Con il film La valle del peccato il Festival di Cannez 76 la Quinzaine des Cinéastes ha reso omaggio al grande maestro di cinema portoghese Manoel de Oliveira, morto nel 2015 a quasi 107 anni di età, proponendo uno dei suoi massimi capolavori, nel trentesimo anniversario della sua presentazione proprio in Quinzaine.
Un vero gioiello che torna in sala restaurato, rendendo omaggio a un autore di culto la cui lunga vita è stata tutta percorsa dalla grande passione per il cinema, dall’epoca del muto all’avvio del nuovo millennio che stiamo vivendo.
Madrina del poster della Quinzaine di quest’anno non poteva non essere l’interprete feticcio del grande maestro, ovvero Leonor Silveira, la cui splendida effigie risplende in tutta la città d Cannes.
La nuova Madame Bovary
Il film, tratto dal romanzo Vale Abrão della fidata scrittrice Agustina Bessa-Luis, è una sorta di rivisitazione attualizzata, ma nemmeno troppo, del capolavoro di Gustave Flaubert Madame Bovary, peraltro citata dalla stessa protagonista Ema Cardeano in Paiva, cosciente di esserne una sorta di reale personificazione.
La vicenda è incentrata sulla figura di una giovane ereditiera, orfana di madre, bellissima pur se lievemente claudicante a causa di un incidente di gioventù. La ragazza viene data in sposa giovanissima a un maturo ma aitante medico e agricoltore, Carlos de Paiva, possidente terriero si una azienda agricola nella ubertosa valle collinare che cinge il fiume Douro.
Ma la donna, molto votata al lusso e alla vita sociale, si dimostra inquieta e necessita di continui spostamenti per le sue distrazioni. Fisicamente molto attraente, nonostante il problema a una gamba, la giovane attira su di sé una corte di uomini pronti a prostrarsi e a soddisfarla.
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Ma Ema ne sceglierà solo tre, che, pur fisicamente appaganti, mai riusciranno a distogliere la sua mente da uno stato di perpetua malinconia e insoddisfazione, che già viveva quando confinata a casa del marito, costretta ad accudire le due figlie concepite con lui.
“-Ma una Bovary come?
Emma non sentiva alcun desiderio se non nell’immaginazione.
Tutto quello che chiedeva agli uomini, era che le attribuissero valore di oggetto del desiderio…
Non il piacere, perché questo sarebbe diventato il compenso al desiderio dell’uomo.”
Ema rifiuta l’appellativo di nuova Bovary, pur apprezzando in fondo quel plateale ma ingombrante accostamento, e si pente sempre amaramente dei suoi amanti, fino a interrompere le relazioni con un amaro in bocca che ne perpetuano lo status di donna triste e perennemente insoddisfatta.
“Emma gustava il male come una leccornia: un vino filtrato più volte, travasato negli anni da una botte all’altra, trasformato, misterioso, profondo…
Era il suo antichissimo bagaglio, quel male che la donna associa a tutti gli atti, i piaceri, i doveri, le situazioni, le sofferenze. Ma non era possibile immaginarla fare del male: poteva solo macerare il cuore degli uomini nell’essenza che rende salata e feconda la terra.”
La valle del peccato – la recensione
Manoel de Oliveira dirige un film che, pur profondamente radicato con un territorio importante sia economicamente che per la leggenda che si collega agli antenati del consorte della protagonista, un certo nobiluomo chiamato Abramo, finisce per distaccarsi dalla realtà.
Vivendo dei capricci e dei desideri di una donna destinata a diventare il fulcro di interessi, curiosità e pettegolezzi, tanto da ambire a un così accattivante e malizioso raffronto con la protagonista del capolavoro di Flaubert.
Ancora una volta, come già mirabilmente in Francisca ed altrove, de Oliveira racconta fatti e stati d’animo con l’utilizzo solo apparentemente invadente, ma di fatto dalla valenza quasi magnetica, di un io narrante ossessivo e minuzioso la cui strategia narrativa, incalzante e precisa, aiuta lo spettatore a collegare i fatti e gli stati d’animo col passare del tempo e il mutare degli amori e innamoramenti.
La narrazione per interposta persona di de Oliveira
De Oliveira è solito riservare alla voce narrante le scene di movimento, concentrandosi poi nell’esaminare lo studio delle interazioni tra i vari personaggi attraverso riprese a campo aperto, rigorosamente fisse.
Salvo poi stupirci con carrellate inaspettate come quella, magnifica, ambientata nell’agrumeto che precede il tragico quanto ampiamente annunciato finale.
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Il film, girato da un ottantacinquenne vitalissimo regista che, proprio da quel periodo iniziò una seconda vita cinematografica destinata a dare alla luce una media di oltre un film all’anno per circa un ventennio fino al 2012, è un vera e propria opera d’arte.
In grado di esplicitare da una parte i legami col territorio, e dall’altra gli intransigenti istinti amorosi di chi non intende divenire succube di antiche tradizioni e giudizi retrogradi di anziani soggiogati dal proprio passato che odora di stantio.
Ottimi ed essenziali due attori di riferimento nella filmografia del maestro di cinema portoghese: Luis Miguel Cintra nei panni del medico-agricoltore afflitto dai sensi di colpa e assieme pure dal disamore Carlos de Paiva, e la splendida Léonor Silveira, magnifica in questo ruolo dolente di protagonista assoluta sopraffatta da un destino che non accetta, ma che le si cuce addosso come da profezia di chi la circonda e la giudica.