Giovanni Berardi e Michele Soavi
Dice il regista Michele Soavi: “Io sono cresciuto in un cinema anche povero, ma dove non mancavano gli stimoli e le idee, che era il cinema di genere. Devo moltissimo, ad esempio, al modo di lavorare che aveva il regista Aristide Massaccesi, fautore di un cinema di genere davvero a tutto tondo, esemplare, onesto. Massaccesi stesso, con la sua società di produzione, la Filmirage, ha prodotto tra l’altro il mio primo film, Deliria, nel 1986. Senza quella opportunità forse oggi non sarei qua, non avrei le spalle coperte da sei film e da dieci serial televisivi”.
Soavi, anzi la sua umiltà e la sua sincera riconoscenza al suo primo produttore ci regala proprio l’opportunità, e noi la cogliamo al volo, di ricordare un grande regista del cinema a bassissimo costo che è stato Aristide Massaccesi. La sua morte così improvvisa, proprio all’aeroporto di Fiumicino e prima di un volo, in una età ancora così giovane, ha privato il cinema italiano di un talento che il cinema lo sapeva riconoscere proprio dalle fondamenta, e anche un genio dell’arte di arrangiarsi, uno che sapeva costruire un film con degli effetti speciali ricavati dal niente, o quasi, proprio alla maniera del grande Mario Bava. La lezione di Massaccesi, ricorda Soavi, era tecnicamente perfetta, soprattutto con riferimento alla gestione del budget – non si sprecava una sola lira – insieme ad un consolidamento (anche rischiando quasi l’esaurimento) di un filone cinematografico che il pubblico, con la sua massiccia frequenza in platea, testimoniava ancora di gradire.
Dellamorte Dellamore (1994)
C’è un film, di Aristide Massaccesi, passato quasi inosservato dalla critica al tempo dell’edizione, il 1973, come tante altre sue pellicole d’altronde (ma questo titolo proprio ci inorgoglisce e lo citiamo), La morte ha sorriso all’assassino, che meriterebbe assolutamente una riscoperta. La lezione di Massaccesi, proprio così svelta e per certi versi atipica per quel periodo storico e culturale, così volta, aprioristicamente, a rinunciare a tutti gli orpelli stilistici ed alle ambizioni intellettuali ritenute assolutamente inutili, ha fatto concerto e grammatica per Michele Soavi, cresciuto, dunque, in una situazione in cui poi difficilmente si consolidano le condizioni per considerarsi autori; si restava piuttosto un artigiano, un operatore che modella il legno, che leviga un meccanismo, un ingranaggio. E questa, in qualche maniera, come dice Soavi “resta una salvezza”.
Michele Soavi lo abbiamo incontrato a Roma, in un momento di pausa della lavorazione del film televisivo Ultimo. L’occhio del falco. Non ci appare affatto come una contraddizione l’idea che oggi Michele Soavi lavori molto anche per la televisione, anzi. Il senso professionale, quello che proprio lo fa appartenere concretamente al mestiere tanto amato è da lodare in pieno, perchè è proprio la televisione, oggi, che continua a restare un’occasione quasi unica di legame reale con l’attività di regista. La stragrande maggioranza dei giovani cineasti oggi lavorano con una certa continuità solo attraverso il mezzo televisivo, il serial o il film tv, anzi, molto spesso proprio quest’ultimo viene utilizzato come un prodotto pilota per una serie di film televisivi futuri, un lavoro che sarà certamente seriale, ma che la grande passione di questi autori (oltre a Soavi troviamo Riccardo Milani, Carlo Carlei, Gianluca Maria Tavarelli, Gianfrancesco Lazotti, Giacomo Campiotti, Luca Manfredi, Eros Puglielli, Giulio Base, Stefano Reali, Marco Turco, che oggi esercitano la loro professione principalmente in televisione), unita alla grande professionalità conquistata proprio da ognuno, rende certamente i prodotti, che sono sempre realizzati in maniera veloce, ricchi di una certa qualità. La televisione con i suoi serial, quindi, non solo offre lavoro ma consente addirittura la continuazione di un rapporto con i generi più classici del cinema, come lo sono stati in fin dei conti, nei bellissimi anni del cinema visto in sala, il poliziesco, il giallo, l’ horror, il comico. E Michele Soavi di questo ne è profondamente cosciente e riconoscente, anche se ora ammette di pensare ad un nuovo film per il cinema, da girarsi prossimamente, di cui vuole essere esclusivamente l’autore, anche dal punto di vista produttivo. Michele Soavi proviene dalla grande scuola di Dario Argento, che sarà per Soavi anche un produttore: gli produrrà infatti il suo secondo e terzo film, La Chiesa nel 1989 e La setta nel 1991.
