresciuto e si è specializzato: se prima era un grandissimo contenitore dove all’interno c’erano progetti di musica, danza, performance, arte contemporanea, oltre che residenze, via via il festival è diventato un grande incubatore, da cui tutti questi spin off potessero uscire e diventare qualcos’altro, come, per esempio, il Premio Sonego per le sceneggiature, che si è staccato ed è diventato una manifestazione a sé, con un suo percorso, ma sempre con una tappa al Lago Film Fest da cui è nato. Abbiamo dei progetti di arte contemporanea e molte altre attività che si sviluppano durante tutto l’anno, ma il Lago Film Fest è, ora, nella sua essenza, cinema. È totalmente focalizzato sul cinema, ovviamente mantenendo il suo aspetto ibrido di contaminazione. Tutto, però, ha il cinema al suo cuore, non solo nella selezione di film che proiettiamo, ma anche nello sviluppo di progetti che facciamo all’interno del festival. Tutti sono legati alla formazione e alla comprensione cinematografica. Ogni anno vorremmo poter ospitare sempre più registi, per quello spirito d’inclusione e dialogo di cui ti parlavo. In questa edizione arriviamo a dieci giurie, comprendendo anche quelle dei bambini e dei ragazzi. Ci saranno tantissimi professionisti del mondo del cinema che verranno al Lago Film Fest. Un incontro fecondo per tutti. Ma, se prima c’era solo il Lago Film Fest, adesso questo è una delle stelle della nostra galassia, che si chiama Piattaforma Lago, e che lavora tutto l’anno, non solo qui a Revine, ma ovunque.
Quanto è complicato organizzare una manifestazione come il Lago Film Fest? Il luogo dove si svolge, un parco naturale a ridosso del lago di Revine, è assolutamente unico.
Ricordo che, il primo anno che ho organizzato il Lago Film Fest, mi confrontavo con amici di festival importanti. E dicevo: per voi è facile organizzare cose a Milano. Poi, però, ad esempio, a Milano non è che puoi fare un campeggio, noi sì. Per dirti che ci sono delle complessità in ogni luogo. Questi paletti, però, ti aiutano ad aguzzare l’ingegno e a trovare soluzioni a cui, altrimenti, non avresti mai pensato. Quindi, alla fine, per noi non è più un limite lavorare in un parco naturale, ma un valore aggiunto, qualcosa, appunto, di unico. Il nostro grande problema, se mai, è non avere una struttura fisica al coperto, un cinema, che sia un piano B se piove, per continuare il festival senza modificare la programmazione. Certo, ora c’è l’online che ci aiuta, ma l’esperienza, che fa proprio parte del Lago Film Fest, è il fatto di essere sotto le stelle, con le rane, sul lago. Questo contorno naturale è diventato un elemento della proiezione in sé per sé. E poi anche la possibilità di poter cambiare schermo, spostandosi da un luogo all’altro, all’interno del parco stesso, come altrove si cambia sala. O fermarsi a chiacchierare lungo la via con qualcuno che ha visto il tuo stesso film, oppure un altro e te lo suggerisce, è un aspetto fondamentale del Lago Film Fest. Non a caso, il nostro logo è una rana: quello che potrebbe essere un elemento di disturbo, il gracidare delle rane, diventa un valore aggiunto unico della nostra manifestazione.
Poi, tra le complessità di organizzazione c’è, ovviamente, l’aspetto economico. Noi siamo un festival totalmente indipendente. Non sappiamo se e quando avremo finanziamenti, che arrivano sempre tardi. A oggi, non abbiamo ancora sovvenzioni pubbliche confermate per quest’anno, diventa un po’ un bingo sapere quando, quanto, come. Così non ci sono garanzie per il futuro e diventa veramente difficile poter mantenere un livello di qualità adeguato e di crescita costante.
Dato il contesto del Lago Film Fest, la sostenibilità ambientale è un’altra delle vostre linee guida.
Siamo molto attenti a tutto ciò che è legato alla sostenibilità ambientale. Abbiamo un magazzino dove abbiamo stoccato materiali degli ultimi vent’anni, che riusiamo, ritagliamo, riprendiamo, rimontiamo. Cerchiamo di sprecare il meno possibile. Ad esempio, se porti due magliette, ti prendi quella del festival, che è un riciclo con una nuova serigrafia. Questa è produzione zero. Niente gadget inutili o apparentemente utili che inquinano.
Come nasce il tuo personale interesse per la forma cortometraggio?
