Cinquant’anni senza “Nannarella”. Chiamavano così Anna Magnani, con un nomignolo in romanesco che esprimeva l’affetto e la vicinanza ad un’attrice capace come pochissime di esprimere i sentimenti e le emozioni della gente comune, e alla quale Il Cinema Ritrovato, festival in programma a Bologna dal 24 giugno al 2 luglio prossimi, dedica un affettuoso omaggio.
Anna “Nannarella”, lo sguardo segnato dalle occhiaie, l’inconfondibile risata e l’amarezza di fondo difficile da estirpare, era l’incarnazione di quell’Italia autentica, verace e combattiva che voleva risorgere dalle umiliazioni e dagli orrori della guerra.
Fu il Neorealismo, abile a raccontare le durezze di un Paese da ricostruire, ad eleggerla come sua iconica regina. Una regina che, prendendo le mosse da quella romanità profondamente umana, seppe parlare al mondo intero divenendo una delle interpreti più importanti della storia della settima arte.
Una regina che fu costretta ad abdicare una sera di inizio autunno del 1973, quando il tumore al pancreas che l’affliggeva da tempo vinse la sua crudele battaglia.
Anna Magnani morì a soli 65 anni. L’attrice cedette il passo al mito. E il suo volto divenne il volto del cinema.
Oggi, a cinquant’anni dalla morte, vogliamo rendere omaggio a questa grande donna e interprete ripercorrendo i passaggi più significativi della sua folgorante carriera cinematografica.
Gli esordi tra teatro e cinema
Nata a Roma il 7 marzo 1908 da padre ignoto (che, ormai adulta, scoprirà essere di origine calabrese) e da Marina Magnani, una diciottenne che emigrerà in Egitto poco dopo averla data alla luce, la piccola Anna viene cresciuta dalla nonna materna Giovanna e da cinque zie che l’accudiscono amorevolmente.
Dopo aver studiato pianoforte e frequentato la scuola fino alla seconda liceo, la svolta nella carriera della futura attrice avviene nel 1926, quando, assieme a Paolo Stoppa, si iscrive alla Regia scuola di recitazione “Eleonora Duse” (dal 1935, trasformatasi in Accademia nazionale d’arte drammatica), dove incontra Silvio D’Amico – a cui la scuola stessa è oggi intitolata – che subito ne intuisce le grandi capacità interpretative.
Due anni dopo, la giovane Magnani partecipa, non accreditata, al suo primo film dal titolo Scampolo (1928), commedia romantica diretta da Augusto Genina.
Il debutto ufficiale dell’attrice romana al cinema, tuttavia, avviene ben sei anni più tardi, allorché viene chiamata ad interpretare una parte secondaria nel film drammatico La cieca di Sorrento (1934) di Nunzio Malasomma, a cui segue subito dopo la partecipazione alla commedia di Mario Mattoli, Tempo massimo (1934), dove ricopre il ruolo della cameriera Emilia.
Nonostante l’esordio nel mondo della settima arte, la Magnani non riesce ad ottenere ruoli cinematografici importanti, essendo ritenuta poco adatta per quel cinema patinato dei “telefoni bianchi” allora in voga.
È perciò il teatro l’ambito artistico in cui l’attrice ottiene le maggiori soddisfazioni dell’epoca, giacché, dopo il debutto di fine anni Venti con la compagnia di Dario Niccodemi, arriva a lavorare dapprima nel teatro di rivista al fianco dei fratelli De Rege, e quindi a prendere parte agli spettacoli del grande Totò.
Il cinema, in ogni caso, continua a far parte della carriera della giovane Anna, la quale, dopo essere stata diretta nel dramma storico Cavalleria (1936) dall’allora marito Goffredo Alessandrini (da cui si separerà nel 1940, nonostante il tardivo divorzio del 1972), prende parte, tra gli altri, a La fuggitiva, film drammatico diretto nel 1941 da Piero Ballerini, in cui riveste il ruolo di Wanda Reni, madre di una bambina (Mariù Pascoli) al centro delle vicende sentimentali tra la sua istitutrice Delfina (Jole Voleri) e il padre Antonio (Renato Cialente).

