Il tocco del peccato di Jia Zhangke è un film del 2013, Palma d’Oro a Cannes per la sceneggiatura, disponibile su MUBI e qui presentato come parte della “trilogia della montagna” insieme a I figli del fiume giallo (Ash is the purest white), 2018, e Al di là delle montagne (Mountains may depart), 2015.
Il film è interpretato nuovamente da Zhao Tao (Io sono Li), con Wu Jiang (800 eroi), Wang Baoqiang e Luo Lanshan.
Il quadrittico della disperazione, della violenza e degli stenti. Della spersonalizzazione. E ovviamente del peccato, come menziona il titolo e come canta l’opera sul finale; un peccato da espiare, ma che assume forme diverse se è la disperazione a indurlo.
Il tocco del peccato di Jia Zhangke, la trama
Il film si compone di quattro storie. Nella prima parte si racconta la vicenda di Dahai (Wu Jiang) che si erige a paladino dei truffati del suo villaggio, e ne fa piazza pulita.
Mi finanzi un viaggio a Pechino? Devo andarci per denunciare te e il capo villaggio.
Seconda storia, traghettata dal primo apparso tra i personaggi del quadro corale di Jia Zhangke. In una continua commistione tra fiction e documentario, le facce inquadrate sono quelle di paesani veri, e tra loro prende il via la doppia vita di questo selvaggio e annoiato padre (Wang Baoqiang), che si guadagna da vivere e mantiene la famiglia nell’illegalità. Assassino e ladro spietato, quando torna dalla moglie e dal figlio, non fa troppo mistero del suo lato buio.
La terza storia coinvolge finalmente Zhao Tao, musa e fidata collaboratrice di Jia Zhangke. Veste i panni di Xiaoyu, amante di lunga data, il cui uomo non ha il coraggio di separarsi dalla vera moglie. All’apice della crudeltà del suo momento di crisi, viene ricattata e picchiata da altri due, perché non si concede fisicamente, e questo ne attiva la ferocia.
L’ultima narrazione racconta di Zhou San (Luo Lanshan), giovanissimo operaio squattrinato, incompreso e tradito. Inserito in un sistema produttivo dove l’individuo perde umanità e dignità, e rifiutato dall’unica persona per cui aveva interesse, la sua storia non avrà alcuna speranza di un lieto fine.
La ribellione e il gesto estremo
Jia Zhangke ci porta in una Cina quasi medioevale. Nella storia di Dahai, la meglio riuscita e più poetica dal punto di vista visivo, il carbone è ovunque: nella polvere che copre i volti, nell’aria nebbiosa che si respira, sui muri delle case.
Il regista lavora sui sussulti, cerca di far saltare sulla poltrona così come salta il cuore del protagonista. Già dalle prime battute, una straziante scena di violenza su di un cavallo, mette a dura prova lo spettatore.
Il tocco del peccato di Jia Zhangke racconta con sottile ironia, nell’assurdo semplicismo e nell’ingenuità di Dahai, eppure così verace nei suoi intenti e nei suoi modi, una battaglia sindacale. Probabilmente una tale critica, in Cina, è possibile affidarla solo a personaggi sciocchi, per non incorrere nel rischio di vederci una cospirazione o una rivolta preparata. Dahai è un rabbioso lavoratore disilluso, che si sfoga e si appella alla giustizia, presenza inesistente. Per questo, dallo stolto che era, canzonato dai conterranei, si tramuta in un folle cacciatore, iracondo e con una buona mira. E si trova così a punire questo e quello indiscriminatamente, perché se non ci pensa il sistema allora, basta, lo fa lui.
Ciascun protagonista è spinto a un gesto estremo, ben riassunto anche nell’ultimo capitolo, ambientato a Dongguang, dove i ricchi del sud vanno a spendere i loro soldi in prostitute, alcool, perversioni e frutta esotica. E dove confluiscono ovviamente i disperati che non hanno altra scelta che optare per questo mercato.
Nel mercato del sesso non può esistere il vero amore.
I delusi e gli abbandonati di Jia Zhangke
I personaggi di Jia Zhangke, questi diavoli scatenati indotti ai peggio peccati, sono tutti connessi in una spirale narrativa che torna e si avvolge.
Come se questa follia fosse un virus che si trasmette. Abbondano le scene di crudeltà sugli animali, perché rimandano ai maltrattamenti che gli stessi essere umani subiscono. Riflettiamo quindi sulla pietà e sulla disumanità: ciò che infliggiamo alle bestie riecheggia nelle vite degli uomini, abbrutiti. È un ciclo che si ripete, una punizione che non è possibile pensare sia risparmiata a qualcuno.
Lo sapevi che anche gli animali si suicidano?
Allora non conoscono il detto: “meglio vivere una vita triste che morire felici”
La desolazione è estrema, scollata rispetto allo sfarzo di Shanghai, parte della stessa controversa nazione.
Bellissimo l’ultimo still sulla “plebe”, perché è lì che Jia Zhangke è andato a cercare i soggetti migliori de Il tocco del peccato: la pelle della tinta del sole, le rughe scavate, le bocche spalancate da respiri faticosi, e lo sguardo fermo. La gente di Jia Zhangke è tutta affaticata dalla vita e stimola sofferta empatia, anche nella rabbia omicida, quando capita.