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Conversation

‘Animali Selvatici’ conversazione con Cristian Mungiu

Animali Selvatici di Cristian Mungiu trasfigura il realismo dell'immagine per raccontare gli istinti primordiali dell'essere umano

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Plurivincitore al festival di Cannes, Cristian Mungiu è uno dei maestri del cinema mondiale. Con lui abbiamo parlato di Animali Selvatici in cui le questioni più scottanti della modernità diventano allegoria della condizione umana.

Animali selvatici di Cristian Mungiu, presentato in concorso a Cannes 2022, è in arrivo in sala. Il film uscirà il 6 luglio con BiM distribuzione.

Animali selvatici di Cristian Mungiu

Volevo iniziare a parlare del film ragionando su una suggestione, quella che deriva dal mettere in relazione Animali Selvatici con Il Nastro Bianco di Michael Haneke. A parte la similitudine dell’ambiente e del contesto umano e geografico, anche nel tuo film il misterioso concatenarsi di eventi e apparizioni è solo un pretesto per fare luce sulle relazioni umane: in particolare sulle dinamiche di cui si nutre la follia collettiva da te raccontata.

È un paragone possibile di cui però non ero consapevole fino a quando non me lo hai fatto notare. In realtà ciò di cui parla Animali Selvatici non è qualcosa di inventato ma nasce dall’osservazione della realtà e delle cose che la compongono. La realtà non è lineare, non è un algoritmo fatto di sì o di no, quindi ogni volta che la andiamo a investigare creiamo una serie di connessioni e interpretazioni. Io peraltro impiego molto tempo a realizzare un film perché ritengo che questo debba essere popolato non di minuzie, ma da qualcosa di importante per quel determinato contesto storico. Secondo me un film deve essere un’opportunità. Io lo prendo come tale e cioè come un momento per dire qualcosa che ritengo importante non solo per me ma anche per gli altri.

Visto che l’hai citato devo dire che con Il nastro bianco condivido un’attrice – il che, a pensarci adesso, è abbastanza divertente – ma anche uno spazio geografico e storico: uno stile di vita molto tradizionale e autosufficiente, basato su ciò che è avvenuto prima. Su quella che è stata la storia e non su qualcosa che deve ancora venire e che guarda al futuro.

L’attrice di cui ti dicevo si chiama Maria Dragus, tedesca di origini romene che nel film di Haneke era la sorella maggiore dei due fratellini. Essendo stata la protagonista femminile di Un padre, una figlia siamo diventati amici e per questo l’ho voluta anche in quest’ultimo lavoro. Il suo tedesco fluente mi serviva per rappresentare l’omologa minoranza linguistica presente nel paese.

Le tematiche

Come tutto il tuo cinema anche Animali Selvatici parte da fatti concreti e da un episodio storicamente accaduto destinati a entrare in conflitto con la parte più irrazionale dell’animo umano. La mancanza di lavoro, i preconcetti culturali, il folklore e le credenze sono gli elementi destinati a far esplodere il razzismo nei confronti dello straniero. Un’ossessione destinata in un modo o nell’altro a condizionare l’intera comunità.

Quello che cerco di fare è di non giudicare ma di capire perché le persone fanno quello che fanno quando si trovano in situazioni molto complesse. È questo che trovo interessante per l’arte e per il cinema. Non mi interessa realizzare un film ideologico ma piuttosto cercare di andare a cogliere certe situazioni e capire perché sono andate a finire in una determinata maniera. Si tratta di qualcosa di estremamente complesso, anche solo da immaginare. Così è il film, meno semplice di come può sembrare. Certo, siamo tutti contro la xenofobia però è importante andare a capire perché le persone reagiscono così; perché si comportano in una maniera e non in un’altra. Qualcuno deve spiegare loro la ragione per cui dovrebbero cambiare atteggiamento visto che fino a ora ha funzionato bene. Il mio obiettivo è quello di stimolare nello spettatore un pensiero critico.

Dal momento che hai usato il termine virus voglio dire qualcosa a proposito della sua facilità di propagazione. Questo dipende dalla difficoltà dell’essere umano di esprimere il proprio punto di vista di fronte agli altri. Rimanere fedeli a se stessi e alle proprie convinzioni quando la maggioranza la pensa diversamente non è semplice. In questo processo, in cui è più facile andarsi a nascondere nella massa, si corre il rischio di perdere la propria identità, rinunciando ad assumerci qualsiasi responsabilità. È più facile essere la pecora all’interno di un gregge piuttosto che alzarsi e affermare le proprie ragioni in opposizione al pensiero comune.