In realtà, è stata una specializzazione prettamente funzionale al luogo, in riva al lago, del tutto decentrato rispetto alle grandi città, intese anche come luoghi di formazione cinematografica. Il corto mi sembrava la scelta giusta da un punto di vista pratico. Parliamo del 2005, quando c’erano ancora i vhs e, a seguire, i dvd. All’epoca, i lungometraggi erano tutti in pellicola. Dove li proiettavamo? Che costi avremmo potuto sostenere nel noleggio e nel trasporto? Il primo anno facemmo, in tre serate, dodici cortometraggi che arrivavano da tutto il mondo, grazie ad amici o amici di amici. Da lì abbiamo innescato tutto. Poi, il corto ha una freschezza, una libertà, che i lungometraggi non hanno. Infine, torno all’aspetto pratico: con il lungo, non è che a metà film dici: ragazzi inizia a piovere e ci spostiamo. Noi il piano B non l’abbiamo mai avuto. Il corto lo finiamo sotto l’acqua e poi si vede se riusciamo a ricominciare. Noi amiamo tutto il cinema, in ogni formato. Ogni tanto ci lanciamo anche nella proiezione di lunghi durante il Lago Film Fest, ma lo facciamo soprattutto durante l’anno. Per esempio, organizziamo, a Vittorio Veneto, il 30___70 Doc Fest, dove proiettiamo mediometraggi fra i 30 e i 70 minuti. È un’altra stella della Piattaforma Lago di cui ti parlavo.
Quali sono stati i criteri di selezione delle opere mostrate al Lago Film Fest?
Ci sono delle linee guida, ma, come dico sempre, le scelte finiscono per essere soggettive, seguendo i gusti del gruppo di selezione. Per quanto mi riguarda, posso dire che un film che mi piace è un film che mi disturba, nel senso che mi pone delle domande. Capita di vedere un film che, magari, è molto bello esteticamente, ma, il giorno dopo, neanche lo ricordi più. Le opere che ti rimangono dentro possono pure non essere perfette, ma contengono qualcosa che altre non hanno: un punto di domanda, una questione che fa anche male. A noi interessano i film che fanno pensare, che ci portano dei punti di vista diversi dai nostri. Cerchiamo di dare maggior spazio alla ricerca, non solo ricerca geografica, con opere che vengono da varie parti del mondo, anche lontanissime, ma ricerca proprio anche artistica, cinematografica, di andare oltre la metodologia di narrazione classica. Il Lago Film Fest, non a caso, si chiama Festival Indipendente di Cinema di Ricerca. Questa è l’attenzione che sicuramente ci guida.
Il cortometraggio si adatta meglio del lungo a ricercare nuove forme cinematografiche?
Il cortometraggio ha maggiormente questa possibilità. Con i lunghi non puoi permetterti tanto di giocare con i milioni che servono per finanziarlo. Il corto ti dà la possibilità di avere una libertà pressoché totale. Poi, certo, ci sono anche cortometraggi che costano molto, ma, solitamente, è la forma cinematografica per farsi conoscere, provarsi, prima di cimentarsi nel lungo. C’è anche chi fa solo corti per tutta la vita, perché è il suo mezzo di narrazione. C’è chi è un artista visivo, quindi fa ricerca e sta nel mezzo tra cinema e arte contemporanea, persone che riescono a dialogare con entrambi i mondi. Un film che vedi al Lago Film Fest può succedere di ritrovarlo in una galleria o in una fiera d’arte. Cerchiamo opere di ricerca nel senso che abbiano una capacità di lettura del presente, della storia che racconta, una visione che vada oltre le forme e i contenuti più facili. Lago Film Fest insegue la ricchezza della complessità, non è un festival rassicurante, accondiscendente.
Gli addetti ai lavori riconoscono proprio il rigore delle vostre scelte e la possibilità di vedere film invisibili altrove.
Per noi rimane sempre un festival piccolo, in un posto un po’ fuori dal mondo. Siamo contenti, però, della nostra riconoscibilità tra gli addetti ai lavori. Siamo riusciti a crescere molto negli anni, pur mantenendo la nostra linea, con umiltà e tanto lavoro, nonostante il Ministero ci ignori. Abbiamo avuto quindicimila visitatori lo scorso anno. Pochi o molti, è comunque un numero significativo, per noi. Perché crediamo sempre che il Lago Film Fest possa offrire strumenti di riflessione. Ritrovarsi insieme, guardare un film e poterne parlare, discutere: quella è la parte più importante per me, perché, altrimenti, non ha senso un festival. Io lo faccio perché ci aiuti a pensare e confrontarci attraverso il cinema.
Dal tuo pluridecennale osservatorio sul cortometraggio, qual è lo stato dell’arte, attualmente?
