Aki Kaurismäki torna. Sempre a modo suo. Dall’ingresso alla prima ufficiale a Cannes del suo Fallen Leaves, appropriandosi della telecamera mobile che riprende il tappeto rosso. Alla posa per le foto (bloccato perché non si era minimamente accorto di doverlo fare), attaccandosi letteralmente allo stuolo di fotografi pronti ad immortalarlo! Fino all’arrivo in cima alle scale, giocando a nascondino con Tierry Fremaux (delegato generale del Festival di Cannes). In sala, tutti noi lo stiamo aspettando, impazienti, carichi di felicità. L’ovazione che il cineasta riceve è commovente.
Fallen Leaves: la saga sul proletariato
Ispirato alla canzone Les feuilles mortes, composta da Joseph Kosma con testi di Jacques Prévert, Kaurismäki omaggia Bresson, Ozu e Chaplin, autori legati idealmente con il loro cinema a ciò che può portare l’umanità verso un futuro: amore, solidarietà, rispetto per tutto il creato, umano, vegetale, animale. Fallen Leaves, il quarto film del maestro della saga sul proletariato, dopo Shadows in Paradise (1986), Ariel (1988) e The Match Factory Girl (1990), per la quinta volta entra nel Concorso.
La trama
Ansa (Alma Pöysti) e Holappa (Jussi Vatanen) sono due mature anime sole. Precari dell’esistenza, Holappa ha in più il vizio del bere. Si incontrano casualmente ad una serata karaoke dove le anime perse, con fissità e smarrimento, si ritrovano. Si piacciono, ma la vita, si sa, è fatta di ostacoli da superare. E così l’incontro, da entrambi agognato, viene ritardato, posticipato dal caso. Intanto, vivono nei loro piccoli, isolati mondi. Una casa-stanza Ansa, un letto di una baracca container Holappa. Ansa riesce ad invitare Holappa a cena, ma qualcosa va storto. Quando l’uomo prende la sua decisione più importante, di nuovo la riunione con Ansa appare impossibile. L’esistenza riserva anche sorprese e i due, finalmente, sono pronti a camminare insieme.
La trasfigurazione del cinema nella sua arte
Dentro l’inconfondibile stile, tra minimalismo narrativo, ironico stordimento e no sense, densa poesia, Kaurismäki tratteggia con estrema efficacia il mondo degli ultimi. Un mondo semplice, dove i personaggi, così apparentemente staccati dalle opportunità economiche e sociali destinate ad un universo irraggiungibile, sono più umani di chiunque altro. Alienati, ma uniti, solidali, sentimentali. L’umorismo rende meno amara, meno abissale, la miseria dell’oggi. Un oggi che Kaurismäki non dimentica nella sua attualità: il dramma Ucraino penetra sottilmente e potentemente dagli ascolti radiofonici dei protagonisti di Fallen Leaves. Intristiti, cambiano subito canale o spengono, ma l’adesso è là, presente nella sua ingiustizia e sofferenza.
La vita pulsa, nonostante condizioni di lavoro sempre più prevaricanti, nonostante l’aggiungersi di ostacoli ad un cambio di passo esistenziale per chi nasce in fondo, in basso. Nonostante gli orrori della guerra, i diritti negati, calpestati. Nonostante la tecnologia fagocitante, spersonalizzante. Il cinema, nella sua arte, è per Aki Kaurismäki, quella trasfigurazione a cui possiamo aggrapparci per non dimenticare, per rimanere umani, felici, vivi.