‘Exodus’ e l’indagine umana

Bahman Kiarostami porta il suo sguardo all’interno del centro di permanenza per il rimpatrio dell’Imam Reza, gestito dall’Ufficio del Ministero degli Esteri, che è responsabile della deportazione e della registrazione degli immigrati afghani entrati illegalmente in Iran e che vogliono adesso tornare in Afghanistan.
Il centro vede partire da Tehran dalle 1500 alle 5000 persone al giorno.
Il regista si fa piccolo e si inserisce tra gli interrogatori, rivolge l’attenzione agli sguardi delle persone, alle sofferenze e alle speranze che essi riflettono.
C’è chi vuole fare ritorno perché la situazione economica e lavorativa in Iran è divenuta ormai insostenibile, chi tenta di raggiungere la propria famiglia o anche solo di rintracciare chi sembra scomparso; c’è chi si sposta per sposare finalmente la donna amata e chi spera di trovare migliori cure. E c’è anche chi, consapevole del degrado della propria condizione, è restio a presentarsi a chi lo aspetta dall’altra parte.

Kiarostami con Exodus va oltre la mera inquisizione e costruisce un quadro vario, empatico e a tratti anche ironico delle storie personali di questi individui.
Tesse e intreccia le vicende dei protagonisti mantenendo al centro della narrazione l’essere umano e ciò che ne pertiene: l’amore, le dipendenze, la malattia e le decisioni che, purtroppo, a volte è costretto a prendere.