Quello che hai appena detto nel film lo riassumi attraverso la lunga sequenza dell’assemblea cittadina. Oltre a rappresentare il manifesto artistico del film, che mai come questa volta fa coincidere la storia dei singoli con un gruppo più allargato di personaggi, la stessa, per come l’hai girata, ha la capacità di farci sentire la condizione vissuta da Matthias e Csilla. Sovrastati dalla massa di persone presenti e confusi all’interno di essa, la disposizione sembra togliere centralità ai due protagonisti rispetto al resto della moltitudine. In più la fissità della macchina da presa nella sua mancanza di aperture sullo spazio circostante riesce a farci sentire la contiguità dei corpi e di conseguenza un senso di costrizione sia fisico che morale

La parte interessante dell’essere regista consiste nel trovare un modo per inserire l’intimità dei protagonisti all’interno dell’evento sociale a cui stanno partecipando. In definitiva si tratta di due condizioni contrapposte che in quel caso sono chiamate a convivere. Volevo raccontare e mostrare questa scena facendola percepire dal punto di vista di lui, uomo innamorato a cui non importa assolutamente niente di quello che gli sta succedendo intorno. Non è assolutamente coinvolto. Al contrario di lei. Parliamo di una contrapposizione da cui nasce il conflitto che li porta a rovinare il loro rapporto. Quella è una scena che non puoi mostrare in maniera convenzionale altrimenti ne disperdi il significato. Era invece necessario mostrarne la percezione sottolineandolo quanto è importante non avere un’opinione ma essere comunque responsabile delle tue azioni.

Cristian Mungiu e la mdp in Animali Selvatici

Nel tuo cinema il posizionamento della mdp è fondamentale. Da esso dipende il tuo modo di guardare alla realtà e in particolare di raccontare lo stato d’animo dei personaggi. Mi piacerebbe conoscere con quale criterio scegli di posizionare la mdp. Se è una cosa prestabilita o nasce una volta che arrivi sul set?

È un processo che inizia già durante la stesura della sceneggiatura. Sapendo che girerò ogni scena in un’inquadratura esemplare, la immagino dall’inizio da un unico punto di vista, descrivendo ciò che accade nella profondità di campo o immaginando i movimenti dei personaggi in quello spazio. Nella fase successiva, durante lo scouting, cerco di trovare set reali che corrispondano a ciò che ho immaginato – e se non li trovo, provo a costruirli. Dopo aver deciso tutti i luoghi delle riprese, riscrivo ancora una volta la sceneggiatura adattandola ai veri set che abbiamo trovato.

Durante il periodo delle prove prima delle riprese cerco la migliore posizione e traiettoria possibile della telecamera da cui poter coprire la maggior parte della situazione in modo drammatico e visivamente forte. È un processo che prevede la messa in scena della situazione e allo stesso tempo la creazione della coreografia del movimento dei personaggi, passo dopo passo.

Quando il bambino parte dalla sua abitazione per andare a scuola tu piazzi la telecamera come se non volessi essere visto dal ragazzino, ma in maniera tale da far sentire allo spettatore la presenza di uno sguardo estraneo, in egual misura minaccioso e alienante. Una combinazione foriera della traumatica esperienza che di lì a poco toccherà al bambino.

Ogni volta che devi posizionare la telecamera, devi decidere molto chiaramente qual è lo scopo di quella scena. A volte, più importante del semplice mostrare ciò che accade, è parlare di come si sente il personaggio riguardo a ciò che succede. È il caso di questa scena iniziale: poiché il film parla anche dell’ansia per le incertezze del futuro e della paura del bambino riguardo alla vita, e poiché la paura non è razionale ma emotiva, tutto questo si traduce meglio se in realtà non si vede quello che lo spaventa. Come noi anche lui ha paura della morte, della vita, di se stesso e delle cose che non conosce.

Lo sguardo

A proposito di sguardo. Come è cambiato il tuo nel corso degli anni: in 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni la vista del feto in primo piano era uno shock necessario a dare il colpo di spugna a un sistema disumano. Qui l’uccisione del maiale rimane fuori campo, come a voler rappresentare la presenza di un male più metafisico che reale.

Come regista devi fare delle scelte. Cosa mostrare, cosa lasciare fuori dalla telecamera, quando essere diretti e quando no. Ogni volta in cui ritengo che mostrare una scena esplicita sia più forte di ciò che deve trasmettere preferisco non inserirla nel film. In 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni non mostro la scena dello stupro perché conta di più come si sente l’altra ragazza al riguardo. Per contro, avevo bisogno di mostrare il feto abortito perché le persone tendono a immaginare che sia solo un mucchio di cellule informi. Come regista la tua libertà di decidere deve sempre essere accompagnata dalla consapevolezza delle conseguenze delle tue decisioni. In Animali Selvatici la macellazione del maiale è importante per collocare il rapporto di Matthias con gli altri “animali”– lui è solo più forte di loro – e il suo rapporto con le persone – che è più diretto, come si vede nella scena in cui il prete preferisce non partecipare all’uccisione del maiale tirandosi fuori dal peccato e dalle responsabilità che ne derivano. Quella sequenza affronta tanto il tema della violenza che quello della responsabilità. Matthias lavora in un mattatoio dove brutalità e uccisioni sono accettabili, ma anche terribili perché una volta che il processo è sviluppato su scala industriale si perde qualsiasi tipo di umanità.

