In uno dei primi capitoli di Moby Dick, Ismaele riflette sul piacere di trovarsi al caldo sotto le coperte, proprio perché fuori, e nella stanza stessa, sente un gran freddo. Per godere veramente del calore, sottolinea il narratore melvilliano, occorre la presenza del freddo, e a questo mondo non c’è qualità che non sia tale solo per contrasto. Nulla esiste in sè. In modo simile la luce si circonda di oscurità, esiste in essa e da essa, ed è proprio quel contrasto a dar forma al visibile e alle immagini. Argileak significa “apparizioni di luce” e il cortometraggio di Patxi Burillo Nuin, in concorso al Pesaro Film Festival 2023, nasce difatti dall’oscurità. La esplora e sprofonda al suo interno, dandole plasticità, mentre apparizioni di luce affiorano come scogli nell’oceano.
Nel 1931 migliaia di persone accorsero nel paesino spagnolo di Ezkio a seguito di presunte apparizioni della Vergine, riferite da alcuni bambini del luogo. Argileak inizia proprio mostrando delle fotografie di quella folla, in cui vediamo volti con le orbite oculari nascoste nel buio. Sono presenze fantasmatiche che emergono dal passato, catturate in immagine nell’atto del guardare, mentre attendono che la visione si manifesti dinanzi a loro. Credono in quello sguardo e in quell’attesa, eppure è uno sguardo che non trova sfogo (se non nell’oscurità che ammanta i loro occhi), perso tra le pieghe del tempo.
Volti nel buio
A quei volti impenetrabili e immutabili succedono pochi minuti dopo i volti di un pubblico cinematografico del presente, nel buio di una sala. Gli occhi in questo caso sono vivi e guizzanti, catturati dallo schermo e dalle immagini che vi scorrono. Queste nuove figure entrano così in contrasto con quelle precedenti, in una sorta di campo e controcampo a distanza non di spazio (ci troviamo sempre a Ezkio) ma di tempo, rievocando quelle contrapposizioni di volti presenti in Heat di Michael Mann, con il contrasto tra occhi e cavità apparentemente vuote, tra lo sguardo e la sua percezione (o assenza).
Non sappiamo cosa stia guardando il pubblico in Argileak e non ha alcuna rilevanza, poiché il soggetto diventa lo sguardo dei vari spettatori (che sono soprattutto bambini) illuminato dalla luce riflessa dallo schermo. Osserviamo quindi il controcampo del cinema e il modo in cui la luce e le immagini agiscono sui volti, che diventano a loro volta uno schermo e un paesaggio modellato da quel tenue bagliore e dalle emozioni che si riverberano. E di fronte a quei volti ci specchiamo inevitabilmente in essi.
Argileak in pochi minuti si interroga dunque sull’atto del guardare con estrema profondità, sondando anche la natura stessa del cinema e delle immagini. Immagini che vengono liberate dall’oscurità attraverso il contrasto con la luce, così come per Michelangelo le statue dovevano essere liberate dal blocco di marmo. Questo atto di liberazione, il buio costellato da sporadiche luci e i volti rischiarati e incantati al cospetto dello schermo risvegliano emozioni intime e connaturate, rievocando quella fiducia nello sguardo e quella voglia di credere nell’immagine che hanno comportato i fatti di quasi un secolo fa.