Il suo primo ruolo importante: Teresa Venerdì
Lo stesso 1941 è l’anno in cui l’interprete romana ottiene il suo primo ruolo cinematografico di rilievo.
È allora, infatti, che Vittorio De Sica la scrittura per la commedia amara Teresa Venerdì.
La Magnani è chiamata ad indossare i panni della cantante di varietà “Loletta” Prima, amante del giovane medico Pietro (Vittorio De Sica), il cui cuore immaturo è diviso tra la sfrontata Lilli (Irasema Dilian) e l’abile orfanella (Adriana Benedetti) che dà il titolo alla pellicola.
L’anno seguente, l’attrice dà alla luce il suo unico figlio Luca. Si tratta di una delle più grandi gioie della sua vita, sebbene il fatto stesso di essere incinta la porti a rifiutare l’offerta di Luchino Visconti di interpretare la parte di Giovanna (poi impersonata da Clara Calamai) nel film di culto Ossessione (1943).
Persa l’occasione di lavorare col grande regista milanese, nel 1943 Anna Magnani prende parte a vari lungometraggi, tra i quali L’ultima carrozzella di Mario Mattoli e Campo de’ fiori di Mario Bonnard, gustosa commedia popolaresca di chiara impostazione realista in cui interpreta Elide, una vivace fruttivendola destinata ad allacciare una relazione sentimentale col pescivendolo Peppino (Aldo Fabrizi).
La consacrazione con Roma città aperta
Bisognerà tuttavia attendere altri due anni perché l’attrice romana conosca quel successo che merita.
Siamo nel 1945. Nelle sale esce Roma città aperta di Roberto Rossellini, racconto corale incentrato sull’occupazione tedesca della capitale e sulla lotta partigiana per la sua liberazione.
Girato poco tempo dopo la cacciata dei nazisti dalla caput mundi, il film incrocia le vicende dei suoi eroici protagonisti, tra cui don Pietro Pellegrini (Aldo Fabrizi), coraggioso parroco antifascista, e Giorgio Manfredi (Marcello Pagliero), militante comunista membro della Resistenza.
La Magnani è chiamata a interpretare il ruolo di Pina, una donna incinta e già madre del piccolo Marcello (Vito Annichiarico), promessa sposa del tipografo antifascista Francesco (Francesco Grandjacquet).
Il personaggio dell’attrice romana è ispirato alla figura di Teresa Gullace, una donna uccisa a Roma dalle truppe naziste mentre cercava di parlare col marito fatto prigioniero, ed è protagonista di una delle sequenze più toccanti dell’intera pellicola:
Nel palazzo dove abita Pina è in corso un rastrellamento dei tedeschi.
La donna si trova nel cortile dell’edificio assieme alle altre coinquiline. Quando, all’improvviso, vede uscire dalla porta alcuni soldati nazisti insieme ad un uomo appena catturato.
Pina, presa di soprassalto, riconosce il suo Francesco.
– “Francesco, Francesco!”, grida.
L’uomo, mentre viene portato via, le risponde invocando il suo nome: “Pina, Pina!”.
La donna lo chiama ancora: “Francesco, Francesco!”. Quindi, divincolatasi da un militare che vuol fermarla, corre in strada, dove il suo uomo è già stato caricato su di una camionetta.
– “Francesco, Francesco!”, urla sempre più disperatamente.
La camionetta riparte.
– “Francesco, Francesco!”, insiste Pina mentre, stretta dall’angoscia, rincorre la vettura.
Quando, all’improvviso, si sente partire una raffica di mitra.
La donna cade a terra colpita.
La raggiunge il piccolo Marcello che ha assistito alla scena: “Mamma, mamma!”, grida sconvolto.
Don Pietro accorre dalla donna e, in un estremo atto di pietà, le risolleva il busto da terra accogliendolo tra le sue braccia.
La scena è di una potenza drammatica raramente vista nel cinema: Pina, in pochi secondi, si trasforma nel simbolo tragico della violenza della guerra, ma anche nell’emblema di un popolo che non accetta di essere sopraffatto, e che, anzi, è pronto a difendere coi denti ciò che gli appartiene.
