HOLGUT, a metà fra documentario e finzione, è presentato alla 21° edizione dell’Euganea Film Festival.
Il film è firmato dalla regista indipendente belga Liesbeth De Ceulaer. Prodotto da Tomas Leyers e Erik Lambert, è distribuito da Mind Meet e Stemperl Film. Sarà proiettato alla Casa Rupestre Sengia dei Meoni, nel Basso Vicentino, il 26 giugno 2023 alle 21:45.
HOLGUT: la trama e la regia
Mentre il permafrost si sta sciogliendo nel bel mezzo della Tundra siberiana lasciando apparire i resti di animali scomparsi, i cacciatori Roman (Roman Skrybykin), Kyym (Kyym Skrybykin) e Semyon (Semyon Grigoriev) si ritrovano, loro malgrado, intrappolati in un clima glaciale che pare letteralmente trasformarsi sotto i loro occhi. Il viaggio che hanno intrapreso muta al ritmo della natura stessa, e li rapporta a una realtà spesso crudele dalla quale è impossibile sfuggire.
Liesbeth De Ceulaer è una regista indipendente belga, autrice di The best Act on the Isle (2008), Behind the Redwood (2013) e Victoria (2020).
I suoi film esplorano da sempre il rapporto teso e complesso tra l’uomo e l’ambiente. La sua ultima opera, HOLGUT, non si sottrae alla sua poetica ed esplora il senso dell’abitare, conducendoci in mondi affascinanti, nei quali documentario e finzione sono in uno scambio continuo.
Qui di seguito la regista parla della sua esperienza e di com’è iniziato il progetto di HOLGUT:
“Cominciai le ricerche per il film nel 2013. Sono rimasta affascinata dalle diverse storie di estinzione di animali a cui hanno contribuito gli esseri umani. Più ne leggevo, più mi rendevo conto che avevo bisogno di mostrare questo mondo selvaggio e cercare una storia specifica che ne parlasse. Sebbene le estinzioni siano avvenute in passato, non volevo fare un film storico.
Volevo un film che mostrasse che sta succedendo ancora oggi, davanti ai nostri occhi. Durante le mie ricerche ho appreso la storia dei mammut e come, a causa del cambiamento climatico, i loro resti stiano tornando in superficie. A un certo punto ho conosciuto questa famiglia di pescatori che vive in un villaggio sperduto e non è legata direttamente ai mammut. Nel corso degli anni, tutti gli elementi del film si sono riuniti.”
HOLGUT: le tematiche
I protagonisti del film, immersi nel mondo selvaggio della tundra, sembrano danzare fra passato e presente, fra natura e scienza. Il ruolo giocato dagli esseri umani nell’estinzioni di alcuni animali e il peso della loro scomparsa sulla vita umana e non solo, sono tutte tematiche vivissime nei film della regista belga.
Liesbeth De Ceulaer affronta pertanto la tematica dell’abitare sulla terra in modo non dogmatico con un discorso diegetico pseudo-scientifico, soprattutto nella prima parte del film, relativamente lineare.
Il viaggio nelle viscere della Siberia
HOLGUT, nonostante la sua spiccata vena documentaristica, diviene piuttosto un viaggio mistico e onirico. Il lato poetico e avventuroso prende il sopravvento per arrivare alle viscere di una terra che si sta man mano sciogliendo e trasformando.
Nel film il genere del documentario si fa pretesto per mostrare la realtà non tanto per come si presenta ma, piuttosto, per far riemergere un passato glorioso fatto di miti e leggende. In questo modo lo spettatore è costretto a confrontarsi con tutte le sue contraddizioni e fragilità.
HOLGUT: fra realtà e mito
Il film mette in evidenza tantissimi ossimori della visione dell’uomo sulla natura. I protagonisti partono per una partita di caccia, ma quel che troveranno sono solo reti da pesca vuote e una tundra spopolata.
Ciò che rimane è piuttosto il solo ricordo di un mitico animale: la renna selvatica. Nello stesso momento il terzo protagonista, lo scienziato Semyon, è alla disperata ricerca del DNA di Mammut per poterli un giorno clonare.
Per motivazioni diverse il viaggio dei tre si trasforma con il procedere del film stesso, mentre loro si ritrovano a tu per tu con una natura selvaggia che cambia al loro stesso passaggio e si confrontano con una realtà crudele e spietata.
Perdendosi in HOLGUT
HOLGUT, combinando elementi di finzione con quelli propri del reale, trasforma il reale in poesia e la poesia in realtà. Attraverso gli occhi dei protagonisti le leggende, che siano mammut o renne selvatiche, penetrano la realtà cambiandone i connotati e le sicurezze che in essa si trovano.
In questo modo emerge tutta la contraddizione umana che, nonostante sia alla ricerca della sua natura selvaggia, è essa stessa artefice della sua distruzione.
La macchina da presa sembra quindi perdersi con lo stesso sguardo dei protagonisti: dopo una rarissima inquadratura a 360°, il film sembra fagocitato nello sguardo della natura.
La cinepresa indugia su di essa, “perde” tempo e a sua volta vi si perde. Verso la metà del film, infatti, la regista fa letteralmente dissolvere uno dei protagonisti come a farci capire che tutto torna a Madre Terra.
Da ora in poi lo sguardo cambia; non siamo più noi spettatori a guardare la Natura, ma è lei che ci guarda ed emerge in tutta la sua grandezza, si scioglie, diventa fragile e fa riemergere le ossa dei mammut come fossero state celate da uno strato di ghiaccio esposto al sole.
La Tundra diventa così un palcoscenico della disumanità dell’essere umano, un luogo misterioso e impenetrabile.
La regista in questo modo permette ai miti e ai fantasmi del passato di riemergere con grande angoscia sullo schermo.
HOLGUT da documentario diviene così una pellicola estremamente poetica. Se all’inizio era l’uomo che guardava la Natura e quindi la dominava, verso la seconda parte il cambiamento del punto di vista fa ribaltare le cose. La macchina da presa non può che perdersi in essa, sulle orme di miti misteriosi e indecifrabili.
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