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Sole Luna Doc Film Festival

Sole Luna Doc Film Festival – dalla parte di chi non ha voce

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Torna dal 3 luglio il Sole Luna Doc Film Festival, la rassegna internazionale ideata da Lucia Gotti Venturato e dedicata al cinema del reale che ogni anno a Palermo accoglie produzioni provenienti da tutto il mondo e decine di anteprime. 50 i film in programma di questa edizione, la diciottesima, tra concorso e fuori concorso, retrospettive ed eventi speciali, sotto la direzione artistica di Chiara Andrich e Andrea Mura e la direzione scientifica di Gabriella D’Agostino, docente di Antropologia culturale all’Università di Palermo. 13 le anteprime a partire da Talking with rivers del regista iraniano Mohsen Makhmalbaf che sarà presentato come première mondiale al Sole Luna Doc nella giornata inaugurale del festival, dando il via anche al focus fuori concorso dedicato a Iran e Afghanistan a cura di Italo Spinelli, direttore di Asiatica Film Festival. 

Mohsen Makhmalbaf

In occasione di questa nuova edizione abbiamo intervistato Chiara Andrich e Andrea Mura, i direttori artistici, con i quali abbiamo parlato, oltre che del festival, delle loro attività all’interno dell’ambiente del documentario, del cinema documentario al giorno d’oggi e di quanto questo sia importante per promuove temi politici e sociali che spesso vengono trascurati. 

Il vostro festival ha una forte impronta politica e sociale. Al giorno d’oggi quanto è importante il cinema politico?

Chiara Andrich: Il Sole Luna Doc Film Festival nasce nel 2006 e noi curiamo la direzione artistica dal 2014. Il festival nasce proprio con una vocazione interculturale e ha allargato sempre di più la selezione dei film a tematiche legate ai diritti umani e quindi a questioni politiche. Io penso che il cinema documentario abbia la forza di affrontare il presente e tutte le tematiche di oggi. Affrontando storie del presente, è impossibile non affrontare le tematiche dei diritti o dell’ambiente. Quest’anno è la diciottesima edizione e abbiamo insistito maggiormente sull’anima del festival, affrontando questioni sui diritti umani con molti dei film in concorso. I temi sono sempre centrali. 

Andrea Mura: Il festival ha questa doppia missione: parlare di temi politici attuali come i diritti umani e l’ambiente. Ma anche quello di dare visibilità a cinematografie poco note, sia con i film in concorso che fuori concorso, ad esempio con la nostra rassegna su Iran e Afghanistan, per far conoscere al nostro pubblico un cinema meno conosciuto. 

Secondo voi, oggi il documentario ha la visibilità che merita?

CA: Se, da un lato, il documentario d’autore ha ottenuto, negli ultimi 10 anni, una maggiore visibilità ai festival, dall’altro c’è l’enorme problema della distribuzione; i documentari hanno una distribuzione molto ridotta e incontrano uno scoglio nel cercare grossi distributori che vogliano portare il documentario in sala, e comunque il documentario fatica ad avere un posto importante nelle programmazione dei cinema e in televisione. Per cui festival come il nostro diventano importanti per avvicinare il pubblico a questi film, soprattutto a prodotti non europei. Ultimamente sono nate alcune piattaforme di nicchia, dedicate esclusivamente ai corti, ad esempio Openddb che è nostro partner e permette di visionare i prodotti in concorso al festival. 

AM: Forse è anche una questione culturale. Il documentario viene considerato una sorta di cinema minore. Come se per i registi fosse un allenamento, ma noi cerchiamo di sfatare questo luogo comune; perché se si va a vedere il grande cinema documentario, ci si rende conto della potenza del suo linguaggio, che va visto e studiato. Alla fine si parla sempre di cinema, di film. Il documentario, inoltre, può dare maggiore libertà al regista riguardo agli argomenti da trattare. 

Fotogramma da “Serigne” uno dei corti in concorso

Tornando sulla questione di Iran e Afghanistan, pensate che in Italia se ne parli abbastanza?

AM: Questo è uno di quei temi costanti che non si approfondiscono mai veramente. Se ne parla senza fare un approfondimento reale e le cinematografie di questi paesi non sono conosciute. Da qui nasce l’identità del nostro festival. Lo stesso vale per l’Africa, di cui abbiamo spesso film in selezione; andiamo a cercare spesso dei lavori fatti da persone provenienti da quei luoghi, registi africani. 

CA: Noi cerchiamo sempre di dare spazio ad autori emergenti, produzioni indipendenti e spesso provenienti da paesi poco rappresentati e conosciuti. Facciamo sempre attenzione a questi paesi nella selezione dei film. 

Il festival si occupa anche della tematica ambientale e dà un premio speciale ai film in concorso. Secondo voi, il cinema documentario può essere il mezzo adatto per sensibilizzare riguardo la questione?

CA: Sicuramente è un mezzo importante. Noi nelle nostre selezioni abbiamo sempre avuto sezioni dedicate all’ambiente. E quello che è importante ancora di più, sono le buone pratiche nel quotidiano: quest’anno il nostro stile grafico riprende un trattato di botanica e, come festival, cercheremo di essere più sostenibili possibile. Ad esempio riciclando striscioni degli anni precedenti o non stampando i programmi. In ogni caso, nel cinema documentario la questione ambientale più o meno torna sempre. 

Come festival vi occupate anche di dare spazio alle nuove generazioni e avete una sezione dedicata ai lavori dei ragazzi della sede di Palermo del centro sperimentale. Vi va di parlare un po’ di come è nata questa iniziativa? 

AM: Questo è il quarto anno che collaboriamo con il centro sperimentale e facciamo questa rassegna ad hoc per dare spazio ai suoi giovani studenti. In quanto ex studenti del centro sperimentale, pensiamo sia importante per i giovani avere un confronto con il pubblico, anche in un contesto come un festival internazionale come il nostro. Essendo poi, il nostro festival, a Palermo, ci sembrava naturale avviare questa iniziativa. Il livello dei lavori che il centro ci propone è sempre alto e sappiamo come lavorano sullo sguardo dei potenziali registi. 

Conferenza stampa del festival

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