Al Festival di Cannes 76, uno tra i primi film della sezione Semaine de la Critique è stato Tiger Stripes, della regista malese Amanda Nell Eu.
Un film povero a livello di budget, che si concentra sulle mutazioni fisiche e psicologiche che riguardano la fase adolescenziale, dando vita a una sorta di horror che si industria anche a mettere in gioco effetti speciali un po’ rudimentali, ma utili alla narrazione.
E al Festival di Cannes, dopo le inquietudini pandemiche de Le règne animal, si torna a parlare di insane commistioni tra umanità e mondo animale.
La presidentessa della Giuria della Semaine 2023, Audrey Diwan, assieme agli altri membri (Rui Pocas, Franz Rogowski, Meenakshi Sheddle e Kim Yutani) ha decretato il film come il vincitore della prestigiosa selezione di quest’anno.
Il tocco letale della ragazza-tigre
Zaffan ha dodici anni e un temperamento piuttosto vispo che la mette spesso a confronto con un mondo degli adulti a cui anela, ma che la vede ancora acerba nel rapportarsi con persone più grandi di lei.
Nel contempo, il suo nervosismo si acuisce quando si accorge che, con l’avvento della pubertà, il suo corpo continua a cambiare, trasformandosi poco per volta in un essere simile al pericoloso felino che vive nelle foreste attorno al suo villaggio.
Le amiche, accortesi della mutazione in atto, si fanno prendere dal panico e la rifuggono più di prima, e anche le poche amiche intime si ritrovano impaurite ad affrontare le sue isterie sempre più plateali.
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L’intervento di un sedicente santone, chiamato ad allontanare il presunto demone che si è impossessato del corpo di Zaffan, si rivelerà un ciarlatano e pagherà a caro presso il suo inganno.
Alla giovane non resterà altra soluzione che lasciare la civiltà da cui proviene, seguendo gli spiriti guida del mondo naturale che circonda il proprio villaggio.
Tiger Stripes – la recensione
L’adolescenza è uno dei momenti più vulnerabili e critici sia fisicamente che caratterialmente nel giovane che si trova ad affrontare questo tribolato periodo di cambiamenti.
Se poi intervengono anche gli influssi di leggende e spiriti locali, ecco che le cose si complicano ulteriormente.
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La regista Amanda Dell Eu cerca di inserire nelle turbolenze già insite in questa delicata fase di sviluppo del corpo umano, specialmente quello femminile, elementi magico-esoterici legati alla tradizione della terra natia: una Malesia verde smeraldo, lussureggiante, tutta boschi e animali allo stato selvaggio che ancora oggi costituiscono un pericolo per la vita umana.
Nel suo orgoglioso restare un film di genere, condito di effetti speciali un po’ rozzi e simili a quelli di gommapiuma degli anni ’60, il film si concentra anche e soprattutto sulla tematica dell’accettazione di se stessi e della diversità.
La storia riesce ad equilibrarsi piuttosto bene tra la bizzarria di un horror un po’ folle e dai tratti anche deliberatamente ironici, e l’analisi semiseria della problematica legata all’ identità e alla consapevolezza delle proprie esclusive caratteristiche psicofisiche. Contro un mondo che tende sempre troppo a creare generalizzazioni e categorie, preferendo evitare il riconoscimento delle singole specificità che rendono unico ogni individuo.