Olga racconta “gli anni spezzati” di una ragazza divisa tra la passione per lo sport e l’amore verso il proprio paese. La conversazione con Elie Grappe ci porta alla scoperta del suo film.
Il film Olga, diretto da Elie Grappe, è in arrivo al cinema l’8 giugno, distribuito da Wanted.
La protagonista del film di Elie Grappe
Scegliere una ginnasta professionista per interpretare Olga è una scelta di campo che testimonia la volontà di ricercare il più possibile una verosimiglianza con il mondo reale. D’altronde lo è anche il continuo ricorso alle immagini di archivio per raccontare le rivolte di piazza andate in scena nell’Ucraina a cavallo tra il 2014 e il 2015.
Sì, è vero, l’attrice è un’atleta professionista. Per me era importante lavorare con dei veri atleti. Impiegare attrici che non hanno esperienza in questo sport sarebbe risultato più complicato. Le atlete vivono per molto tempo lontano dai genitori: si allenano 30 ore alla settimana per potersi esibire di fronte a 5000 persone. Chi lo fa sa cosa vuol dire mentre con un attore avrei dovuto partire da zero.
In questo senso anche le riprese si sono dovute adattare alla specificità di questa disciplina, difficile e, a volte, molto pericolosa. Ho privilegiato lunghe riprese nelle quali gli esercizi venivano filmati in un’unica sequenza, senza interruzioni. Abbiamo adattato il nostro lavoro al ritmo di questo sport. Il personaggio di Olga non ha niente a che fare con la vita di Anastasia Budiashkina che la interpreta. Per me è stato molto importante rispettare questo confine tra interprete e personaggio.
Olga è un film sviluppato su più livelli visivi. In certi passaggi le immagini sembrano rubate alla realtà, come succede nei documentari. In altri l’inquadratura è più cinematografica: coerente con la messa in scena del genere coming of age a cui Olga fa riferimento.
Sì, l’aspetto documentaristico è presente nelle scene di ginnastica a cui ha preso parte il team svizzero, compreso il loro allenatore che nel film interpreta il coach di Olga. Le riprese sono state fatte nel centro dove si allena realmente il team elvetico e questo ha contribuito a rafforzare la dimensione documentaristica. Allo stesso tempo, hai ragione nel sottolineare che Olga è anche fiction, e che dunque è stato costruito con quel tipo di codici. In più ho voluto mettere a confronto le parti romanzate con quelle più realistiche, facendo in modo che la fiction fosse influenzata dal materiale d’archivio e viceversa. In particolare le immagini d’archivio restituiscono bene, nella loro assurdità, il sentimento dei ragazzi coinvolti in una guerra che non hanno voluto. Quando Olga ci si confronta tutto quello che vediamo sono pixel di immagini reperibili su internet. Hai ragione nel dire che esiste una dialettica tra documentario e fiction, ma questo si esplica in un modo ambiguo: la fiction ha una parte nel documentario e l’archivio assume toni fantasmagorici.
Lo sport
Olga è (anche) un film a tema sportivo, senza però indulgere sulle caratteristiche di questo genere di racconto. Vi si narrano i sacrifici degli allenamenti e i gesti della performance atletica non in maniera così evidente da farlo diventare un film sullo sport.
Esattamente. Era molto importante far sentire agli spettatori che questo film sarebbe potuto essere uno sport movie, senza però perdere di vista cosa sta vivendo la protagonista. Olga è un’atleta che all’improvviso si confronta con una situazione avulsa dal mondo sportivo, ma la questione politica non è così lontana: essa è ovunque, in ogni strato della società, e pure nello sport. Per questo Olga non poteva essere solo uno sport movie ma anche un coming of age con dei contenuti politici. Sarebbe stato terribile se la storia si fosse limitata ad anteporre l’impegno civile a quello sportivo. Se avesse sottovalutato il secondo a favore del primo, avrebbe messo Olga nella condizione di lasciare la sua carriera per abbracciare la militanza politica. I personaggi che ho creato hanno una passione per lo sport che come regista devo rispettare. Non posso dire che il loro trasporto è un’inutile assurdità. Al contrario credo che la loro passione sia legittima.
La scena iniziale è significativa sotto diversi aspetti: la luminosità del contesto ambientale e la libertà del tema, legato alla leggerezza di una corsa tra ragazzi, ti serve per creare lo scarto drammaturgico con ciò che segue. Nella stessa fai emergere molto bene la personalità della protagonista, il suo carattere forte e ribelle.
