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Taormina e le donne speciali. Teyana Taylor e A. V Rockwell

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Al Taormina Film Fest, per la presentazione di ‘A thousand and one’. Taxidrivers ha incontrato Teyana Taylor e la giovane e talentosa regista newyorkese A.V Rockwell

Debutto al Sundance Film Festival, dove ha vinto il Gran Premio della giuria, ora a Taormina, ‘A thousand and one’, ambientato tra il 1995 e il 2004, ad Harlem, in una New York gentrificata, vede protagonista la cantante Teyana Taylor sbocciare nel primo e forte ruolo come attrice.

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Mi sono sempre piaciute tutte le arti, poi mi sono focalizzata nel cinema perché è la somma di tutte le arti (A. V Rockwell)

Teyana Taylor and Aaron Kingsley appear in a still from A Thousand and One by A.V. Rockwell, an official selection of the U.S. Dramatic Competition at the 2023 Sundance Film Festival. Courtesy of Sundance Institute | photo by Focus Features

Le domande a A. V Rockwell

Il fare film è un processo complicato. A che età hai iniziato?

Ho diretto una serie di prosa al liceo. Questo mi ha provocato il desiderio di fare il regista. Mi è subito piaciuto, ma la prosa aveva dei limiti. Anche spaziali. Non sono entrata all’università pensando di fare questo. Man mano che vedevo il cinema ne ho capito le diverse potenzialità. Mentre studiavo, anche a Parigi, ho visto tanto cinema europeo e mi ha ispirato. Non è solo divertimento, ma vi ho visto la possibilità di conoscere meglio me stessa. Quindi alla NY University, ho scoperto che c’era un programma di cinema. Io in realtà non possedevo nemmeno una macchina fotografica, ma sono stata ammessa solo per come scrivevo. Il mio primo film è stato un corto fatto per la scuola. In realtà era un progetto fotografico. Ci insegnavano anche ad editare. Con quel lavoro ho imparato a tagliare, posizionare, decidere, montare. 

L’editing è anche una forma di scrittura o no? Cosa preferisce A. V Rockwell tra le due?

Io ancora preferisco scrivere, ma riconosco l’interesse del montaggio e della scelta che comunque è affascinante. Diciamo che con la scrittura si ha più controllo e meno sorprese.

E il risultato?

Questo ha avuto un bellissimo effetto sui compagni di studio. Vedere le loro reazioni è stata una grande soddisfazione e aiuto. Quando poi sono entrata in università per fare film ero così eccitata perché finalmente li potevo avere tutti gli strumenti per realizzarli al meglio. Mentre prima non avevo nemmeno una macchina fotografica, li c’era tutto a disposizione. Una volta finiti gli studi ho fatto circa 10 corti, sia documentari che narrazione. Uno dal titolo ‘kids’: la storia di una famiglia di Brooklin che trattava la vita di bambini, i cui genitori erano spacciatori di droga.

Per chi vuole fare i film, quello che non si insegna all’università è come finanziarli? Dove hai trovato i soldi? Cosa si fa?

E’ stato molto difficile infatti, una vera sfida. In quella scuola è come ci fosse una casta, chi ci va di solito viene da una famiglia benestante. Il primo, ‘kids’, l’ho fatto io con niente. Abbiamo speso il minimo indispensabile, eravamo tre o quattro e mangiavamo sempre e solo pizza. L’essere senza soldi mi ha reso pragmatica e comunque non ci sono mai abbastanza soldi per fare quello che si vuole fare. Abbiamo fatto un fund raising. E poi ho iniziato a fare i festival, anche quello costoso. Non ho ricevuto niente fino a che ho fatto ‘Feathers’. Li ho avuto un fondo da Tribeca per le donne registe e sono partita grazie a quello nel 2016. 

E poi con Teyana Taylor ‘A thousand and one’

Finalmente ho trovato i miei produttori che hanno supportato e capito tutto il viaggio del film. Poi abbiamo trovato anche il distributore, anche tutto grazie a Teyana Taylor.

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