A Cannes 76 Marco Bellocchio presenta al pubblico e alla stampa Rapito: primo film italiano in Concorso. Prodotto da IBC Movie e Kavac Film con Rai Cinema, la pellicola mette in scena il crudele ratto nel 1858 di Edgardo Mortara, bambino ebreo di 6 anni prelevato a forza dai soldati del Papa nel quartiere ebraico di Bologna, per ordine del Cardinale Pier Gaetano Feletti (Fabrizio Gifuni), l’ultimo inquisitore della città. Edgardo, bimbo ebreo, era stato battezzato in segreto dalla sua nutrice, credendolo in punto di morte. Per l’allora Stato Pontificio, il bambino con questo atto è Cattolico a tutti gli effetti e, dunque, non può più vivere con la sua famiglia ebrea.
Il totalitarismo dogmatico
La vicenda di Rapito, co-sceneggiato da Marco Bellocchio e Susanna Nicchiarelli, è stata scoperta casualmente dal maestro in un libro di Vittorio Messori, scrittore conservatore e profondamente cattolico. Messori ha approfondito la vita di Edgardo Mortara, sostenendo le ragioni che avevano spinto il Papa ad allontanarlo dalla sua famiglia.
Bellocchio precisa in conferenza stampa: “Non è un film contro il Papa, né volevo salvarlo. C’è di fatto un principio, che è un punto fermo del film, un dato incontrovertibile: l’intolleranza. La religione ha inevitabilmente qualcosa di intollerante. I dogmi vanno rispettati, senza i dogmi la religione muore. Il rapimento avviene in nome di un principio. Il caso Mortara è interessante perché è al confine della dissoluzione dello Stato Pontificio: Papa Pio IX vuole difendere il suo potere temporale a tutti i costi. Edgardo è anche un simbolo dell’estrema lotta della Chiesa, una vera e propria resistenza”.
Alla base della struttura narrativa di Rapito, una solida ricostruzione storica: il rapimento del 1858, il processo avvenuto contro Pier Gaetano Feletti nel 1860 (Bologna si ribella al Papato, annettendosi al Piemonte) e la presa di Roma nel 1870 (che segna la fine dello Stato Pontificio).
Su questo materiale, Bellocchio si muove nella propria navigata maniera, penetrando negli interstizi narrativi attraverso la chiave emotiva, psicologica, visionaria. Il cineasta si è soffermato sull’importanza del lavoro di sceneggiatura con Susanna Nicchiarelli: la scrittura è stata impetuosa, rapida.
Una lotta impari
I genitori di Edgardo, sconvolti da quanto accaduto, faranno di tutto per riprendersi il loro bambino. Sostenuta dall’opinione pubblica liberale italiana e dalla comunità ebraica internazionale, la lotta dei Mortara investe, loro malgrado, un ambito politico.
Fausto Russo Alesi esterna nella figura del padre una palpabile pietas umana, nello strappo di un diritto naturale, subito. Essere spaesato, usa le armi della prudenza, della mitezza, ritenendo possibile una ragionevolezza, affidandosi alla cieca fiducia della legge. Interiormente, è un vulcano, pronto ad esplodere. Barbara Ronchi si è fatta ispirare da una fotografia che ritrae la madre di Edgardo, insieme ai due figli (tra cui Edgardo in tonaca da prete) in una postura contorta ma salda, dritta. Nella dignità di una donna scissa in due, devastata dal dolore, più combattiva del marito ed inflessibile nel ritenersi fino alla morte Ebrea, nel non essersi mai convertita.
Nel lavoro con gli attori, un rapporto bello, di profondità, come Bellocchio si è precisato con calore a definire, la preoccupazione più grande del regista è stata il piccolo e straordinario Enea Sala. “Anche se i bambini sono ormai utilizzati normalmente nel cinema, vanno sempre impiegati prestando tanta, tanta, attenzione”. Il piccolo Enea ha positivamente sorpreso il maestro con il suo sguardo, la sua voce. Ha dato un peso enorme, un significato, alle parole che pronunciava. In più, il piccolo non conosce il Cristianesimo, quindi si è approcciato alla storia e alla figura di Gesù senza alcun preconcetto.
Edgardo Molara è un bambino che pensa subito alla sua sopravvivenza. In una scena che sancisce il primo incontro con la figura di Cristo, lo sguardo di Edgardo è già conscio della necessità di salvaguardarsi. La sua angoscia, il suo dolore, sono filtrati, condizionati, da questo terrore. Lo strappo dalla sua famiglia, così feroce, così inspiegabile, condizionerà la sua vita per sempre.
Le incursioni inconsce-visionarie di questa scissione, tensione emotiva in Edgardo, il suo essere ormai nella Chiesa ma anche contro la Chiesa, contro Papa Pio IX, il suo vero ed unico nemico, sono i momenti dove al meglio emerge la forza visiva e visionaria di Rapito. Leonardo Maltese, che interpreta Edgardo giovane uomo, è perfetto nell’incarnare questa tensione interiore.
Addormentata, sopita dalla vita ecclesiastica a cui il ragazzo è stato costretto, nella quale per un istinto di sopravvivenza, si è adattato fino a farne parte, Edgardo non si riconosce più come Ebreo. La sua identità di Cristiano è però legata ad una costrizione, ad una scissione, dalla quale non riuscirà mai a liberarsi.
Personaggio chiave di Rapito è Papa Pio IX, solidamente interpretato da Paolo Pierobon. Personaggio estremo, ricco di contraddizioni, Pio IX, epilettico, ha vissuto fino ad 85 anni. Ossessionato dal primato della Chiesa, dalla conservazione temporale di un potere ormai, prossimo alla fine e trattenuto disperatamente fino all’ultimo. Paolo Pierobon ha rivelato che per la sua intepretazione si è lasciato influenzare dalla figura papale della pittura di Francis Bacon, dal nero di abisso e di tormento a cui rimanda.
Le musiche originali di Fabio Capogrosso (già autore della colonna sonora di Esterno Notte) marcano nella tensione i momenti topici del film, mescolandosi a brani di repertorio da Shostakovich, Rachmaninov, Arvo Part: tre tempi diversi, che vanno a spezzare la struttura classica, Chiesa e Melodramma, parte della vita di Marco Bellocchio, con cui si è confrontato sin dall’inizio della sua carriera.
Nota a margine
Marco Bellocchio ha rivelato che anche Steven Spielberg aveva iniziato a preparare un film sul caso Mortana, prendendo spunto dagli scritti di David Kertzer (antropologo e storico statunitense, specializzato nella storia politica, demografica e religiosa d’Italia). ” Si dice – sostiene Bellocchio – che il film sia stato alla fine lasciato andare da Spielberg, anche se era in fase abbastanza avanzata, perché il regista americano non aveva trovato il bambino adatto. Più plausibilmente (Bellocchio sorride mentre lo dice), la vera ragione è l’impossibilità di girare un film del genere in una lingua diversa dall’Italiano. Inoltre, in Rapito, è presente il Latino (oltre alla lingua ebraica) ed è essenziale-indispensabile l’uso del dialetto”.