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“A day in a life”: le ansie e le pulsioni giovanili sempre al centro dell’opera di Larry Clark

Clark sofferma la sua riflessione sulla fretta e l’ansia di crescere di molti tra gli adolescenti di oggi

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Su Mubi A day in a life, ovvero l’ultimo cortometraggio che segna il ritorno in regia del celebre fotografo e regista statunitense da tempo attivo soprattutto in Francia, Larry Clark, noto al pubblico almeno per Kids (1995), Another day in Paradise (1998), Bully (2001), Ken Park (2002) e The smell of us (2014), e che qui dirige assieme al suo fidato collaboratore e sceneggiatore Jonathan Velasquez.

Al centro della vicenda il disagio giovanile diviene il perno ed il filo conduttore di tutto ciò che sta attorno ai due protagonisti.

Nel ruolo del padre diffidente ed ansioso della giovane protagonista, ritroviamo il noto attore francese Vincent Macaigne.

Il desiderio e la voglia di crescere

Gabrielle ed Enzo sono due adolescenti di famiglie benestanti che frequentano lo stesso liceo.

Da tempo si osservano e si piacciono fino a desiderarsi, ma senza mai ammetterlo o dichiararsi.

Una festa in una casa nel Marais parigino potrebbe finalmente farli incontrare e suggellare con il sesso quell’attrazione che ormai entrambi non riescono più a nascondere.

Intanto per entrambi la vita nel gruppo continua tra corse sugli skateboard, canne e somministrazione di droghe che celebrano solennemente e drasticamente la fine di una adolescenza sempre rinnegata da una smania smodata di passare direttamente ad una età adulta che, quasi sempre, si rivela in gran parte deludente.

A day in a life – la recensione

Da tempo, anzi da sempre il racconto cinematografico di Larry Clark si concentra sul mondo tormentato dell’adolescenza.

Diventare grandi, maturare, crea subbugli interiori, ansie, smania di arrivare e desiderio di scoprire che, spesso, traviano l’adolescenze verso derive da cui a volte non è possibile più tornare indietro.

“Cerca di non diventare mai come noi”.

Un padre diffidente ma anche distratto (lo interpreta, a sorpresa, un Vincent Macaigne scostante e davvero irritante), che si preoccupa più del trucco della figlia che delle sue reali frequentazioni, improvvisa un serrato interrogatorio alla figlia e, ancor più., all’amica di costei, devastato alla sola idea che la figlia possa ritrovarsi alle prese pure lei con un’età adulta che fornisce solo stress e disillusioni a non finire.

Insieme a Gus Van Sant, Larry Clark è sempre stato l’ideale rappresentante di quel lancinante disagio giovanile che si crea nel momento di quel fatidico passaggio tanto anelato verso un’età adulta che finisce per lasciare sempre e solo un vuoto interiore e una delusione cocente nel pensare soprattutto a ciò che si è perso per sempre e a quel poco che si è ottenuto varcando la soglia sin troppo agognata.

Come in ogni corto il tempo è tiranno ed obbliga a scelte e tagli drastici.

Ma la disperazione rimane impressa anche in soli quindici veloci minuti di girato in una capitale francese che accoglie una gioventù completamente assimilabile agli sbandati losangeliani delle opere precedenti del celebre e talentuoso fotografo e regista.

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