Atmosfera di grande attesa, in questo secondo giorno di festival, con platea e gallerie del Teatro Giovanni da Udine prese d’assalto per la proiezione del giapponese Thermae Romae (2012), che il regista Takeuchi Hideki è venuto di persona a presentare in Italia in anteprima mondiale, una settimana prima dell’uscita nelle sale patrie. Subito dopo, analoghe file agli ingressi in sala per Nightfall (2012) di Roy Chow, direttamente da Hong Kong in anteprima internazionale. Il pubblico del Far East si è preparato a questo doppio incontro col cinema asiatico, partecipando alla tavola rotonda animata da produttori ed editori che da anni favoriscono lo scambio interculturale con l’altro continente, come Andrea Occhipinti che con la sua Lucky red portò in Italia il secondo film di Ang Lee (Il banchetto di nozze, 1993) e alcune opere di Wong Kar Wai (Happy together, 1997 e In the mood for love, 2000) e come il giornalista inglese Patrick Frater che dirige Filmbiz.asia, il più importante sito sull’industria cinematografica asiatica. Più tardi le aspettative sono state ampiamente ripagate dall’enorme schermo cinematografico del festival, che ha prima divertito con il lavoro di Hideki e poi, in seconda serata, commosso gli spettatori con il poliziesco di Chow.
Thermae Romae è uno spassosissimo peplum movie che gioca con arguzia su un’usanza diffusa sia nell’antica Roma che nel Giappone contemporaneo. Del resto, Banana Yoshimoto ci racconta da tempo che i suoi connazionali amano godersi spesso e volentieri un momento di relax, magari a fine giornata, immergendosi in grandi vasche d’acqua collettive. Nel film, questa affinità con i bagni romani diventa il pretesto per far viaggiare nel tempo e nello spazio l’architetto Lucius (interpretato dal divo nipponico Abe Hiroshi, per l’occasione squisitamente svestito), alla ricerca di ispirazione per i progetti idraulici commissionatigli dall’imperatore Adriano. Molto più divertente dell’hollywoodiano Kate and Leopold (2001) e di tanti altri film occidentali costruiti sul meccanismo della macchina del tempo, l’improbabile quanto geniale wormhole che passa attraverso gli scarichi delle piscine innesca anche una riflessione sull’opportunità di confrontare mentalità e modus vivendi apparentemente lontani senza aver paura della diversità. Sebbene il continuo andirivieni del protagonista fra un mondo e l’altro possa risultare ripetitivo a chi è abituato a frequentare festival di cinema impegnato, in una commedia popolare come questa la risata scatta anche per la reiterazione del leit motiv. Sottolineate dalle arie di Verdi (Aida) e di Puccini (Madama Butterfly) che conferiscono ironicamente importanza epica, le avventure di Lucius strappano per due volte l’applauso del pubblico in corso di proiezione: la prima volta il bruno e muscoloso protagonista è seduto su un water giapponese talmente confortevole da fargli sognare di essere in mezzo a un prato di tulipani e la seconda volta vengono pronunciate la mitiche parole “tutte le strade portano a Roma” senza dubbio veritiere per quanto riguarda la carriera di Hidaki, che per girare questo suo lavoro tratto dal manga della fumettista Mari Yamazaki ha scelto Cinecittà e ha impiegato numerose comparse romane.
Nightfall è un poliziesco girato con mezzi e tecnica ineccepibili, che ha inoltre il merito di mostrarci splendide immagini panoramiche di Hong Kong. Sebbene la sceneggiatura estremamente struggente appaia poco plausibile, l’ambigua caratterizzazione di alcuni dei personaggi, gli inseguimenti e qualche colpo di scena mantengono vivo l’interesse per una storia che focalizza l’amore paterno in tutte le declinazioni. L’ispettore coscienzioso è così preso dal proprio lavoro che non riesce nemmeno a mangiare una fetta di torta al compleanno di sua figlia, l’artista è talmente egoista e possessivo da arrivare all’amore molesto e infine l’uomo comune sogna di poter essere padre contro tutto e contro tutti. Di rilievo le scene in cui Eugene guarda Zoe seduta al pianoforte o addormentata e contempla tutti i dettagli della donna con il trasporto con cui si osserva un’opera d’arte.
Lucilla Colonna