L’inizio è importante, non solo dal punto di vista narrativo: di solito è la parte dove i registi descrivono i personaggi, ma qui all’inizio c’è un avvenimento scioccante e subito dopo, quando Olga si trasferisce in Svizzera, l’inizio di una sorta di sport movie. In quel momento è come se si volesse rimuovere quello che è accaduto. Olga cerca di adattarsi e di essere solo un’atleta, ma noi sappiamo ciò che è successo, quindi dobbiamo essere cauti: non solo con il personaggio, ma anche verso lo spettatore.
Buio e luce nel film di Elie Grappe
Alla luce della sequenza iniziale segue il buio torbido relativo alla scena del tentato omicidio di Olga e della madre. Tutto accade di colpo e molto velocemente. L’effetto è scioccante, soprattutto per come l’hai girata, restando sempre all’interno dell’automobile. Il fatto di non vedere gli assassini trasfigura il male fino a farlo diventare qualcosa di metafisico.
Era importante comprendere che lei stava denunciando dei poteri forti. La madre di Olga è una giornalista militante e per me era importante immaginare il potere come un enorme martello che cerca di schiacciarla. L’effetto che hai descritto mi serviva per renderne l’idea. Poi come dici tu, mi premeva creare una differenza tra i colori e la brillantezza dell’ambiente Ucraino e quello Svizzero, in cui ogni cosa appare nitida e pulita. Inoltre mi piaceva che in questo paese ogni aspetto sembrasse allo stesso tempo aperto e chiuso. Le vetrate sono ovunque, ma invece di aprire gli spazi, li chiudono. Dopo quanto accaduto a lei e alla madre, per Olga, la Svizzera è il luogo più sicuro al mondo, ma è anche una nazione neutrale, cosa che lei come persona non può esserlo.
Olga è raccontato anche attraverso i cambi di luce che caratterizzano le diverse parti della vicenda. Rispetto alla luminosità della sezione iniziale, il soggiorno in terra straniera è caratterizzato da lunghi momenti in cui la luce è scura o del tutto assente, in corrispondenza della presa di coscienza da parte di Olga del male presente nel paese d’origine. La parte finale, quella del ritorno a casa, recupera la nitidezza iniziale. Il cerchio si chiude con la medesima immagine, solo che questa volta è Olga a guardare la corsa della bambina, a testimonianza di una consapevolezza, la sua, che non esclude comunque momenti di felicità.
Sì, sia la funzione narrante della luce che il tema della corsa sono aspetti che abbiamo voluto inserire. Allo stesso tempo, però, per me la luce porta con sé qualcosa di ambiguo, di paradossale: di solito, come primo effetto, la luce riflette lo stato d’animo del protagonista, mentre io ho cercato di creare diversi momenti dove quest’ultima potesse essere l’elemento che controlla ciò che accade.
Un po’ come succede nel cinema di Michael Haneke.
Sì, in Olga c’è davvero un riferimento ad Haneke, ovvero la possibilità che qualcosa di terribile possa accadere in una magnifica giornata di sole e non per forza nel corso di una tempesta. Il principio è che ci debba sempre essere qualcosa capace di creare contrasto. Questo può essere dato dalla sceneggiatura, ma anche dagli elementi atmosferici, dai suoni e dalle luci. L’idea di poter giocare con tutti questi elementi mi piace molto. Ovviamente il discorso sull’uso della luce fa parte di tutto questo.
Il corpo di Olga e l’Ucraina
Ho trovato una relazione molto forte tra il corpo di Olga e quello dell’Ucraina. La protagonista gli corrisponde nel carattere ribelle, ma non solo. Quando Olga si ritrova a gareggiare per la nazionale svizzera è messa davanti al fatto di dover sfidare la sua migliore amica, in questo rimandando alla lotta fratricida che nel frattempo si consuma nella rivolta ucraina. È qualcosa che hai ricercato o è venuta fuori in maniera inconscia?