La chiesa (1989)
Dice Michele Soavi: “Era proprio il mio sogno di ragazzo, quello di essere l’aiuto regista a vita di Dario. Lo desideravo così tanto che un giorno l’ho cercato, mi sono dato forza e coraggio e l’ho incontrato. Avevo scritto una storiella horror e desideravo fargliela conoscere. Così gliel’ho portata. Dopo qualche tempo ha voluto rincontrarmi, voleva discuterne. Ed è nata una amicizia, proprio tra fan ed autore, ed è stato così fino a quando Dario non mi ha chiamato per collaborare insieme. Fantastico Dario”.
Non male per un ragazzo che poi sarebbe diventato un regista idolo per un fan davvero speciale, quello che oggi è diventato Quentin Tarantino, il regista geniale di Hollywood, degno di entrare oggi entro la scala unica e meritoria formata da autori quali Chaplin, Hitchcock, Kurosawa, Leone, Kubrik. Soavi la racconta così: “Quel giorno ero a Viareggio, alla giuria del NoirFestival, quando, improvvisamente vengo accerchiato da un giovane, poi mi hanno detto che era un regista e che aveva un film in proiezione. Quel film era Le iene, quel regista Quentin Tarantino. Pensa che privilegio, che avventura. Io ancora non lo conoscevo nemmeno come regista, ricordo che avevo dovuto chiamare pure qualcuno per togliermelo di dosso talmente era osannante. Si era buttato davanti a me in ginocchio, a pregarmi proprio per assistere alla proiezione della sua pellicola. Ma io quel giorno ero davvero stanco, avevo già visto quattro film spendendomi troppo in maniera emotiva, per questo al suo, pur avendo assistito brevemente alla parte iniziale, dopo qualche minuto ho deciso di andare via. Evidentemente vedendomi uscire Quentin avrà pensato che il suo film non mi piaceva affatto, invece non era così, solo che non avevo più capacità emotive da dedicare anche a questo film. Non c’è stata più occasione diretta per chiarire questo equivoco con lui, però mi dicono in tanti, amici che ho anche a Los Angeles, che Tarantino quando parla del cinema italiano mi nomina molto spesso”.
Arrivederci amore, ciao (2006)
Continua Soavi, questa volta in merito al nostro elenco di autori meritori stilato in domanda: “Io però li lascerei in pace tutti quelli che hai elencato. Tranne Tarantino, per gli altri chiedo proprio il ricordo sommesso, esemplare ed unico. Noi siamo stati una generazione sensibilmente avvantaggiata, facilitata dall’uso della visione continua dei film in dvd, Tarantino specialmente che in gioventù ha fatto proprio incetta di dvd nel negozio dove lavorava come commesso, specializzandosi tra l’altro proprio nel nostro cinema di genere. Noi abbiamo avuto modo di studiare facilmente, ricercare, capire proprio scena dopo scena vedendo certi film anche cento volte in pochi giorni, andando avanti ed indietro con il telecomando sempre in mano, per meglio assorbire certe lezioni. Per gli altri, parlo di Chaplin, Hitchcok, Kurosawa, Leone, Kubrik, ma ci infilerei anche Tarkowsky e Fellini, tutto questo non è potuto accadere. Questi hanno inventato davvero tutto. Per loro penso che è avvenuto proprio il miracolo, forse una mano dal cielo si è posata sulle loro teste e gli ha detto: andate, Voi dovete fare il Cinema, poi la vostra innata sapienza sarà assoluta maestria per le generazioni future. Tarantino, per carità bravissimo, rimane però essenzialmente una coniugazione di Leone, Mario Bava, Argento, anche di Corbucci, Lenzi, Fulci e di altri maestri giapponesi”. Continua Michele Soavi: “Se Massaccesi ed Argento sono stati dei maestri per la mia preparazione professionale, Lamberto Bava, figlio del grande Mario, è stato sicuramente un padre. Da lui mi sono sentito davvero protetto, curato. È stato Lamberto, ad esempio, a cercarmi, a propormi, quando Argento ha cominciato a definire il casting tecnico di Tenebre (1982), dove sono stato il regista della seconda unità, così come anche nei successivi film di Dario, Phenomena (1985) e Opera (1986). Con Lamberto poi sono venute le mie fondamentali esperienze di attore nei suoi film La casa con la scala nel buio (1983), Demoni (1984) e Blastfighter (1984)”. La riconoscenza di Soavi nei confronti di questi maestri italiani rimane enorme, però è con Terry Gilliam, il geniale fondatore del gruppo britannico dei Monty Pithon, con questo delirio inglese del black-humour, che Soavi dice di avere davvero riconosciuto l’altro lato della luna nel cinema.
