Storie del dormiveglia è un film di genere documentario scritto e diretto da Luca Magi. Prodotto da Kiné in associazione con Piazza Grande, in collaborazione con Vezfilm e Antoniano onlus, realizzato con il supporto di Regione Emilia-Romagna – Film Commissione e il contributo del MiBACT.
Insignito di premi importanti quali Best Film Award al Biografilm Italia e Mention Spècial Interreligieux al Visions du Réel International Film Festival nel 2018, ha partecipato a festival nazionali e internazionali con ottimo riscontro.
Il lungometraggio scruta tra le pieghe dell’esistenza degli abitanti del Rostom, un dormitorio per senzatetto situato nella periferia di Bologna. Donne e uomini parlano alla cinepresa innanzitutto con i loro corpi. Il passato grava, il presente esilia ed il futuro è una manciata di speranza.
Luca Magi è stato un operatore sociale del Rostom. Un luogo di accoglienza ma anche di esilio di derelitti destinati a vivere in eterno le scelte della vita precedente. Qualcuno abita la comunità, qualcun’altro è di passaggio. Primi e primissimi piani rappresentano l’angolazione visiva che accompagna il racconto in prima persona di questa umanità vagabonda. La trama coincide con un collage poetico: una mistura di occhi, gesti e parole che testimoniano storie diverse con uno stesso portato di solitudine.
I resoconti avvengono al buio, la luce fioca cala dall’alto e fa ombra sul muro del Rostom. Ogni abitante del dormitorio siede scomodo su una seduta di plastica, umile e avvizzita, e brucia l’ennesima sigaretta. Le testimonianze narrano di persone che hanno osato, sognato, sbagliato e che sicuramente convivono con il lasciato inevitabile di quelle scelte. Non abbiano idea di come trascorrano le giornate, sappiamo soltanto che la notte è donata ai pensieri e alla generosità del racconto.
David, la voce narrante del documentario
I corpi si svelano imperfetti, erosi dalla vita ai margini. Le interazioni sono alla pari – stessa miseria – in un equilibrio che ha nel silenzio il vertice più straziante.
In questo tremore comune, a cui anche lo spettatore partecipa, pare difficile riscontrare i connotati della finzione cinematografica. Eppure c’è il voiceover di David Stavros Onassis, uno di loro, a collegare le storie in un infingimento dal sapore letterario. Con un registratore a cassette tiene traccia delle proprie impressioni e riflessioni, nonché dei desideri e degli incontri con gli altri ospiti del dormitorio.
La parola al regista
Luca Magi afferma:
ho avuto modo di conoscere e condividere aspetti intimi della vita di centinaia di persone ospitate nel centro. L’impatto con questa realtà è stato violento. I suoi ospiti sono perlopiù persone emarginate, disadattate e sole. Sono sempre rimasto molto colpito – spiega il regista – da come dietro questa fragilità di uomini e donne, dietro la loro solitudine, si nascondesse una grandezza: un senso di rivolta, qualcosa di inutile e spesso distruttivo, ma al contempo capace, se visto da vicino come nel mio caso, di trasmettere l’essenza delle cose, di attraversare gli altri con qualcosa di pulsante, vitale e capace di emozionare.
L’intimità è infatti il volano che dà abbrivio alla narrazione, conferendole quell’autenticità che favorisce il lavorio di intelletto ed emozione nello spettatore. In sintesi, la risposta sentimentale.
La vicinanza con il materiale narrativo rende il regista capace di operare catarticamente, con un montaggio che corrisponde all’intenzione. La polarizzazione è una prima postura, forse inevitabile. Il vagabondare dei protagonisti del film è vocazione o reazione, lo spettatore è fortunato, mentre l’umanità rappresentata sullo schermo è disgraziata. Eppure ciò che supera il documentario, sopravvivendogli, è l’appello alla somiglianza, alle affinità piu che alle differenze tra chi guarda e chi è guardato. Il simbolico campo e controcampo del fim lascia spazio ad una inquadratura che tiene dentro anche quello che apparantemente non si vede.
Storie del dormiveglia, alla ricerca di una nuova grammatica esistenziale
Dalle parole del poeta inglese William Blake:
Non cercare di dire il tuo amore, l’amore che mai si puo dire
L’universo raccontato da Luca Magi è materia ed energia da moltiplicare fuori dal racconto. La distanza che imporrebbe lo sguardo contrapposto e mobile dello spettatore cede il passo alla partecipazione commossa. Perché il lungometraggio parla di possibilità e prossimità, di tragitti colti e interrotti. Nel tentativo di contribuire alla costruzione di una nuova sintassi esistenziale richiama l’urgenza di fare appello ad una dignità comune. Per sopravvivere alla notte, per resistere alle fughe del fumo di una sigaretta.
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