La sequenza entra nella storia della settima arte. La donna è morta, ma proprio in quel momento si compie un miracolo cinematografico. Perché, cadendo esanime, Pina fa assurgere Anna Magnani nell’Olimpo del cinema.
È l’apoteosi: Roma città aperta diventa il pilastro del Neorealismo e l’interprete romana (qui premiata con il Nastro d’argento come miglior attrice non protagonista) ne viene eletta sua inscalfibile icona.
Il film ottiene vari riconoscimenti internazionali venendo premiato al Festival di Cannes del 1946 con il Grand Prix du Festival International du Film (quella che oggi è la Palma d’oro) e ricevendo la nomination per la miglior sceneggiatura originale agli Oscar del 1947.
Il pubblico delle sale è travolto da un’ondata di forti emozioni nel ripercorrere la sua storia recente. Non c’è fazzoletto in grado di raccogliere le lacrime versate per un racconto intriso di verità assoluta.
Roma città aperta è un autentico capolavoro. E il mondo finalmente conosce l’immensa grandezza di Anna Magnani.

Anna Magnani dopo il successo di Roma città aperta: da Il bandito alla “guerra dei vulcani”
Il periodo immediatamente susseguente la realizzazione di Roma città aperta si rivela particolarmente felice per la Magnani. Il sodalizio artistico con Roberto Rossellini si trasforma in una relazione sentimentale, mentre dal punto di vista lavorativo fioccano importanti proposte.
L’attrice romana prende parte a vari lungometraggi, tra cui, nel 1946, Il bandito di Alberto Lattuada, cupo racconto che, incrociando melodramma, neorealismo e gangster movie, narra delle vicende dell’ex prigioniero di guerra Ernesto (Amedeo Nazzari), il quale, tornato in Italia alla fine della Seconda Guerra Mondiale, scopre di aver perso tutto. Dopo una serie di drammatiche vicissitudini, l’uomo, ormai disperato, diviene l’amante di Lidia (Anna Magnani), una cinica avventuriera che lo coinvolge in una serie di azioni criminali. Nonostante ciò, Ernesto non perderà la sua nobiltà d’animo.
Nel 1947 la Magnani ottiene il suo secondo Nastro d’argento e la Coppa Volpi alla miglior attrice al Festival di Venezia per la partecipazione al film L’onorevole Angelina (1947) di Luigi Zampa, dove è chiamata ad indossare i panni di una popolana forte e volitiva che, sullo sfondo disagiato della Roma del dopoguerra, si fa paladina degli “ultimi”.
L’anno seguente, l’attrice, dopo aver recitato nella parte della protagonista in Assunta Spina (1948),di Mario Mattoli, torna a farsi dirigere da Roberto Rossellini in L’amore (1948), lungometraggio composto da due episodi. Nel primo, Una voce umana – tratto da un’opera di Jean Cocteau -, la Magnani veste i panni di una donna che, con una serie di telefonate, viene lasciata dall’uomo di cui è ancora innamorata. Nel secondo, Il miracolo, l’attrice interpreta Nannina, una bizzarra pastora che scambia un vagabondo (Federico Fellini) per San Giuseppe. Il vagabondo ne approfitta e, fattala bere, si congiunge con lei. Rimasta incinta, Nannina, per non subire gli scherni dei compaesani, si ritira a vivere sola sino a che non dà alla luce il suo bambino.
Dopo aver ottenuto il Nastro d’argento come miglior attrice protagonista per la straordinaria prova offerta nella pellicola appena descritta (considerata una delle sue vette attoriali), la Magnani, interrotta la burrascosa relazione sentimentale con Roberto Rossellini, prende parte a Vulcano (1950) di William Dieterle, film girato sull’omonima isola siciliana proprio mentre sulla vicina Stromboli lo stesso Rossellini, assieme alla sua nuova compagna Ingrid Bergman, sta realizzando le riprese del suo Stromboli terra di Dio (1950).
