High Desert è una nuova serie statunitense in onda su Apple TV+ dal 17 maggio con i primi tre episodi, a cui seguiranno gli altri con cadenza settimanale. Si tratta di una dark comedy che vede tornare su piattaforma il premio OscarPatricia Arquette (Boyhood, Severance, Escape at Dannemora) in qualità di protagonista e produttrice esecutiva. In quest’ultimo ruolo fa coppia con Ben Stiller, che avrebbe dovuto girare anche l’episodio pilota. L’intera regia è curata da Jay Roach, vincitore dell’Emmy per Recount, che aveva già lavorato con l’attore nella trilogia di Ti presento i miei.
Patricia Arquette veste i panni di Peggy, una donna con problemi di tossicodipendenza che tenta di reinventarsi come investigatrice privata nella cornice desolante del deserto americano.
La serie è prodotta da Apple Studios, Red Hour Films, 3 Arts Entertainment e Delirious Media.
High desert, la trama
Anno 2013, giorno del Ringraziamento. Peggy (Patricia Arquette) si mostra radiosa, si muove confidente negli spazi della sua bellissima casa a Palm Springs. Accoglie gli ospiti, si occupa del tacchino, sorride ai complimenti. Eppure serpeggia un’atmosfera a tratti tensiva, che spadroneggia quando gli agenti della DEA si collocano all’ingresso della villa. All’improvviso l’intera compagnia si affanna per disfarsi degli accumuli di droga e del denaro che abbonda nell’appartamento.
Dieci anni dopo, Peggy non sembra avere lo stesso smalto. È una tossicodipendente in via di guarigione e si mantiene a malapena facendo l’attrice in una location turistica. Sua madre (Bernadette Peters) muore e i fratelli di Peggy (Keir O’Donnell e Christine Taylor) le fanno pressione per vendere la casa in cui vivevano entrambe. Quando Peggy rischia di perdere anche il suo appartamento, punta tutto su una nuova sfida: diventare un’investigatrice privata.
High desert, one-woman-show
È ormai noto che il genere crime spopola sulle piattaforme. High desert non sfugge alla categorizzazione, pur rientrando a pieno titolo in un processo di sperimentazione che Apple TV+ sta portando avanti da tempo. Ci sono almeno due elementi che confermano questa tesi: l’abbinamento alla commedia e la presenza di un personaggio femminile respingente. Partiamo dal secondo.
Patricia Arquette è un’attrice dal talento luminosissimo. E lo conferma reggendo la serie titanicamente sulle sue spalle. Il personaggio che interpreta si fregia della sua fisicità e della sua mimica per fare cio che deve: risultare come la pioggia battente quando non hai l’ombrello. Peggy è una donna avida e truffaldina, che spazia tra le grandi potenzialità e i più beceri difetti. Sa districarsi nelle situazioni bizzare in cui è solita ficcarsi, ma è incapace di andare oltre il proprio istinto di sopravvivenza. Spregiudicata, arrogante, si fa fatica a capire se indossa una maschera che cela insicurezza e inadeguatezza.
Volontà e tenacia sembrano essere il marchio di fabbrica del suo agire con e su gli altri. L’aspetto corale della serie è infatti schiacciato dalle proporzioni del personaggio di Peggy, relegando le figure maschili a ruoli marginali, ridicoli e destinati a soccombere. Tra questi è opportuno citare Matt Dillon nei panni dell’ex marito, Rupert Friend, ovvero il ciarlatano mascherato da guru e Brad Garrett, l’investigatore privato costretto da Peggy a farle da mentore.
C’è un disperato bisogno di una contro-narrazione femminile, e la presenza di Patricia Arquette è la chiave di volta che matcha con le intenzioni delle creatrici. Eppure i grandi interpreti non possono navigare adeguatamente se la nave imbarca acqua.
L’America raccontata nella serie
Il territorio da cui High Desert prende il titolo è una regione desertica dai confini non ben definiti e situata nel sud della California. Come sempre quando si parla di America, i luoghi in cui si svolgono gli eventi sono indicativi delle caratteristiche antropologiche di coloro che li abitano.
Lo strato sociale di periferia raccontato nella serie rientra nella definizione rocambolesca e spesso offensiva di “White Trash”, su cui Nancy Isenberg ha certato di mettere ordine in White trash. Storia segreta delle classi sociali in America:
la “spazzatura bianca” vive in uno stato di degrado in condizioni semi-animalesche, abitando in baracche di fortuna; i bianchi poveri sono ignoranti, malvestiti, hanno un forte accento regionale e non rinuncerebbero mai al loro fucile; hanno anche una marcata tendenza alla criminalità, sono estremamente “carnali” e persino incestuosi, hanno un gran numero di figli, spesso fuori dal matrimonio e in età precoce, sono alcolizzati, razzisti e bigotti. Tutti, in un modo o nell’altro, sono bianchi improduttivi ed arretrati, che mal si accordano al modello del sogno americano. Lo stereotipo classico si è adeguato ai tempi e alle caratteristiche negative del passato si sono aggiunti l’abuso di droghe e la vita nomade condotta su trailer malandati, spesso di terza mano, in trailer park sparsi per tutti gli Stati Uniti.
Peggy e il suo entourage traballano infatti su un confine labile tra legalità e criminalità, che ha il sapore dell’homo homini lupus e dell’arte di arrangiarsi, conditi dalla capacità di cogliere al volo ogni possibilità per farlo. La serie gioca su questo doppio registro: da una parte la componente tragica di coloro che sbarcano il lunario e dall’altra le energie per fregare quel sistema socio-economico che determina la loro emarginazione. La comicità nera ne consegue coerentemente. Tuttavia, la storyline fatica a combaciare con l’anatomia dell’assurdo incarnata dai personaggi.
La struttura narrativa di High Desert: intuizione o azzardo?
Se l’asse della commedia intrattiene lo spettatore, la perpendicolare del crimine instilla in chi guarda il desiderio di vedere il mistero risolto. La strada che dovrebbe condurre al dipanarsi finale della matassa si perde continuamente e ogni puntata risulta una storia semi-chiusa che si collega a stento con l’episodio successivo.
Lo show si fa interessante quando svela stranezza e contraddizioni relative ai singoli e allo strato sociale di riferimento. Ma qui non si tratta di un lungometraggio e questo livello di stavaganza risulta difficile da salvaguardare per un’intera stagione. Inoltre il tenativo di favorire l’immedesimazione con la protagonista grazie al commosso ricordo della madre non si incastra appieno nella narrazione di Peggy favorita per la maggiore sullo schermo.
Lo sforzo di Patricia Arquette nell’ispessire la scrittura le fa onore ed anche se non sempre risulta efficace, è puro intrattenimento vederla all’opera.
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