‘Ecce’ e il suo disturbo curativo

Ecce parla in maniera celata della giornata monotona di una ragazza, usando un bianco-nero animato. La protagonista si prepara alla sua routine con una sigaretta e svolgendo tutte le azioni quotidiane in modo calmo ed ordinato. Il copricapo che indossa prima di uscire sul balcone la mette sullo stesso piano di tutti gli altri personaggi.

Le melodie di sottofondo creano livelli danteschi, danzando con le immagini. Ogni figura suona uno stendi-abiti come se fosse uno strumento musicale, ma questa pratica viene interrotta dalla protagonista, quando lei stessa ne rompe una corda. La sua disperazione è palpabile, non riuscendo più ad avere una sorta di zona comfort alle sue spalle, che la manda definitivamente in crisi. Il finale però va verso un dramma irrisolto, chiudendo l’immagine del corto allo stesso modo di come è iniziato.

Le tematiche del cortometraggio risultano sempre attuali; inoltre in tutti e sette i minuti della durata, ogni scena lascia libere interpretazioni ad ogni persona del pubblico.

Essere prigionieri

Margherita Premuroso parla allo spettatore non scoprendosi troppo. L’animazione in bianco-nero, con tratti a matita, disegna dei quadri perfetti e ben dialoganti tra loro. La protagonista si muove sempre in maniera ordinata e conoscendo ogni sua piccola azione futura. La scenografia è curata in tutti i minimi dettagli, ogni oggetto riesce ad emanare una propria energia. I copricapo che fungono da maschere rendono tutto più angosciante e oppressivo. Questa galera viene enfatizzata anche dal finale che non rilascia positività, ma solo realtà; dimostrando coraggio e audacia anche tramite i mezzi utilizzati.

La crudità della vita viene spiattellata in faccia allo spettatore, senza farsi troppi problemi e senza cadere nel banale usando immagini violente. Eloquenti anche le frasi dopo i titoli di coda, che rendono tutto il prodotto a dir poco eccezionale.