Il fatto, di certo, non passa inosservato. La vicinanza geografica alimenta la fantasia popolare e riempie le pagine dei giornali, i quali descrivono la circostanza come una sorta di duello amoroso trasposto nel campo cinematografico. È un duello che passa alla storia come “la guerra dei vulcani”.

Il nuovo grande successo di Anna Magnani con Bellissima
Corre l’anno 1951 quando Anna Magnani prende parte ad una nuova pellicola destinata ad entrare nella storia del cinema.
L’attrice, infatti, è la protagonista di Bellissima (1951), film drammatico diretto da Luchino Visconti in cui va in scena la storia di un amore materno sospeso tra volontà di riscatto e illusione.
La Magnani impersona Maddalena Cecconi, una popolana moglie dell’operaio Spartaco (Gastone Renzelli) e madre della piccola Maria (Tina Apicella).
La donna sogna un futuro radioso per l’amata figlia, al riparo dai patimenti che lei stessa ha dovuto e deve ancora subire.
L’occasione buona pare presentarsi quando viene indetto un concorso cinematografico in cui si seleziona una bambina per un film del regista Alessandro Blasetti (qui nei panni di se stesso).
Maddalena iscrive Maria e, per favorirne la scelta, si affida, in cambio di cinquantamila lire, al traffichino Annovazzi (Walter Chiari) che le fa credere di avere dei canali preferenziali.
Dopo l’iniziale speranza, però, Maddalena e la piccola figlia sono chiamate a confrontarsi col cinismo e la crudeltà di quel mondo.
Accolto in Italia tiepidamente, Bellissima riscuote un grande successo internazionale che, partendo dalle sale parigine, culmina in una leggendaria proiezione a New York, nel corso della quale la Magnani viene accolta in maniera trionfale.
Il che, tutto sommato, non può sorprendere: l’attrice romana, infatti, è l’autentica forza motrice di questa pellicola amara e commovente. La sua profondità interpretativa è a dir poco stupefacente.
È impossibile restare indifferenti dinanzi ad una prova così intensa da elevare il personaggio di Maddalena a paradigma di un’umanità condannata alla sconfitta.
Anna Magnani è semplicemente sublime. E il nuovo Nastro d’argento con cui viene premiata appare meritato come non mai.

Da Camicie rosse al trionfo agli Oscar con La rosa tatuata
Nel 1952, smaltita l’ebbrezza del successo di Bellissima, Anna Magnani torna a farsi dirigere dall’ex marito Goffredo Alessandrini nel dramma storico Camicie rosse, dove interpreta il ruolo di Anita Garibaldi.
Nel corso dello stesso anno, l’attrice romana viene scritturata dal grande regista francese Jean Renoir nel film-omaggio alla commedia dell’arte La carrozza d’oro, in cui è chiamata ad indossare i panni di Camilla, primadonna di una compagnia teatrale italiana che, in una colonia spagnola del XVIII secolo, deve vedersela con le avances sentimentali di Felipe (Paul Campbell), del torero Ramon (Riccardo Rioli) e di Fernando (Duncan Lamont), viceré della colonia stessa.
Nel 1955 – due anni dopo aver partecipato nei panni di se stessa al quinto episodio, diretto da Luchino Visconti, della pellicola Siamo donne (1953) – Anna Magnani vola a Hollywood per prendere parte ad un film tratto da un’opera teatrale che il grande drammaturgo Tennessee Williams – qui autore della sceneggiatura – ha ritagliato su misura per lei.
Si tratta de La rosa tatuata (1955), dramma diretto da Daniel Mann, in cui l’attrice romana presta il volto a Serafina Delle Rose, un’immigrata italiana all’oscuro dei tradimenti e dei traffici loschi dell’amato marito Rosario (Larry Chance). Dopo che lo stesso uomo muore in un incidente, Serafina si chiude nel proprio dolore. Ma la scoperta della verità sul defunto sposo e la conoscenza di Alvaro (Burt Lancaster) riportano, lentamente, un po’ di serenità nella sua vita.
