Premi Internazionali Flaiano

Flaiano e Fellini: Le due anime del realismo magico

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Dal 26 giugno al 1° luglio, il Teatro Monumento Gabriele D’Annunzio di Pescara sarà il palcoscenico del Flaiano Film Festival, con la direzione di Riccardo Milani. Anche quest’anno siamo lieti di poter essere media partner del premio, che dal 1973, viene assegnato a personalità che si sono distinte negli ambiti della letteratura, del teatro, ma anche del cinema e della televisione.

Un premio poliedrico, che prende il nome da un intellettuale poliedrico. Ennio Flaiano (1910-1972) fu scrittore, aforista, umorista, veterano di guerra, drammaturgo, critico e sceneggiatore cinematografico. Proprio per questa ultima sua vocazione, che, a nostro avviso, ha segnato maggiormente la cultura italiana, ci interessa di più.

La collaborazione più prolifica dello sceneggiatore pescarese fu con il regista simbolo del cinema d’autore italiano del dopoguerra: Federico Fellini. Un sodalizio spesso travagliato, conflittuale, ma allo stesso tempo prolifico (in modi alterni, la penna di Flaiano contribuì a tutti i film di Fellini realizzati tra il 1950, Luci Del Varietà, e il 1965, Giulietta Degli Spiriti) e pieno d’amore per l’umanità e il cinema che la rappresenta sullo schermo.

Ma quale umanità?

Gli ultimi, gli speranzosi, i sognatori, gli artisti, i visionari. Molti dei protagonisti delle sceneggiature di Flaiano sono creativi o aspiranti tali. Ultimi che vorrebbero essere primi (la Wanda di Lo Sceicco Bianco), e primi che vorrebbero essere ultimi (Guido di 8 ½ o Marcello di La Dolce Vita). Varietà, fotoromanzi, set cinematografici, ma sopra tutti l’onnipresente circo, popolato da clown, giocolieri, trapezisti, sono luoghi e temi ricorrenti.

Flaiano non si limitò a una scrittura prettamente realistica e verosimile dei suoi personaggi (com’era di voga in quel periodo, dopo i successi del neorealismo), ma gli diede vita infondendogli uno spirito magico, nel loro realismo. Stiamo parlando, infatti, dell’esito più felice del realismo magico nel cinema italiano. Riprendendo l’eredità di Jean Vigo, Renoir o il De Sica de Miracolo a Milano (1951), Flaiano eleva dalle loro miserie, anzi, nelle loro miserie materiali e morali, i protagonisti, animando la loro dimensione psicologica. Questa invade il mondo esterno, investendo gli altri personaggi: la vita diventa arte.

Questa traiettoria si dipana come un’esplosione, attraverso i film in una deflagrazione costantemente maggiore, fino a distruggere il mondo diegetico. Se ne Lo Sceicco Bianco, Il Bidone o La Strada, assistiamo perlopiù a personalità eccentriche, azioni deliberatamente esagerate e traiettorie narrative imprevedibili, in 8 ½ e Giulietta Degli Spiriti, invece, non c’è più una netta divisione tra sogno e veglia, realtà e visione. Così, la villeggiatura e il set di Guido non sono meno assurdi dei sogni che fa la notte; mentre i fantasmi del passato di Giulietta sono ospiti fissi del suo salotto o della casa dei vicini, quanto il marito di lei o i suoi amici.

Gli spazi del racconto filmico

Gli spazi del racconto filmico ne escono sclerotizzati, dislocati e ridimensionati. Mentre nel cinema classico l’unità di tempo e luogo era la regola aurea, bussola per orientare lo spettatore all’interno della storia, qui non è sempre possibile capire chi si trovi dove, o quanto disti un’ambientazione da un’altra. Si passa senza soluzione di continuità da un luogo a un altro, girovagando senza meta, in quell’andare a zonzo tipico del cinema moderno europeo.

 

Flaiano fa scorrere i personaggi attraverso strade e piazze di Roma nelle ore notturne, senza che vi ritornino più avanti. Lo stesso fece con la Milano de La Notte (1961) di Michelangelo Antonioni, ma dove il regista ferrarese opterà per un più rigido (ma pur sempre splendido) formalismo geometrico visivo, Fellini coglierà totalmente il potenziale visionario delle pagine di Flaiano.

Certamente, uno dei motivi di scontro tra lo sceneggiatore e il regista riminese furono le libertà artistiche che quest’ultimo si prendeva sul set, re-improvvisando alla giornata scene intere, vedendo la sceneggiatura come un doloroso passaggio obbligatorio per arrivare al film finito, dove le parole dovevano trasformarsi radicalmente in immagini. Questo rende a volte arduo comprendere di chi sia il merito della singola soluzione narrativa, del dettaglio o della battuta.

Ma si può anche ritenere corretto che, se due creativi così ligi alla propria arte hanno collaborato alla lavorazione di nove film (dieci se si considera l’episodio Le tentazioni del Dottor Antonio del film collettivo Boccaccio ’70, 1962) in quindici anni, la loro opera si possa intendere come un’esperienza unitaria. In questa ottica, le loro divisioni non sono state un elemento disgregante, ma un terreno di gioco, dove dal conflitto tra due visioni diverse ne sia nata una terza complementare dove entrambe le loro personalità sono state coinvolte fino in fondo.

Al Flaiano Film Festival 2023, potrete assistere alle proiezioni de Lo Sceicco Bianco (1952) il lunedì 26 giugno, I Vitelloni (1953) martedì 27, Il Segno di Venere (1955) di Dino Risi, mercoledì 28, Fantasmi a Roma (1963) di Antonio Petrangeli, giovedì 29, La Dolce Vita (1960), venerdì 30 e 8 ½ (1963), sabato 1 luglio.

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