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‘LOVE CLUB’ : il locale e l’invisibilità LGBTQIA+
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1 anno agoon
È sbarcata Amazon Prime Video la miniserie antologica Love Club composta da quattro episodi e basata sulle esperienze delle stesse creatrici, attiviste LGBTQIA+ , Silvia Di Gregorio, Bex Gunther, Denise Santoro. Alla regia Mario Piredda già visto nel dramma famigliare L’agnello.
Love club Il club come auto-rappresentazione delle battaglie queer
Il filo conduttore delle quattro storie , e nei primi episodi di Luz e Timothy, è il locale che viene mantenuto a fatica con imminente sfratto dalla prima protagonista e collante dei vari episodi. Un locale che si immedesima nelle battaglie della comunità e lo fa attingendo alla musica come traino esperienziale di una ribellione che conduce all’identità LGBTQIA+, e al manifesto di una Milano specchio dei tempi. Inclusivi e riflesso dell’ultima generazione di immigrati che si sentono milanesi a tutto tondo ma anche non parte effettiva della città. L’intento della scrittura a tre di Di Gregorio/Gunther/Santoro vorrebbe essere quello di fare il proprio Pose , serie Netflix sul transgender. E proprio nel l’episodio di Luz, il primo, si respira proprio quell’ambiente eccentrico e peccaminoso. Lingue che si incrociano, sesso nel piccolo bagno del locale e musica essenzialmente queer, su tutte Ditonellapiaga. La protagonista del primo episodio lotta con la propria rivendicazione di chi è. Il conflitto con la madre è il principale contraddittorio tematico che la serie pone come opposizione al manifesto queer. Ciò avviene dentro un locale pieno di colori fluo, pista da ballo come contenitore di tutte le parti della comunità LGBTQIA+ , e il rumore di una Milano che non vede l’ora di gridare io ci sono.
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IL TRAILER
Le parole della creatrice Denise Santoro
“L’intenzione di scrivere Love Club è nata dall’esigenza di rappresentanza nella serialità e nell’intrattenimento in generale. Ricordo la piccola Denise che sognava di vedere qualcuno come lei in tv e nelle serie televisive, per sentirsi meno sola. Quindi Love Club vuole essere un modo per aiutare le persone a sentirsi meno sole e meno invisibili”.
Luz e Timothy, annegare e riemergere
Love Club punta a rappresentare gli invisibili e la voglia dei protagonisti di sentirsi meno soli cercando di essere se stessi. E per fare ciò si serve di eguali espedienti nel corso della narrazione che ritornano continuamente. Seppur venendo da un contesto sociale diverso, la ribelle di famiglia borghese lei e il ragazzino bipolare chiuso nella pizzeria di famiglia lui, Luz e Timothy vanno incontro alla stessa costruzione del racconto. Partono da una difficoltà di incomprensione di base entrambi. Luz viene rappresentata dalla madre come una bambina capricciosa e come il locale anche la sua sessualità è una moda che secondo la madre, dirigente d’azienda, deve passare in fretta. Su Timothy abbiamo un punto un po’ diverso, un differente disagio sociale ma che parte sempre da un punto di rottura e di declino.
Il protagonista del secondo episodio è alle prese con un serio problema di bipolarismo che lo ha fatto sfollare mentre era in consolle con annesso vomito al Love Club di Luz. Tutte e due partono dai dissidi con la propria famiglia. Ceti sociali diversi. La classica bad girl Luz, e il ragazzo incompreso rinchiuso nella pizzeria del fratello con un’ omosessualità ancora nascente. In entrambi c’è l’incontro con il loro plot point amoroso e in entrambi la via dell’alcol e i tremila messaggi per rimediare ai casini che hanno combinato. Lo schema viene proseguito dall’altra parte che protende verso il/la protagonista, anche se con scene abbastanza pasticciate, in una risoluzione che ha a che fare sempre con il Love Club e il suo centro di identificazione della comunità LGBTQIA+.
Il mondo dentro Love Club : stretto, molle, marginalizzato
Tutto riconduce al Love Club senza ricondurre a nulla in realtà. Perché al netto di evidenti problemi di scrittura, e di una recitazione abbastanza scadente, sfugge la rappresentazione del mondo queer. Il locale dovrebbe essere il punto di ritrovo dove battaglie e umori LGBTQIA+ si riconnettono , ma diventa invece un universo molle dove il coming of age dei protagonisti tende a svilupparsi. Se il ritrovo del club era il cenacolo della comunità al riparo dalla marginalizzazione dell’esterno e della loro forza dell’interno, allora Love Club ha fallito nel suo messaggio. Un mondo LGBTQIA+ che non si vede mai a parte per le esperienze dei protagonisti. In Luz vediamo i suoi tradimenti ai danni della sua ragazza e solo nelle ultime scene la ripresa tematico del club come sacro graal LGBTQIA+.
L’episodio di Timothy avrebbe invece tutto per funzionare: il bipolarismo, la difficoltà delle terze generazioni degli immigrati milanesi. Invece il rincorrere la passione per la musica si confonde alla relazione nata col gamer in un ibrido strano tra rom-com e denuncia sociale. In effetti la scrittura non è delle migliori. In 30 minuti si avrebbe tutto il tempo per una scaletta che possa unire degnamente la parte orizzontale del queerismo e quella verticale dei sentimenti. Sembra invece un’operazione più da acerbi cortometraggi con a monte una difficoltà evidente di rappresentazione sia in scala seriale. Perché noi non sappiamo i turbamenti, gli ostacoli che i protagonisti hanno nella loro quotidianità. Sappiamo solo il loro turbamenti sentimentali di una serie che dovrebbe mettere in luce la loro situazione di invisibilità di personaggi che più visibili non si può.
Gli episodi iniziali , che proseguiranno con quelli di Rose e Zhang, descrivono una comunità che vorrebbe comunicarci il suo senso di solitudine e che solo a sprazzi intraprende quel tortuoso tragitto di identificazione esistenziale. La serie di Amazon Prime Video, si occupa invece delle difficoltà amorose di quattro giovani millenials in cerca del proprio posto nel mondo a prescindere dal Love Club e dalla comunità LGBTQIA+.