Un mondo a parte, quello creato dalla fantasia della regista austriaca Jessica Hausner (già in concorso a Cannes con Little Joe nel 2019, premiato per la miglior attrice) nel film Club Zero, presentato nella competizione del 76° Festival di Cannes. Delle numerose registe donne selezionate quest’anno nel concorso, lei è forse la più ‘spietata’, la più audace nel lanciare temi di attualità, proponendo un film altamente simbolico dove i tanti argomenti attenzionati si fondono in un’opera originale, in forma di thriller psicologico/noir, dai risvolti quasi fantascientifici, che certamente non lascia indifferenti.
Un collegio privato, fuori dal tempo e dallo spazio, dove alunne e alunni portano una sgargiante divisa gialla. Genitori dell’alta borghesia assenti o poco attenti ai figli ed ai loro bisogni. Adolescenti fragili e in crisi con problemi di accettazione ed inserimento nel gruppo dei pari, in cerca di una propria identità. I temi dell’eccesso di consumi e dell’ecologia planetaria, vanno di pari passo con il crescere dei disturbi dell’alimentazione (anoressia, bulimia), sempre più presenti nei giovani delle società occidentali.
Club Zero parla di un inquietante futuro prossimo, non così impensabile come potrebbe sembrare.
Club Zero: il carisma della signorina Novak
Una nuova insegnante, la signorina Novak, arriva presso un esclusivo liceo privato, dove tutti gli alunni indossano divise sgargianti, ed avvia un corso sui temi della nutrizione e del suo rapporto con i consumi, l’ecologia e la salute: il suo insegnamento parte da un concetto innovativo, denominato “Conscious Eating”, con l’intenzione di scuotere le abitudini alimentari del piccolo gruppo di studenti che iniziano a frequentare le lezioni.
I giovani protagonisti, pochi ragazzi inquieti, che cercano un’occasione identitaria, per essere visti e riconosciuti dal gruppo, alcuni con famiglie lontanissime in tutti i sensi, si accorgono subito che la proposta della professoressa è molto più di un corso, è piuttosto uno stile di vita, un cambio trasformativo completo a cui si viene chiamati. Poco a poco però la Novak inizia a manipolare pesantemente le menti dei ragazzi: senza destare inizialmente sospetti negli insegnanti e nei genitori, alcuni studenti cadono sotto la sua influenza, completamente irretititi dalla forte personalità dell’insegnante ed a poco a poco s’inabissano nel misterioso, esclusivo ed autodistruttivo mondo del Club Zero.
Il gelido personaggio della professoressa/ nutrizionista è interpretato in modo perfetto, privo di sbavature, dall’attrice australiana Mia Wasikowska, con le sue convinzioni radicali, la sua abilità nell’allontanare poco a poco i ragazzi dalle loro vecchie certezze per iniziarli all’innovativo programma, che spingerà i suoi studenti, finalmente uniti da un’identità chiara e scelta (in apparenza), fino alle estreme conseguenze.
Il rifiuto del cibo come resistenza passiva contro la società
“Una parte del film si concentra sui genitori che delegano la responsabilità dei propri figli a un insegnante che snatura questo rapporto di fiducia – racconta la Hausner – La signorina Novak manipola i bambini e li separa dai genitori e quando questi ultimi decidono di salvare i propri figli, è già troppo tardi. I genitori non sanno tutto quello che succede a scuola e non hanno né il tempo né i mezzi per scoprirlo. Viviamo in un sistema basato sulla meritocrazia che ci obbliga a lavorare sempre di più. Sento che il fallimento dei genitori è sistematico”.
All’inizio del film, una sovrascritta raccomanda di non far vedere il film Club Zero a chi, giovane o meno, soffra di disturbi alimentari, perché ne potrebbero derivare influenze negative.
“Per quanto riguarda il tema del cibo, ho frequentato una scuola cattolica per ragazze negli anni ’80 – continua la regista – e molti studenti erano convinti dell’idea di mangiare pochissimo. Era persino una forma di rivalità tra di noi. Masticavamo una gomma senza zucchero ed eravamo disgustati da una delle ragazze che mangiava un sandwich all’uovo durante la pausa. Segretamente, l’ammiravamo perché non le importava cosa pensavamo di lei. Era un senso di appartenenza e la volontà di stabilire regole certe a cui doversi sottomettere. Queste relazioni sono presenti anche in Club Zero. Ben, ad esempio, è come la ragazza che mangia un panino con le uova ma il suo desiderio di appartenenza è così forte che decide di unirsi al gruppo. C’è una mentalità da branco che è difficile da spezzare.
A quel tempo, una mia amica divenne anoressica e a volte trascorreva diverse settimane in ospedale. Questo è ciò che mi ha fatto capire la gravità di questa malattia. Mi sono resa conto che è davvero una dipendenza: è difficile uscirne e ricominciare a mangiare. Rifiutarsi di mangiare è anche un modo per punire gli altri. Per i genitori è insopportabile vedere il proprio figlio rifiutarsi di mangiare, perché si traduce nel rifiuto di vivere. Interrogarsi sull’origine di tale rifiuto è fondamentale. Stavo pensando agli scioperi della fame mentre scrivevo la sceneggiatura. Il rifiuto di mangiare è anche una forma politica dello sciopero, una forma estrema di resistenza passiva nei confronti dei genitori o della società.”
Costumi colorati e audaci
La regista racconta il perché della scelta di realizzare costumi e abiti di scena particolari, ricercati e vistosi: “I costumi dei miei film sono spesso molto colorati e audaci. C’è una forma di eccesso di umorismo in Club Zero. Improvvisamente si notano alcuni dettagli, come un fiore su un camicetta, e questo fa pensare alle proprie scelte artistiche. Lo trovo interessante perché è un modo per preservare la capacità di riflessione dello spettatore. Mi piace fare film che lascino aree di incertezza e consentano allo spettatore di prendere una decisione. Credo che questo sia ciò che, tra le altre cose, provoca piacere nello scoprire un film”.