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Margherita Giusti Hazon: intervista alla “penna” dietro i corti ‘Hater-Z’ e ‘Luna’

'Hater-Z' proiettato a Opera Prima

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margherita giusti hazon

Presentato a Opera Prima il cortometraggio Hater-Z, scritto da Margherita Giusti Hazon e diretto da Jacopo Matteo Golizia. Due serate dedicate a tre registi emergenti e ai loro film d’esordio. Wanted Clan e Il Club del Martedí hanno dato vita a due serate, il 26 e il 27 giugno 2023, dedicate a tre registi emergenti e ai loro film d’esordio, alla Cineteca Milano Arlecchino. In occasione della presentazione abbiamo fatto qualche domanda a Margherita Giusti Hazon, sceneggiatrice di uno dei cortometraggi proiettati. E abbiamo colto l’occasione anche per parlare del precedente cortometraggio.

Margherita Giusti Hazon: la nascita di Hater-Z

Parto da Hater-z. Come hai avuto l’idea di questa storia?

Partiamo dal fatto che il bullismo è una cosa che mi è sempre stata a cuore. Sin da quando ero piccola mi sono interessata a questo argomento e, crescendo, ho capito che si tratta di un qualcosa di sempre più importante. All’età della protagonista del corto, a volte, è difficile superare certe difficoltà, soprattutto se si è fragili. Io, che sono sempre stata molto sensibile e introversa, mi sono resa conto crescendo che la scrittura era un aiuto, un rifugio. Volevo, quindi, affrontare questo tema e poi il bullismo è diventato sempre peggio, a causa anche di internet, a tal punto da perseguitarti anche a casa. Mi sono resa conto che troppo spesso, soprattutto in questi casi di bullismo a sfondo sessuale, si tende a banalizzare l’accaduto con la classica frase «è una ragazzata». E questo non mi va giù.

margherita giusti hazon

Ecco che ho pensato a questo personaggio che inizialmente, nella mia visione, si sarebbe salvata grazie alla sua passione per la musica. Poi ho cominciato a parlarne con il regista, la troupe e l’attrice (Benedetta Sabet) e ci siamo domandati insieme come procedere sul finale. Perché in una storia di questo tipo non c’è sempre il lieto fine. E con questo corto volevamo dare un messaggio forte. Lo abbiamo proiettato nelle scuole e molti ragazzi sono stati colpiti.

Il finale, senza fare troppi spoiler, per quanto pesante, abbiamo creduto fosse giusto proprio per sottolineare il fatto che non sono ragazzate.

In generale il corto è nato per cercare di sensibilizzare su questa tematica.

La tematica forte

Mi è piaciuto il modo in cui hai trattato il tema perché c’è questo messaggio importante, però, sta allo spettatore capire e prendere quello che di buono c’è e come eventualmente risolvere la situazione. Visto che mi dicevi che è stato proiettato nelle scuole, è nato per essere rivolto in primis ai giovani e ai giovanissimi?

Sì! Noi infatti abbiamo cercato di dare tutti i punti di vista. In primis il target è per i giovani, ma in realtà è un corto per tutti. Non a caso non abbiamo voluto trovare il mostro. Perché il problema è che non si tratta di mostri, ma di ragazzi che vanno educati (al rispetto dell’altro).

Quindi è rivolto ai ragazzi, ma anche ai genitori e agli insegnanti che si trovano spesso, purtroppo, a gestire il problema. Il padre, nel corto, è volutamente di sfondo perché non sa che fare, è spiazzato. Poi affrontiamo anche il tema dell’amicizia con il suo migliore amico che prova a fare qualcosa, ma non sa nemmeno lui cosa fare.

Abbiamo cercato di far vedere com’è facile ferire una persona. Non tutti hanno la forza di uscire. Si tratta di una banalità del male che diventa una valanga.

Nonostante sia un cortometraggio, in pochi minuti, infatti, sei riuscita a raccontare non solo la storia di Emma, ma anche quella di tutto il contorno e di tutti i personaggi che gravitano accanto a lei. Ognuno può trovare il proprio alter ego.

Anche secondo me. Durante le proiezioni con le scuole tanti genitori hanno avuto modo di riflettere. Anche con il ragazzo che interpreta il migliore amico (Andrea Golizia) abbiamo parlato tanto della sceneggiatura perché lui stesso diceva «vorrei fare di più».

Anche la ragazzina che incontra dallo psicologo funge un po’ da angelo custode e dà una sua chiave di lettura: ripartire da quello che fa bene.

Alcune scelte: Margherita Giusti Hazon o Jacopo Matteo Golizia?

