Presentato all’Irish Film Festival 2023, il documentario firmato da Anna Rodgers e Shaun Dunne si muove tra le testimonianze reali e la messa in scena di storie di vita. Giovani uomini, donne migranti, drag queen e attivisti rivelano pubblicamente, per la prima volta, la loro sieropositività, affrontando la vergogna, lo stigma e la paura che ha oscurato le loro vite.
How to tell a secret: le storie
Ispirato allo spettacolo teatrale Rapids, How to tell a secret è un documentario, realizzato in Irlanda, dalla forma ibrida, tra realtà e rappresentazione.
Le storie raccontate da Rodgers e Dunne convergono in un’unica storia e rispondono essenzialmente a due domande: come la società riesce a “silenziare” le voci di chi è affetto dall’HIV, alimentando lo stigma attorno al virus, e come d’altro canto, i sieropositivi accettino quello stigma, vivendo il loro status di salute come una vergogna e una colpa, giustificando di fatto la necessità di “mantenere il segreto”, “non dirlo a nessuno”.
Robbie Lawlor ha scoperto di aver contratto l’HIV a soli 21 anni ed è stato uno dei primi giovani irlandesi a rivelare in tv la propria storia. Enda McGrattan, noto come Veda, ha promesso a se stesso di mantenere segreta la sua condizione fino a che, un giorno, decide di scrivere una canzone in cui racconta la sua esperienza.
Un gruppo di donne irlandesi e migranti decidono di parlare del virus, non mostrando il loro volto ma attraverso le voci loro e delle attrici che le interpretano sul palco di un teatro vuoto.
I registi ci mostrano ricreazioni drammatiche della “rivelazione del segreto dell’HIV”, una narrazione essenzialmente vocale utilizzando la voce fuori campo, il lip sync e la ripetizione per oscurare l’identità di chi sta raccontando la propria storia.
Altre volte, quando i protagonisti lo consentono, le testimonianze sono dirette, come nel caso di Robbie Lawlor e Tom McGinty, il noto street artist Diceman, scomparso prematuramente a causa del suo precario stato di salute, a cui le autrici dedicano un toccante tributo.
L’oscuro segreto
“Your only as sick as your secrets” (“Sei malato quanto i tuoi segreti”) dice Shaun Dunne nella scena iniziale. È un vecchio detto che rimbomba nella sua testa, forse pronunciato da sua nonna tempo fa. È questo il fulcro di How to tell a secret, un film potente, straziante e profondamente umano che libera i protagonisti del peso del loro segreto, consentendo loro di rivelare, per la prima volta pubblicamente, la loro sieropositività.
Cosa spinge le persone a nascondere di aver contratto l’HIV? Il pregiudizio, lo stigma, la paura, la vergogna, il contesto culturale (ci troviamo nella cattolicissima Irlanda) e quello familiare.
I protagonisti di How to tell a secret si sentono marchiati da una “lettera scarlatta”, anzi tre per la precisione, HIV, che non osano nemmeno nominare, se non pronunciando, come in un bizzarro gioco a nascondino in cui nessuno esce mai allo scoperto, “one two three”.
I pregiudizi o le conoscenze errate sull’HIV e sull’AIDS sono ancora prevalenti, soprattutto in relazione a chi può essere infettato dall’HIV e al modo in cui si diffonde.
Chiunque può contrarre il virus, indipendentemente dall’orientamento sessuale; con i farmaci, il rischio che una persona trasmetta l’HIV a qualcun altro può essere ridotto a zero. Se il livello di HIV nel corpo, la carica virale, diventa così basso da non poter essere rilevato in un esame del sangue, non vi è alcun rischio di trasmettere l’HIV ai partner.
Il messaggio su un cartello U=U (non rilevabile = non trasmissibile) mostrato da Diceman è un momento clou del film.
L‘idea geniale, che è alla base del concept del film, ci viene esplicitata dallo stesso Dunne in una scena: le storie si muovono attraverso i corpi nello stesso modo in cui fa un virus. E così le esperienze narrate passano da un corpo a un altro, da un volto a un altro, da una voce a un’altra. Gli attori che rappresentano le testimonianze reali dei protagonisti si fanno carico della loro vicenda personale, affinché la verità si metta in circolo come un virus.
Una nuova narrazione
“Chi mi amerà adesso?” – chiede Robbie Lawlor a sua madre, dopo aver scoperto la sua sieropositività. Chi ha l’HIV si rende invisibile agli occhi dell’altro per non essere giudicato, rifiutato, abbandonato. Fino a sparire, lentamente. Diventano fantasmi, corpi che camminano con gli occhi abbassati. Come se lo sguardo negato di un medico mentre consegna il referto non gli consentisse più di essere visti dagli altri.
Puntando i riflettori su questi “fantasmi”, Rodgers e Dunne hanno dato ai protagonisti del film, l’opportunità di essere di nuovo visti o ascoltati, rivoluzionando brillantemente il modo in cui i media hanno da sempre rappresentato l’HIV e le storie LGTBQ, mostrando i testimoni nell’ombra o riprendendone solo la bocca e le mani.
I registi hanno cambiato la narrazione, a volte partendo da quel linguaggio e sovvertendolo, mostrando dapprima alcuni dettagli dei protagonisti, per poi rivelarne i volti.
Il disvelamento è alla base di How to tell a secret che segue il processo liberatorio dei suoi protagonisti e divulga messaggi estremamente importanti; un film che è un’esperienza collettiva, in cui lo spettatore, come gli attori, diviene parte di una narrazione in cui ognuno è l’altro.