Il trailer di After the bridge, il documentario su Valeria Collina, madre di uno dei terroristi del London Bridge.
Sarà in anteprima al Biografilm il documentario di Davide Rizzo e Marzia Toscano che ripercorre la vita, tra presente e passato, della bolognese Valeria Collina, madre di Youssef Zaghba, uno dei tre terroristi degli attentati a Londra del 3 giugno 2017.
Prodotto da Sayonara Film con la collaborazione di Rai Documentari e Al Jazeera e con il sostegno di Emilia-Romagna Film Commission e Doha Film Institute.
il ritratto di una donna e madre lacerata, che tenta di ricucire il filo della propria esistenza alla ricerca di un possibile senso e di un possibile futuro.
Un’esistenza segnata da un prima e un dopo. Come spartiacque, la notte in cui un commando jihadista di cui fa parte il figlio uccide, armato di coltelli, 8 persone sul London Bridge. La necessità di trovare parole per rintracciare il filo di un possibile senso, per individuare colpe o possibili assoluzioni e auto-assoluzioni, una verità che ricomponga la crepa insanabile causata da un gesto di inaccettabile violenza.
After the bridge: il contenuto
Una lunga intervista alla donna, la cui voce accompagna tutto il film, nel tentativo di sanare la frattura creatasi tra il “prima” e il “dopo” la notte degli attentati, di cercare una possibile risposta allo strappo prodotto dal gesto violento e dalla morte del figlio: tra immagini del presente e pellicole d’archivio, il documentario tenta di ricomporre il filo di un’esistenza lacerata.
Il documentario segue il presente di Valeria e insieme il suo passato, ciò che è stato prima e dopo il ponte, scomponendone l’immagine in una molteplicità di rappresentazioni. La Valeria bambina nella Bologna che rivive grazie alle immagini in pellicola del Novecento (provenienti da Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia). La Valeria liceale e universitaria nei Super-8 del suo prezioso archivio privato.
La Valeria contestatrice, femminista e animatrice del teatro povero di Grotowski, quella che, sulle assi di legno di un palcoscenico, incontra il suo futuro marito, un marocchino, decidendo di seppellire il suo passato per abbracciare la religione islamica con il nome di Khadija.
Il documentario come terapia filmica
Ma c’è anche il suo inevitabile riflesso pubblico– ciò che emerge dalle interviste che i giornalisti, riversatisi in massa davanti alla sua casa sui colli bolognesi dopo l’attentato, le chiedono con insistenza, il suo dover giustificare, in qualche modo, una ulteriore identità, quella di “madre del terrorista”, così lontana da quella di madre di Youssef. Così, nello scollamento e nel rifrangersi caleidoscopico della sua rappresentazione e auto-rappresentazione, la voce di Valeria/ Khadija che arriva dalle registrazioni e da conversazioni durate anni segue il dipanarsi delle sue emozioni, dei suoi sentimenti, della necessità di ricomporre l’insostenibile lacerazione, in una sorta di terapia filmica che consenta, attraverso il racconto, di giungere a una nuova tappa della sua esistenza.