Con La rosa tatuata, la Magnani conquista l’America, ottenendo, nel 1956, il premio Oscar come miglior attrice protagonista (il primo assegnato ad un’attrice italiana e, più in generale, ad un’interprete di lingua non inglese), a cui si aggiungono, tra gli altri, il Golden Globe 1956 come miglior attrice in un film drammatico e il BAFTA 1957 come miglior attrice internazionale.
Per la grande interprete romana si tratta della definitiva consacrazione a livello mondiale.

Dal quinto Nastro d’argento con Suor Letizia – il più grande amore al nuovo successo americano: Selvaggio è il vento
Nel 1957, dopo aver conquistato il suo quinto Nastro d’argento con il film Suor Letizia – Il più grande amore (1956), per la regia di Mario Camerini, Anna Magnani torna negli Stati Uniti per prendere parte al dramma sentimentale diretto da George Cukor Selvaggio è il vento (1957), in cui veste i panni Gioia, un’immigrata italiana sposata col rude Gino (Anthony Quinn), che finisce per innamorarsi del giovane Pietro (Anthony Franciosa).
Anche questa volta, l’ormai celebre interprete riporta un grande successo personale ottenendo la nomination agli Oscar del 1958 come miglior attrice protagonista e vincendo, nello stesso anno, l’Orso d’Argento al Festival di Berlino ed il David di Donatello.

Da Nella città dell’inferno a Pelle di serpente con Marlon Brando
David di Donatello che la Magnani tornerà a vedersi nuovamente assegnato nel 1959 con il film Nella città dell’inferno (1959), solido e amaro dramma carcerario diretto da Renato Castellani in cui veste i panni della detenuta Egle, una donna esperta e di buon cuore che prende sotto la sua ala protettrice l’ingenua Lina (Giulietta Masina), una giovane domestica ingiustamente rinchiusa in prigione al posto del cinico fidanzato.
Nel 1960, dopo aver rifiutato il ruolo di Cesira (poi interpretato da Sophia Loren, vincitrice dell’Oscar come miglior attrice protagonista) nel film La ciociara (1960), Anna Magnani gira la sua terza pellicola hollywoodiana dal titolo Pelle di serpente (1960), cupo film drammatico diretto da Sidney Lumet, tratto dall’opera teatrale La discesa di Orfeo di Tennessee Williams, qui anche coautore della sceneggiatura.
L’attrice romana incarna Lady Torrance, una donna infelicemente sposata, la quale, sullo sfondo di un’America rurale intrisa di maschilismo, violenza e odio razziale, imbastisce una sofferta relazione amorosa col fascinoso giramondo Val Xavier (Marlon Brando), detto “Pelle di serpente”.

Dall’incontro con Totò in Risate di Gioia alla grande interpretazione di Mamma Roma
Reduce dall’esperienza americana, sempre nel 1960, la Magnani, a distanza di circa vent’anni dai fasti dell’avanspettacolo, torna a far coppia con il grande Totò girando Risate di Gioia (1960), commedia dolceamara tratta da due racconti di Alberto Moravia e diretta da Mario Monicelli. L’attrice interpreta il ruolo di Gioia, detta “Tortorella”, una “generica” di Cinecittà che, durante la notte di Capodanno, si accompagna, sullo sfondo di una Roma festante, all’amico Saverio (Totò), alias “Infortunio”, attore spesso disoccupato. Gioia, però, non sa che questi, pur di “arrotondare”, ha accettato di fare da “assistente” al cinico ladruncolo Lello (Ben Gazzara), il quale, per non destare sospetti nella donna, finge di essere un suo corteggiatore. Irretita dalle avances del ragazzo, Gioia finirà per pagare un prezzo molto alto.
Impietoso e al contempo tenero ritratto di due disperati esclusi dal benessere del boom economico, Risate di Gioia non ottiene il successo sperato nonostante l’ottima fattura e la pregevole performance della Magnani che, due anni più tardi, accetta la chiamata di Pierpaolo Pasolini per rivestire quello che sarà uno dei suoi ruoli più iconici e rappresentativi.
L’attrice, infatti, prende parte a Mamma Roma (1962), dove interpreta Roma Garofolo, una matura prostituta che decide di cambiare vita e di trasferirsi in un appartamento della periferia capitolina.
