Presentato in anteprima mondiale nel 2019 al Toronto International Film Festival, Harriet, diretto da Kasi Lemmons e con protagonista Cynthia Erivo, è disponibile su Netflix.
La rievocazione accattivante del periodo della schiavitù.
Harriet è un lungometraggio storico basato sulla biografia dell’attivista Harriet Tubam che ha lottato per tutta la vita per l’abolizione della schiavitù. Il film, ripropone classiche situazioni dell’epoca per comunicare la sofferenza di un popolo sottomesso e con l’aiuto di una colonna musicale efficace, tratteggia la via per l’emancipazione.
La trama di Harriet
Nata schiava, Minty decide di intraprendere un pericoloso viaggio verso la libertà. Una volta al sicuro, collabora con una società contro la schiavitù, cambia il suo nome in Harriet Tubman e inizia ad aiutare la gente del suo popolo sottomessa alla prepotenza dell’uomo bianco.
La genesi del film
Harriet ha incassato oltre 43 milioni tra Stati Uniti e Canada e altri 200 mila nel resto del mondo, per un totale di quasi 50 milioni di dollari. Un discreto successo, soprattutto se si pensa al budget iniziale di 17 milioni di dollari. Il film, però, ha avuto una genesi alquanto travagliata. Il primo progetto risale al 2015, quando l’attrice Viola Davis (The Woman King) avrebbe dovuto, non solo interpretare, ma anche produrre il film. L’idea, poi, naufragò, e solo nel 2017 il ruolo da protagonista fu affidato a Cynthia Erivo. Scelta azzeccata visto che la Erivo ottenne una candidatura all’Oscar, come miglior attrice.
Il punto di forza di Harriet è proprio l’intensa interpretazione dell’attrice protagonista, capace di incarnare al meglio un personaggio che ha vissuto davvero la sofferenza della schiavitù.
Harriet Tubman, un simbolo di libertà
Cynthia Erivo (Luther: Verso l’inferno) dà voce e corpo a una donna simbolo della storia americana. Un’icona per il travagliato processo che ha portato all’abolizione della schiavitù. Ma chi era davvero Harriet Tubman?
Harriet inizia con la sua protagonista già adulta e sposata con un uomo di colore, ma libero. Lei, invece, che porta ancora il nome di Minty, è, insieme alla madre e ai fratelli, una schiava di proprietà della famiglia Brodess.
La futura eroina ebbe un’infanzia non certo felice e si ammalò varie volte a causa del duro lavoro a cui era costretta. Un episodio segnò per sempre la sua vita: quando aveva poco più di dieci anni fu colpita violentemente alla testa e da allora in poi è spesso preda di visioni.
Il film racconta tutto questo, con piccole modifiche di poco conto e dando molto risalto a questa ultima caratteristica della giovane donna. Minty è da tutti conosciuta come la donna che, attraverso le sue visioni, entra in contatto con Dio. Quel segno che porta sulla fronte indica la sua sofferenza, ma anche la forza soprannaturale che possiede.
“Ho un buco nella mia testa che ha reso chiara la luce di Dio”.
È con questa luce che la donna riesce a conquistare la libertà. Braccata come una lepre impaurita, ma per nulla sconfitta, preferisce morire piuttosto che tornare ad essere schiava.
Un film per tutti
Harriet è un film sostanzialmente storico, con sontuosi costumi ottocenteschi, ma, pur facendo riferimenti a fatti reali riguardante il processo di abolizione della schiavitù, il registro didascalico non viene quasi mai utilizzato. Diretto da Kasi Lemmons (Un natale speciale a New York) e scritto, insieme a Gregory Allen Howard, Harriet è adatto ad ogni tipo di pubblico, soprattutto per i giovani. Studiare sui libri di scuola questo periodo e la successiva Guerra di Secessione può risultare piuttosto ostico e il film potrebbe aiutare a fissare alcuni tratti salienti dell’intera vicenda.
Certo Harriet non è Via col vento, ma riesce ad emozionare e appassionare e ciò avviene per vari motivi. Il film dura circa due ore, ma alcuni momenti della vicenda sono riassunte in maniera arguta e accattivante. Un esempio è la sequenza che riguarda il viaggio intrapreso dalla protagonista. In questo momento avviene una divaricazione tra immagine e suono.
Mitly, che da lì a poco cambierà il suo nome in Harriet, si incammina per allontanarsi il più possibile dal pericolo. Lo spettatore può osservare la donna superare mille ostacoli, mentre ascolta le parole del reverendo Green (Vondie Curtis Hall) che suggerisce alla stessa protagonista la giusta strada da percorrere.
La stessa indovinata sintesi è utilizzata quando Harriet, ormai libera, decide di aiutare decine di schiavi per portarli verso la libertà. Un montaggio veloce, seducente, accompagnato da una colonna musicale dalle tonalità africane, con un chiaro riferimento al jazz e al blues. Il film non per caso ha ricevuto una seconda candidatura all’Oscar per la canzone Stand up, cantata dalla stessa attrice protagonista.
Harriet e la musica
E ancora attraverso la musica vengono sottolineati alcuni momenti salienti del film, come l’addio della protagonista alla sua famiglia e la devozione cristiana della comunità di colore.
Nonostante tutto il film fa ricorso a cliché standardizzati e a parte la regia, il montaggio e la musica tutto è retto dalla straordinaria interpretazione di Cynthia Erivo. L’attrice inglese è capace di interpretare le varie fasi del suo personaggio. E con la stessa intensità riesce a trasmettere gli stati d’animo di Minty e poi di Harriet.
Il suo è un personaggio complesso, perché vero, e nel corso del film si trasforma e le varie mutazioni sono sempre coerenti e realistiche. L’attrice riesce magnificamente a essere ingenua e passiva all’inizio, per poi avviare una vera fase di maturazione e diventare una vera eroina, chiamata da tutti Il Mosè dei neri.
Un processo di crescita e di emancipazione che raggiunge il suo apice nello scontro finale con il suo ex proprietario. Qui Harriet è ormai sicura di sè, non è solo una donna libera, ma un simbolo di speranza e di riscatto di un popolo.
“Dio non vuole che persone possiedano altre persone”.