È stata una cosa voluta apposta per creare un conflitto nell’animo dello spettatore. Fotografia e montaggio creano un rapporto visivo tra il corpo di Olga e quelli dei manifestanti. Il movimento delle loro figure e il lottare per qualcosa è lo stesso con cui Olga vive le sue passioni, che sono le cose più importanti della vita. Non c’è alcun rapporto tra di loro, tra il corpo di Olga e quelli dei manifestanti, ma quello del film è un modo per incarnare il conflitto della ragazza, un espediente per creare una relazione immaginaria e senza nessun legame tra il suo corpo e quello dei suoi connazionali. È impossibile collegare la ginnastica a una rivoluzione: non hanno nulla a che fare tra di loro, come testimonia il modo in cui Olga vive la questione. Aggiungo che anche il suono della ginnastica è molto simile a quello della rivoluzione: ha una base metallica, ha delle detonazioni; ci sono delle enormi similitudini tra i rumori della ginnastica e quelli della rivolta, anche più di quella esistente tra i corpi. Questo è anche il motivo che mi ha fatto scegliere la ginnastica come sport, perché ho capito che era più semplice creare certi collegamenti e incarnare i conflitti della protagonista. Olga non riesce a ritornare ad allenarsi dopo aver visto quelle immagini, non riesce a ritornare alla sua routine senza avere negli occhi le immagini della rivoluzione che sta avvenendo. Così, anche dentro gli allenamenti, il movimento e il suono dei corpi ricordano quelli dei rivoltosi.
Gli aspetti più tecnici
La forma del tuo film è capace di produrre significati che si aggiungono alla narrazione della storia. Succede, per esempio, con il campo lungo a camera fissa che immortala Olga all’interno della casa in cui viene ospitata una volta arrivata in Svizzera. Isolata in mezzo al prato e con i vetri che mostrano i movimenti di chi la abita, la villetta, per come la riprendi, rimanda alla condizione di Olga, imprigionata all’interno di una vita che non ha scelto.
Esattamente. Era un modo per parlare della sua reclusione in quel luogo della Svizzera dove lei a un certo punto si ritrova. Anche qui a dominare è il contrasto tra realtà e apparenza. Lo spazio in questione è un luogo aperto, circondato da un paesaggio sconfinato che, però, dal punto di vista emotivo, rimanda a una dimensione di chiusura.
In certi passaggi gli interni claustrofobici, la vicinanza della mdp e la mancanza di luce diventano la spia di un secondo livello narrativo che riflette lo stato d’animo di Olga.
Erano anche il modo per non stare semplicemente “su qualcuno”, ma per condividerne le esperienze. Era molto importante essere allo stesso livello di Olga. È divertente perché la protagonista è in realtà abbastanza piccola, ma non ce ne rendiamo conto proprio perché restiamo sempre alla sua altezza. Restiamo sempre con lei mentre ricerca la leggerezza: quando prova a bilanciare la sua vertigine riusciamo a sentire le esperienze del suo essere. Non dobbiamo contare i punteggi degli esercizi, ma concentrarci e sentire le sue esperienze. Stargli così vicino cambia le prospettive ed evita di trasmettere l’idea che la stiamo semplicemente osservando.
Il periodo storico del film di Elie Grappe
Il periodo storico in cui hai ambientato la vicenda credo sia un momento cruciale della storia recente dell’Ucraina. Siamo a cavallo degli anni 2014/2015, quelli della cacciata del presidente filo russo, delle rivolte di piazza per manifestare la volontà di un legame sempre più stretto con la Comunità Europea. Senza dimenticare che in quegli anni si assiste anche all’invasione della Crimea. Parliamo dei prodromi che hanno portato alla scoppio della guerra tra Russia e Ucraina.
Non mi aspettavo l’invasione della Russia. Quando ho iniziato a girare il film ero concentrato sulla sua realizzazione e sul periodo in cui era ambientata. Mi pareva interessante mostrare come le persone potessero unirsi e mostrare il malcontento nei confronti di un potere compiacente verso la Russia. Quella era davvero la voce del popolo e la conferma che quest’ultimo può stare al di sopra della politica. Il film è uscito nel 2021, quindi prima dell’invasione. Vederlo oggi ricorda che la guerra attuale non è iniziata nel 2022, bensì nel 2014. C’era già nel Donbass e in Crimea e non era fratricida, ma supportata dalla Russia e dai separatisti. Dunque è vero che l’attuale conflitto trova radici nel periodo in cui è collocata la storia del film.
Il cinema di Elie Grappe
Hai già detto di Haneke. Quali altri registi ti piacciono e chi tra questi ha influenzato il tuo lavoro?
In questo momento prediligo Paul Thomas Anderson per il suo modo di porsi al di sopra delle etichette sperimentando all’interno di storie e generi popolari. Per quanto riguarda Olga a influenzarmi è stato il pensiero di Chris Marker nell’affermazione che gli archivi sono già di per sé delle storie stesse, espressione di una verità svincolata dalla realtà.