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‘Cinema di carta’. Recensione del libro di Manuela Russo

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Cinema di carta è un libro scritto da Manuela Russo per UTET Università. Si tratta di uno studio su sette trasposizioni cinematografiche che, in un percorso attraverso must see e must read , si interroga sulla relazione tra cinema e letteratura. Manuela Russo insegna Lettere in un liceo torinese. Ha collaborato con Cineforum e scrive per Taxidrivers. Ha inoltre curato alcune sezioni del Manuale di storia del cinema (2014) e della terza edizione del Manuale del film (2018) di Rondolino e Tomasi.

Cinema di carta, un’analisi a più livelli

La formula dell’adattamento cinematografico da un’opera letteraria è antica quanto il cinema. E’ possibile rintracciarne le prime testimonianze negli anni dieci del Novecento. Da lì, il dibattito sulla reale adattabilità allo schermo della storia che nasce su carta è ancora aperto. Epstein sostiene che tra cinema e letteratura sussiste un «naturale flusso di scambi reciproco che dimostra più di una parentela», una familiarità che passa innanzitutto dal predominio della vista sugli altri sensi.

Manuela Russo parte da questa dicotomia, già evidente nel titolo, nella composizione del suo studio sugli adattamenti. Cinema di carta è un lavoro analitico, con sguardo preciso a vivisezionare inquadrature, sequenze e sceneggiature. L’autrice si serve della tecnica della comparazione per illustrare i prodigi messi in atto dai registi, come creature nuove e al contempo non “originali”. In tal senso, rimanere fedeli o tradire la fonte sono scelte creative di responsabilità dei cineasti e che nel libro vengono narrate. Ma sono anche il pretesto per condurre una riflessione più ampia sul rapporto tra cinema e letteratura, due vasi comunicanti.

Gli approfondimenti proposti consentono di addentrarsi nella fitta rete dell’impalcatura narrativa con approccio metacinematografico e metaletterario. Così, mentre l’autrice scandaglia i singoli adattamenti cinematografici, va pure al nocciolo del raccontare stesso, prediligendo una tessitura stratificata.

Cinema di carta, l’alfabeto dell’adattamento

Non tutti gli adattamenti riescono. Spesso il problema è alla radice: nella trasposizione, il cinema deve operare una compressione dell’opera letteraria e confinare l’indagine psicologica dei personaggi. Non a caso, gli adattamenti scelti dall’autrice hanno al centro protagonisti dalla vita intima sedimentata e plurima. Eppure entrambe le posture, di chi scrive o gira e di chi riceve, si appellano a dimensioni soggettive e affettive, aldilà dell’oggettivà delle discipline.

Gli adattamenti indossano abiti differenti. Shining di Kubrick “eleva” il prodotto originario di King con un ritorno di attenzione straordinario alla versione letteraria, oppure Il Grande Gatsby di Luhrmann osa stravolgere la materia organica del grande classico di Fitzgerald. Meglio corrispondenti, invece, Il deserto dei tartari di Zurlini e Dracula di Coppola. Altre volte, le trasposizioni possono essere una sintesi della forma letteraria e audiovisiva come nel caso de Il Gattopardo di Visconti o de Il racconto dei racconti di Garrone.

Gli studi vagliati mostrano che la semiotica cinematografica nella sua accezione di messa a fuoco del cinema come fenomeno linguistico è ancora possibile se si conoscono i suoi principi di funzionamento e se si ha una chiara ipotesi esplorativa.

Cinema di carta, il fuori campo impossibile

A proposito della versione cinematografica de Il deserto dei tartari, si legge da Cinema di Carta:

la tragedia de Il deserto dei Tartari è la tragedia ontologica del cinema, e nasce dall’impossibilità di filmare il fuori campo, l’unico luogo cioè da cui i soldati della Fortezza Bastiani attendono una risposta certa dell’esistenza del nemico.

Se è vero che la settima arte ci “insegna a desiderare”, come scritto nell’esergo del libro, Cinema di Carta è nella sua natura ossimorica una sollecitudine a familiarizzare con il dettaglio e il fondo, nella consapevolezza del fuori campo impossibile. Che si tratti della contraddittorietà di due registri nella forma antitetici o dell’assurdità (?) di voler spiegare “le immagini con le parole”, le analisi proposte trattengono questa tensione di verità e mistero. La natura corporea dello sguardo e dell’oggetto guardato è altresì preservata.

Ecco che nelle pagine di Cinema di Carta l’altro diventa un’ipotesi realistica di fuori campo impossibile, sempre ricercato ma inafferabile. In questo cinema e letteratura sono proprio uguali, nell’intendimento dell’altro come spinta e meta del proprio operare.

Il libro di Manuela Russo è un tentativo ben riuscito di coniugare indagini differenti e coordinate, con l’ingegno e la premura di chi tocca con mano qualcosa di prezioso e adotta la giusta distanza per vederlo meglio.

Sono Diletta e qui puoi trovare altri miei articoli

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