Presentato al TIFF 2022 e selezionato al Cinemamabiente di Torino, The Grab della regista Gabriela Cowperthwaite è un documentario che indaga, con il supporto di un team di esperti, sulle logiche e i giochi di potere di alcune nazioni, nel tentativo di controllare e gestire, le risorse primarie fondamentali, il cibo e l’acqua.
The Grab: di cosa parla
Il titolo del documentario, The Grab ( letteralmente “la preda”), fa riferimento all’accaparramento di terre da parte dei governi e di altre entità potenti in tutto il mondo per rifornirsi di cibo e acqua fuori dai loro confini per far fronte alla crescente carenza.
Frutto di un lavoro di sei anni che ha coinvolto giornalisti, attivisti e esperti quali Nate Halverson del Centre for Investigative Reporting, il film analizza un’indagine alla volta, riconducibile alla tematica delle risorse vitali, con estremo rigore giornalistico.
Si parte da una questione che appare poco rilevante: l’acquisizione da parte della Cina di un’industria americana che produce carne di maiale. Un affare milionario dietro il quale gioca un ruolo chiave il governo cinese.
Cowperthwaite sposta poi la narrazione in Arabia Saudita, che acquista un terreno agricolo in Arizona per pompare ed esportare una quantità ingente di acqua tale da prosciugare completamente le falde acquifere di alcune fattorie. Ciò non solo allarma le altre nazioni su una futura carenza di cibo e di acqua ma chiaramente cela, come ci viene spiegato gradualmente nel film, un losco interesse finanziario e politico da parte dello Stato saudita.
The Grab si addentra in territori sempre più oscuri: il fondatore di Blackwater, compagnia militare privata americana, si attiva per facilitare l’acquisizione di terreni in Africa; la Russia importa cowboy statunitensi nelle regioni settentrionali, troppo freddi per sostenere la produzione agricola.
L’indagine rivela passo passo le connessioni tra gli interessi finanziari e quelli governativi, tra imprese agrarie e organizzazioni militari mercenarie che si uniscono per il controllo delle risorse alimentari e idriche.
Lo scenario prefigurato dall’autrice che, man mano si compone come in un puzzle, è, ovviamente, poco rassicurante: al di là delle immediate disastrose conseguenze determinate dalle azioni politiche e economiche prese in esame, vi è da considerare l’impatto che esse avranno, a lungo termine, sul nostro pianeta.
La verità come strumento per il cambiamento
Cowperthwaite ha il merito di aver realizzato un’impresa titanica se non impossibile: un documentario che si presenta come uno stratificato reportage, mantenendo il ritmo di un thriller investigativo, con una serie di argomentazioni che se non fossero supportate da valide ricerche, lo renderebbero assimilabile a un film distopico.
Raccogliere i risultati di ben 6 anni di un’indagine a livello globale, coinvolgendo ricercatori e esperti in vari settori e organizzarli con chiarezza e metodo, in una storia che risulti accattivante nonostante le tematiche impegnative, richiede un’abilità al di fuori dell’ordinario.
Se l’importanza di The Grab è data, indubbiamente, dalle questioni trattate e da come esse sono state argomentate e sviscerate, l’autorevolezza del reportage è legata al prestigio degli investigatori che vi hanno preso parte, molti dei quali membri del Center for Investigative Reporting. L’organizzazione di notizie storica, senza scopo di lucro, ha sede in California e da ben 40 anni è impegnata nella divulgazione di storie rimaste nell’ombra e in una lunga serie di denunce e reportage, guadagnandosi ben sei candidature al Pulitzer.
Tuttavia, parlando in generale della riuscita del film della Cowperthwaite, è giusto dire che l’eccesso di informazioni fornite nel documentario potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio: è compito della regista scegliere cosa includere o meno nella narrazione, altrimenti il rischio è che la storia si perda tra troppi indizi scrupolosamente analizzati, tralasciando l’aspetto emotivo del film e distanziandolo, sortendo un effetto paradossale, dal mondo reale.
Nei momenti in cui Cowperthwaite rivolge la sua attenzione alle persone direttamente coinvolte dagli effetti inevitabili delle azioni politiche scellerate messe in atto dalle nazioni menzionate, il documentario assume una dimensione più umana, più reale e quindi più vicina allo spettatore.
Ma sicuramente il punto forte e l’obiettivo ultimo del film è la “call to action”, Cowperthwaite ci allerta su una questione vitale per la nostra stessa sopravvivenza e noi non possiamo ignorare i suo messaggio forte e chiaro: il cibo e l’acqua sono a rischio, dobbiamo esserne consapevoli, parlarne e agire prima che sia troppo tardi.
E il primo passo per il cambiamento è, sempre e comunque, conoscere la verità.