Il sangue dei vinti (2008)
Dice Soavi: “I film di Gilliam oltre a possedere una grandissima visionarietà, riescono a sfiorare il genere cinematografico, lo toccano appena e lo sorvolano appieno. Le mie esperienze come regista della seconda unità sui suoi set de Le avventure del barone di Munchausen nel 1989 e de I fratelli Grimm e l’incantevole strega (2005) le reputo proprio fondamentali, e la lunga collaborazione ed amicizia che ne è scaturita davvero accademica per le mie idee di regia. Oggi reputo proprio Gilliam uno dei massimi registi viventi”. Nel 2006, esattamente a più di dieci anni dal suo ultimo film per il cinema, Dellamorte Dellamore, che rientrava a pieno titolo nel genere tanto amato del fantasy-horror, Soavi gira il film Arrivederci, amore ciao, tratto dal romanzo omonimo di Massimo Carlotto. Una storia che sarà al contempo realistica dentro un fondo prettamente italiano e denso di una sicura valenza politica, una lavorazione che Soavi ha sempre definito di aver vissuto come una perfetta continuità con i suoi lavori precedenti.
Dice Michele Soavi: “Ho sempre considerato Arrivederci amore ciao un film che rientrava pienamente nel genere assolutamente nero, un nero totale che derivava proprio dalla sua tragica realtà narrativa”. L’ultimo lavoro di Soavi per il cinema rimane Il sangue dei vinti (2008), tratto dal romanzo di Giampaolo Pansa e girato nella doppia versione televisione-cinema. Dice Soavi: “È un’operazione che reputo sicuramente bastarda. C’era in prima analisi il libro di Pansa che ha sconvolto molto la coscienza della storia, che, ma questo è risaputo, viene scritta sempre dal vincitore, c’era la televisione, c’era il cinema con il produttore Alessandro Fracassi, c’erano i loro soldi insomma, e il mio primo interesse per questo progetto era proprio quello di riuscire ad affermare qualcosa contro questa sinistra politica italiana, perché, francamente, anche oggi ci ha stufato oltremodo. Le cose che Pansa ha scritto e denunciato, feroci episodi della seconda guerra mondiale in Italia, sono stati in realtà sottaciuti negli ultimi settant’ anni proprio da una sinistra sempre di potere, sia che governasse, sia che stesse all’opposizione. Durante la lavorazione del film, i dubbi che nascevano erano proprio dovuti a tali problematiche delicate e scottanti, e gli aspetti estetici che dovevano connotare il racconto cinematografico finivano sicuramente in secondo piano”. Ricordiamo che Il sangue dei vinti, quando uscì nelle sale italiane, comportò una serie di conseguenze anche estreme, il film diede sicuramente molto fastidio, tanto da registrarsi episodi di intolleranza verso i locali in cui il film veniva proiettato. Dice Soavi: “ma ben vengano ancora i film che provocano fastidi”.
Ed in questo, ci viene in mente la grande lezione del cinema di Elio Petri e Ugo Pirro con i loro lavori, e soprattutto Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) che fece proprio rischiare la galera al regista ed allo sceneggiatore. Salvò i due autori solo il clima popolare di rivolta ad ogni forma di oppressione, di regime, di dittatura, di censura culturale, di offesa alla democrazia, proprio sentita davvero in quei tardi anni sessanta e per buona parte degli anni settanta.
Giovanni Berardi