Quando la ripresa può durare anche diversi minuti senza tagli di montaggio, siamo nel campo del piano-sequenza. Tecnicamente è un’inquadratura fissa e unica, una sequenza composta da uno o più situazioni comprese nella stessa ripresa, senza alcuno stacco e con un’assoluta continuità temporale. Da non confondere con il suo fratellino quasi gemello, ossia il long take, un’inquadratura lunga come il piano-sequenza, ma che è confinata a una parte della scena e che quindi fa parte di una sequenza più ampia.
Generalmente nel cinema moderno siamo abituati al montaggio veloce, alla successione di diverse inquadrature l’una all’altra. Nel piano-sequenza invece la macchina da presa si muove orizzontalmente o verticalmente, e lo fa mentre segue un personaggio in casa o che corre per strada. Segue il movimento di un oggetto nella spazialità della sua azione accompagnando lo spettatore, nel realismo dell’agire filmico.
La finestra sul reale
Il piano-sequenza non è solamente un elemento di realismo ma è la realtà stessa, e la sua diretta rappresentazione. Perché appunto attraverso l’immagine, la sequenza prolungata fa emergere la singolarità del vivente e quindi del reale e dell’evento inteso come dispositivo esperienziale del quotidiano. In questo senso il piano-sequenza annulla la finzione cinematografica nei tagli e nel susseguirsi delle inquadrature, facendo diventare l’immagine un mezzo per esporre la realtà e per renderla trasparente attraverso la cinepresa. Dobbiamo quindi pensare al piano-sequenza come una finestra sul mondo. I vetri sono quelli dell’obbiettivo cinematografico e il vetraio/operatore l’unico soggetto capace di mostrarci cosa c’è aldilà del vetro della rappresentazione. Ed è proprio grazie a questa unicità dello sguardo che lo spettatore si avvicina alla visione filmica con l’approccio realistico del suo vissuto personale.
Il piano-sequenza può essere fisso, quando la macchina da presa è ferma e riprende un’azione, o mobile quando attinge al suo dinamismo muovendosi e accompagnando la ripresa. La lunga inquadratura diventa così una interpretazione della realtà, ferma e caotica in base alle situazioni, effettuando una definizione calzante rispetto alla sua funzione neo-realista. Un lungo piano-sequenza dell’esistenza che riprende un evento e il suo punto di vista, stando ben lontano dall’oggettivazione della ripresa per manifestare la quintessenza del cinema soggettivo.
Qualcosa è cambiato
Ma il cinema, essendo tra le Arti più malleabili ed evolutive, cambia. E così anche il piano-sequenza ha trasgredito alla sua vocazione realista. Da un certo punto e da una certa fase del cinema, la lunga ripresa non riuscì più a far rimanere inscindibile il lungo legame con la realtà. Una grossa mano a ciò la diede il cineasta inglese Alfred Hitchcock che fece uscire il piano-sequenza dalla sua componente realistica per alterare il reale, abbastanza visibile in Vertigo, finché non iniziò ad avere valenze essenzialmente virtuosistiche, come dimostrò ancora Hitchcock in Rope.
Il piano-sequenza diventa quindi sempre più una forma d’espressione cinematografica, un puro artifizio della messa in scena, esaudendo molto spesso pulsioni oniriche del regista di turno. Si pensi a un riferimento tutto italiano in Otto e mezzo di Federico Fellini. E se già la crisi del realismo della sequenza lunga era stata accertata quasi dopo la Babilonia dell’industria americana, venne addirittura allontanata nel cinema contemporaneo. Scorsese col suo Goodfellas, De Palma con Snake Eyes, uniscono bene il virtuosismo con l’incapacità di vedere e far vedere. Una realtà allontanata e superata che troverà col piano-sequenza in opere successive come Pulp Fiction di Quentin Tarantino, il tentativo di osservare il reale come porticina socchiusa di quella finestra ormai diventata metronomo per testare l’egocentrismo espressivo del cineasta.
1 – Quarto Potere
Uno dei primi piano-sequenza della storia è stato senza dubbio il lungometraggio di Orson Welles. Con una dinamica scenica interessante unita all’uso delle dissolvenze. La cinepresa inquadra il cartello “Non oltrepassare”; dopodiché sale in carrellata fino a mostrarci il castello. Questo piano-sequenza viene dissolto mentre continua tra una serie di altre immagini, finché la macchina da presa non ci porta davanti al portone e Welles ci fa entrare dalla finestra in un connubio di luci che si arrestano e si riaccendono. Lo schermo si riempirà di nevicate fino allo stacco sulle labbra maschili di Kane.
2 – L’inquilino del terzo piano
Interessantissimo è il piano-sequenza del celebre film di Roman Polanski. La cinepresa scruta l’esterno della casa in quella che è a tutti gli effetti un’ampia e lunga soggettiva. Scruta le finestre e va di panoramica circolare fino al tetto. Poi scende, entra in casa, fa pochi passi attendendo l’entrata di Trelkowski/Polanski. Quasi nessuno è riuscito, almeno nel thriller-horror, a usare la camera e l’inquadratura lunga come il cineasta polacco. Il piano-sequenza si fa padrone dello spazio della scena trasmettendo un inquietante pericolo.
3 – Birdman
Il film premio Oscar di Iñárritu si è distinto per un estremo uso del piano-sequenza riuscendo a celare in molte scene, attraverso l’aiuto di improvvise oscurità, degli stacchi all’inquadratura. Il regista messicano riesce però benissimo ad usare la lunga sequenza soprattutto in esterno. Nel secondo atto del film il personaggio di Michael Keaton si sveglia sulle gradinate di un palazzo, dopo che Iñárritu è sceso dall’alto del palazzo fino al suo primo piano. La cinepresa segue Keaton in mezzo primo piano camminare a fatica per le strade di Manhattan accompagnato dal suo grillo parlante Birdman che entra in campo. Allarga Iñárritu i due fino alla figura intera, stabilizzandosi nel mezzo busto di Keaton con Birdman che sfreccia in volo. Un piano-sequenza che si occupa di indagare la psiche e la sovra realtà del film e dello stesso Keaton.
4 – Victoria
Uno dei migliori usi del piano-sequenza è l’opera del regista tedesco Sebastian Schipper, e questo perché tutti i 140 minuti del film sono girati in un’unica inquadratura. Schipper segue Victoria e i suoi amici tedeschi praticamente ovunque. In discoteca, per strada nella sparatoria della polizia, nell’albergo dove ci sarà l’epilogo. L’operatore fa di tutto per non staccare e lo fa con una difficoltà estrema riuscendo anche a cogliere scene toccanti come quella del pianoforte e della fuga di Victoria da sola e da latitante. Il piano-sequenza non solo è pienamente diegetico con i suoi personaggi ma riesce molto bene nella funzione di placetelling della notte punk tedesca.
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