È anche una scena sull’ipocrisia, cosa che non riguarda Matthias, sempre pronto a prendere in mano la situazione. Poi il cinema ha la particolarità di essere allo stesso tempo reale e inventato. Con gli esseri umani puoi anche superare il limite perché le persone capiscono le convenzioni del cinema. Verso gli animali invece bisogna assumersi una responsabilità poiché questi ultimi non “agiscono”, semplicemente “sono”. Per questo uccidere un animale per dare corso alla finzione sarebbe qualcosa di immorale. 

Nel film parti da immagini fisiche per arrivare a composizioni metafisiche. Penso al primo incontro tra Csilla e Mathias, ma anche alla scena finale. In entrambi i casi uno dei due personaggi acquisisce una consistenza fantasmatica che in qualche modo mette in discussione ciò che noi sappiamo di loro.

Questo è l’attributo del cinema – di associare scene e immagini che alla fine significano molto di più del loro primo livello di significato -. Il processo per arrivare a parlare di concetti astratti attraverso rappresentazioni concrete è molto delicato. Vorrei che le scene, le situazioni, gli oggetti, i paesaggi, i colori significassero più di quell’interpretazione realistica e si sommassero per parlare di qualcosa di più complesso ma mi astengo dal verbalizzare, dal ‘nominare’ ciò di cui queste sequenze vogliono parlare. La cosa più difficile nel cinema è raccontare ciò che pensano i personaggi senza usare il dialogo. In Animali Selvatici (RMN) ci sono scene destinate a passare inosservate agli spettatori ma la cui presenza per me è molto importante. Penso alla stazione ferroviaria dove Matthias, dopo la sua prima notte d’amore con Csilla, guarda una madre che allatta il suo bambino. Oppure alla scena finale, con le creature che compaiono dall’oscurità della foresta proprio mentre gli impulsi più violenti emergono dal profondo del nostro subconscio. Potrebbero essere umani, animali o semplicemente un’incarnazione delle nostre paure.

Spazi e personaggi in Animali Selvatici di Cristian Mungiu

Il bosco è una sorta di spazio ancestrale. Come nella Divina Commedia di Dante quello diventa il subconscio del film, lo spazio in cui si generano paure destinate a diventare reali.

Nella mia mente, la foresta è l’opposto della struttura: è infinita, buia e fa paura in modo irrazionale. Ci isola dalle altre comunità facendoci percepire il mondo in termini di “noi” e “loro”. Quelli che vivono dall’altra parte della foresta saranno sempre “loro” perché in quanto sconosciuti presumiamo che siano pericolosi e dunque ne abbiamo paura. Le comunità che vivono in villaggi appartati, circondati da foreste, tendono a essere più tradizionali, non capiscono perché debbano cambiare il loro modo secolare di comportarsi. Matthias, alla fine del racconto, capisce che in lui coesistono questi due lati – quello animalesco e oscuro delle pulsioni torbide e l’altro, strutturato, empatico, e solare: in definitiva più umano. Da lì la necessità di fare una scelta che riguarda anche noi, rispetto a quelle che facciamo nella vita reale.

Pur partendo da fatti concreti e da un impianto realistico e per certi versi documentario il tuo cinema supera i limiti del reale per restituire l’anima dei personaggi. In questo senso a risultare fondamentale è il rapporto tra le figure e lo spazio. Anche qui la geografia naturale diventa subito paesaggio dell’anima.

Il cinema dovrebbe parlare su piani diversi, suggerendo le cose piuttosto che nominarle. In questa prospettiva diventa cruciale dove si ambientano le situazioni: la scenografia, lo sfondo, l’atmosfera, i colori, la luce, il tempo, tutto contribuisce a descrivere ciò che il personaggio sente. Da qui ne consegue che gli spettatori dovrebbero sentire ciò che prova lui, non solo sentirsi dire qual è il suo stato d’animo

Nei tuoi film il microcosmo diventa macrocosmo. In questo senso il villaggio del film ci racconta una Romania privata della sua unità, frammentata com’è dal punto di vista sociale, culturale, lavorativo. Un paese in cui tutto è il contrario di tutto.

Tutte le storie devono essere collocate da qualche parte ma io sento di parlare sempre del mondo, dell’universo, della natura umana. Mi è piaciuto mantenere la storia in Transilvania – dove è originariamente avvenuta – per diversi motivi: in primo luogo perché la Transilvania ha questa componente mitologica fin dall’inizio; poi perché è un crogiolo di etnie che – come succede nel mondo di oggi –  devono imparare a convivere e tollerarsi a vicenda. Infine, per il significato latino del nome -Trans Silvae – che cita la foresta e ciò che c’è dietro in modo molto subliminale.

Animali Selvatici R.M.N. un gelido inverno della ragione si aggira per l’Europa

Animali Selvatici di Cristian Mungiu

  • Anno: 2023
  • Durata: 125'
  • Distribuzione: Bim Distribuzione
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Romania
  • Regia: Cristian Mungiu
  • Data di uscita: 06-July-2023