È finalmente con lei anche l’adorato figlio Ettore (Ettore Garofolo), sino ad allora vissuto in campagna.
Il ragazzo è ignaro del vecchio mestiere della madre (ora venditrice di verdura al mercato rionale) e si mostra riluttante alle tante attenzioni che questa gli rivolge.
Inoltre, Ettore è restio a trovarsi un lavoro e preferisce trascorrere le giornate dividendosi tra un gruppo di amici ladruncoli e l’ambigua Bruna (Silvana Corsini). Ma “Mamma Roma” non è certo tipo da arrendersi ed è disposta a tutto pur di rimettere il figlio sulla buona strada.
Quando ormai sembra essere riuscita nel suo intento, la donna viene travolta dal ritorno del suo passato. Un passato che, investendo anche Ettore, finirà per trascinare madre e figlio in un vortice di dolore e disperazione.

Da La pila della Peppa all’ultima apparizione in Roma di Federico Fellini
Con Mamma Roma, Anna Magnani offre la sua ultima grande interpretazione cinematografica. Infatti, dopo l’insuccesso del film La pila della Peppa (1963), diretto dal francese Claude Autant-Lara, l’interprete romana preferirà dedicarsi al teatro, concedendosi soltanto delle sporadiche incursioni sul grande schermo. Tra queste, la partecipazione al film Il segreto di Santa Vittoria (1969) diretto da Stanley Kramer.
Dopo una serie di lavori per la televisione, la grande attrice concluderà la sua avventura cinematografica nel 1972 con un breve ma preziosissimo cameo in Roma di Federico Fellini:
Nella notte della città eterna, un rintocco di campana rompe il silenzio. Una figura femminile, di spalle, si avvicina al portone di un antico palazzo patrizio. La voce fuori campo di Fellini ci spiega che si tratta di Anna Magnani, “che potrebbe essere anche un po’ il simbolo della città”.
L’attrice si gira stupita e divertita: “Che so’ io!?”.
Il regista prosegue: “Una Roma vista come lupa e vestale, aristocratica e stracciona; tetra, buffonesca…potrei continuare fino a domattina”.
L’attrice apre il portone, la sua voce assume un tono al contempo ironico e amaro: “A Federi’, va’ a dormi’, va’!”.
Fellini insiste: “Posso farti una domanda?”.
La Magnani risponde con un sorriso accennato: “No, nun me fido, ciao. Buonanotte!”.
Anna scompare dietro il portone, che si chiude lasciando fuori una Roma silenziosa e deserta.
Sono le ultime parole dell’attrice sul grande schermo. Sono le parole di un addio.
Soltanto qualche mese più tardi, infatti, la sua Roma resterà orfana di una delle figlie più amate.
Anna Magnani, adorata dea popolare, segno incarnato della dignità e del riscatto, viscerale emblema di un’umanità tenera e combattiva, esce di scena il 26 settembre 1973, lasciando un’eredità artistica smisurata.
Con lei se ne va la più grande attrice che il cinema italiano (e non solo) abbia mai conosciuto.
Il pubblico di tutto il mondo, quello che ha riso e pianto con/per lei, perde una delle interpreti che più hanno saputo toccare le sue corde emotive.
Si spengono le luci. Scende il buio in sala. Ma sullo schermo Anna non compare più.
L’immensa artista dall’inarrivabile capacità espressiva è trasfigurata nel mito, destinata a restare unica e insuperata.
Ed è così che giunge ai giorni nostri: unica e insuperata. Ma soprattutto viva, se con questa parola può intendersi qualcosa di più del semplice “attuale”.
Eppure non basta: nonostante i suoi film, la sua voce e il suo sguardo siano ancora lì, impressi per sempre su di una pellicola, tutto questo non basta.
Vorremmo che fosse qui davvero, con la sua malinconia, la sua forza, la sua “verità”.
Vorremmo il suo cuore per comprendere il nostro tempo, e i suoi occhi per guardarci attraverso.
Ed è anche per questo che ancora oggi, a cinquant’anni dalla scomparsa, continuiamo a sentire forte la mancanza dell’amatissima “Nannarella”.