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‘Ore d’estate’: la famiglia e il passare del tempo secondo Assayas

Dall’ispirato regista di Irma Wep e Sils Maria, una storia familiare

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Su MUBI è possibile recuperare un intenso film di Olivier AssayasOre d’estate, forte di un cast composito ed azzeccato formato da attori del calibro di Charles Berling, Juliette Binoche, Jérémie Renier, Edith Scob.

Attraverso le memorie d’infanzia e il ricordo di oggetti di pregio presenti nella casa, ed evocativi di periodi di lontana allegrezza e serenità, il film si trasforma in una delicata e incisiva riflessione sullo scorrere della vita e sull’importanza dei ricordi per tener saldi i rapporti di parentela in un mondo che corre sempre troppo in fretta.

Ore d’estate L’estate, la campagna, i ricordi dei bei tempi che furono

I settantacinque anni della madre Hélène induce i tre figli a riunirsi nella casa di campagna nella quale loro stessi da giovani erano soliti trascorrere momenti di serenità nei periodi di vacanza.

La donna, ancora apparentemente in forma, sente tuttavia che è arrivato il momento di fare ordine almeno tra gli oggetti di valore che ha custodito nel tempo. Negli anni della giovinezza è stata la manager di uno zio, il pittore e scultore Paul Berthier, meticoloso collezionista di opere d’arte, celebrato ora più che mai a distanza di alcuni anni dalla sua morte.

Ma quell’incontro si rivela il presagio di una fine imminente che poco tempo dopo coglie i tre figli di sorpresa e li rivede riunirsi al funerale della madre.

A quel punto, con due tra i figli perennemente impegnati all’estero (Adrienne, interpretata da Juliette Binoche e Jérémie, impersonato da Jérémie Renier), il maggiore, Frédéric (Charles Berling) si vedrà costretto ad affrontare tutta la problematica della gestione dei beni custoditi nella casa, ma anche quella dei ricordi cruciali di un periodo davvero importante nell’esistenza di tutti e tre i fratelli.

Ore d’estate – la recensione

Il passato, specie quando si caratterizza di ricordi positivi e forieri di momenti di serenità, è difficile da abbandonare, soprattutto se esistono beni materiali che, al di là del loro valore intrinseco (elevato in questo caso), non possono non associarsi a quel periodo che il tempo ha trasformato in qualcosa di idilliaco e irripetibile.

L’Heure d’été nacque come un progetto multiplo che avrebbe dovuto coinvolgere altri registi di valore come Raul Ruiz, Jim jarmusch e Hou Hsiao Hsien, riuniti per dar vita ciascuno a un cortometraggio celebrativo dei primi cent’anni del prestigioso Museo d’Orsay di Parigi, nato sulle basi della vecchia stazione dei treni.

Poi il progetto di Assayas ha avuto uno sviluppo tutto suo, in grado di generare un lungometraggio intenso in cui il bravissimo regista francese si concentra a trattare una summa delle tematiche a lui più care: quelle della famiglia, dei ricordi legati a un passato indimenticabile di cui si tenta di preservare la memoria più intatta possibile, l’elaborazione di un lutto che crea sentimenti di colpa lancinanti.

Ecco allora che il personaggio di Frédéric, fratello maggiore pieno di sensi di colpa per aver trascurato le raccomandazioni della madre durante l’ultimo incontro di famiglia che apre il film, diviene il fulcro di una ricerca estenuante per conciliare le difficoltà pratiche con le esigenze della madre e  di quel passato a cui anche i fratelli, solo  apparentemente più distanti e distratti, anelano in fondo con struggimento e nostalgia.

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