Visto che hai citato la ragazza che incontra dallo psicologo e alla luce delle proiezioni che mi hai detto ci sono state nelle scuole, l’obiettivo era davvero quello di spiazzare lo spettatore e metterlo di fronte a questo scenario? Perché, in effetti, si tratta di un finale inaspettato. È nato così fin da subito?

Era un po’ l’obiettivo. Quando scrivi qualcosa su dei personaggi ti affezioni a loro e hai sempre una sorta di protezione nei loro confronti. Ma è giusto anche lasciarli camminare sulle proprie gambe. In questo caso tutta la storia di Emma portava lì, alla scena finale. Il finale alternativo, che era quello che io per prima avrei voluto, non avrebbe forse avuto lo stesso effetto.

Torno su un altro elemento che hai citato: il miglior amico. Ho trovato interessante far raccontare a lui la storia fin dall’inizio arrivando a darne quasi una sorta di morale. Si tratta di una tua scelta o di una scelta registica?

L’abbiamo un po’ pensato insieme io e il regista perché ci domandavamo chi poteva essere il narratore: Emma o un narratore esterno? Entrambi abbiamo optato per il migliore amico. Ci siamo detti che chi resta deve portare la testimonianza di quello che è successo. E Andrea si fa carico di questo. Probabilmente farà un video che poi caricherà su Youtube o sui suoi canali. L’idea è che c’è qualcuno che è rimasto e ha vissuto la cosa dall’esterno e per tutta la vita vivrà con le conseguenze di questa tragedia.

Una domanda anche sul titolo scelto che è interessante. Mi sembra un chiaro riferimento ai famigerati haters che ormai sono sempre più frequenti, ma è anche una riflessione sulla parola odio e una sorta di appello a rivolgersi soprattutto ai più giovani, la cosiddetta generazione Z. È un’interpretazione corretta?

Sì, corretta su tutti i fronti! Anche questa è stata un’idea comune perché non sapevamo come chiamarlo. Con il brain storming siamo arrivati a Hater, ma aggiungendo il richiamo alla generazione Z e al dilagare di questo fenomeno con internet.

Non solo Hater-Z. Anche Luna

Passiamo, invece, all’altro cortometraggio, Luna. Come hai avuto l’idea?

Qui la genesi è stata un po’ diversa. Io avevo scritto un racconto dal titolo La notte in cui mi amerai uccideremo qualcuno. Ed era un racconto sull’amore, abbastanza cupo. Ero ossessionata dall’idea che a ogni azione corrisponde un’altra azione spesso contraria: quindi mi sono basata sul fatto che l’amore è una forza talmente potente da essere distruttiva da qualche altra parte. Ogni volta che qualcuno si innamora succede qualcosa di tragico. Da qui ho sviluppato questo racconto.

Si tratta della storia tormentata di questi ragazzi. Una sera sembra che le cose tra loro funzionino, ma quando lui porta a casa lei, in un momento di distrazione, investe una ragazzina. Quindi si hanno tre destini che si incrociano. Dopo l’uscita del racconto sono stata contattata dal regista ed è nato questo corto che è stato interpretato in modo diverso da tante persone.

Il cortometraggio mi è sembrato anche una sorta di elogio al paesaggio. Oltretutto è stato girato durante il covid ed effettivamente si percepisce questa sensazione di essere fuori dal mondo.

Qualcosa di buono, al netto di tutto quello che è successo, c’è dopo la situazione del covid: abbiamo recuperato anche la magia dei luoghi. È stato drammatico girare, ma anche magico. Viene fuori una Milano deserta con la neve, che è rarissimo. E poi c’era anche la luna piena.

La musica

Si può dire che uno degli elementi in comune tra i due corti è la musica? È presente, come parte integrante dei personaggi, in entrambe le storie (accompagnate, poi, sullo schermo, anche da altra musica).

Sì! Anche per la musica c’è una storia magica. L’ha composta mio papà che fino a 10 anni fa ascoltava me suonare il pianoforte a casa senza mai aver toccato lo strumento. Poi un giorno ha cominciato a suonarlo per divertimento e, per caso, ha scoperto di avere l’orecchio assoluto. Per sfruttare questa cosa ha cominciato a prendere lezioni e comporre: ha creato queste musiche bellissime, stile Einaudi che abbiamo inserito.

La musica è comunque un elemento importante in entrambi i corti.

Adesso stai già scrivendo qualcosa? Progetti futuri?

Adesso sto girando un altro corto con un’altra troupe. Si tratta sempre di un corto indipendente, ma più strutturato, con un’attrice più famosa. Ma è sempre una fiaba. Ho scritto la sceneggiatura, da metà luglio iniziamo a girare.

Poi ho scritto un libro che sto cercando di pubblicare da un po’. Le tematiche sono sempre fantasy, amore, storie impossibili.

Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli

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