Per quello che posso dire, vedo un cambiamento nel linguaggio e nei soggetti. Sicuramente c’è molta più attenzione nei confronti delle minoranze, narrazioni che raccontano gruppi specifici o comunità. E a questo siamo molto sensibili, perché da sempre inclini a dar voce al mondo dell’inclusione o della diversità. In passato, anche nel cortometraggio, si vedevano cose più codificate, la storia d’amore, per dire. Adesso stanno cambiando i protagonisti, rispondendo a quello che succede nell’attualità. Le lotte che ora ci sono, anche quelle meno plateali, non sono più quelle di vent’anni fa. Poi, però, ho sempre un timore, che viene dalla consapevolezza che, comunque, chi fa film non è la massa, ma un’elite, quindi, magari, può non rispondere a quelle che sono le esigenze più generali. Ma la forza dei film selezionati al Lago Film Fest è che riescono a essere veramente contemporanei, quindi il cambiamento di stili e tendenze si legge tutto.
Pensi che il cinema sia ancora una delle forme espressive più forti per raccontare il presente? Si parla sempre di crisi, produttiva e di idee, per questa forma d’arte.
Il cinema non morirà mai, perché è un modo di esprimersi, raccontare, di richiamare attenzione, urgenze. Il cinema, sì, cambierà, si trasformerà, lo vedremo sul cellulare, lo guarderemo con vari visori, non quelli di adesso, ma quelli che stanno progettando e che useremo tra dieci anni e che ci daranno un’esperienza immersiva forse persino più coinvolgente della sala cinematografica, dicono gli esperti. Ma le immagini in movimento continueranno la loro magia, ai nostri occhi. Questa non finirà mai.
Avere un ospite come Lav Diaz, cui dedicherete una retrospettiva completa, testimonia ulteriormente il livello internazionale del vostro festival, sempre attento al cinema fuori dai consueti canoni.
Lav Diaz l’ho conosciuto a Berwick, alcuni anni fa, in un piccolo, bellissimo festival in un villaggio della Scozia, una dimensione che assomiglia molto al Lago Film Fest. Lì ho visto alcuni dei suoi film e mi sono piaciuti tantissimo. Ricordo che l’incontro con il regista si faceva poi al bar. Alla fine ho preso coraggio e l’ho avvicinato, gli ho dato la borsina del Lago Film Fest, gli ho detto che faccio un festival molto piccolo e lui mi ha risposto che non c’è una scala di dimensione, ma di valore. Sono parole, persone, che ti riempiono il cuore. Mai mi sarei immaginata d’invitarlo e che lui avrebbe accettato! In Italia non era mai stata fatta una retrospettiva completa e la facciamo noi. Ne siamo veramente felici. Per proiettare i suoi film, abbiamo costruito un microcinema all’interno di un garage e pensiamo ne sarà contento, anche se non sarà come alla Cinémathèque in 4K. Però i film si fanno perché la gente li veda. Se non li guarda, cosa te ne fai?
Che cosa credi desterà maggiore interesse nel pubblico in questa edizione del Lago Film Fest e quali perle, magari più nascoste, ti sentiresti di consigliare di non perdere?
Io adoro tutti i film selezionati per il concorso. Inoltre, abbiamo tante sezioni specifiche molto interessanti e dei focus pazzeschi, dalla fantascienza cinese ai sex toys, passando per un progetto di critica cinematografica in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari. E poi c’è Lav Diaz. Io penso che una persona nella vita debba investire sei o anche più ore, a seconda del film che sceglie, per vedersi Lav Diaz, perché i suoi film ti fanno cambiare la percezione del tempo. Nelle sue opere, all’inizio sembra che non succeda niente, ma devi stare lì, perché, in realtà, il tempo passa e tutto muta. Alla fine, tu stai con lui queste sei ore, ma non ti sembrano sei ore, perché tu ne vorresti ancora, vuoi ancora star lì con quella famiglia, su quella barchetta, perché hai proprio cambiato la tua percezione di cosa succede nel tempo al cinema. Soprattutto nella nostra epoca, in cui tutto è subito e iperveloce. Al Lago Film Fest, puoi passare da vedere in un’ora sette o otto corti oppure tre, a seconda della durata, ma anche darti la possibilità di staccare il telefono e di cambiare ritmo, immergendoti nel mondo cinematografico di Lav Diaz. Per me è stata un’esperienza strabiliante. Il suo è un universo visivo con una struttura e una sintassi completamente diversa dall’ordinario. Quindi, abbiamo i due opposti. Uno magari è abituato a vedere quello che sta in tv e, al Lago Film Fest, viene a vedere dei corti, che è già un cambio di ritmo, poi si tuffa in un film di Lav Diaz ed entra in una storia in cui finisce per farne parte, perché i tempi che lui si prende sono così dilatati che tu non puoi essere altrove che lì dentro insieme al film. Se questo succede, è la magia del cinema.
Lav Diaz