Dal 18 maggio nelle sale italiane la versione riadattata di un film magistrale di R. W. Fassbinder: una scommessa vincente che coinvolge e commuove oggi più dell’originale
In apertura e in concorso nel 2022 alla Berlinale, Peter von Kant di François Ozon, distribuito da Academy Two, traspone liberamente in chiave maschile il melodramma a camera chiusa Le lacrime amare di Petra von Kant (1972) di Rainer Werner Fassbinder. Nel cast di Ozon attori di prim’ordine quali Denis Ménochet, Khalil Gharbia, Stefan Crepon e volti generazionali degli anni Settanta come Isabelle Adjani e Hanna Schygulla.
Peter Von Kant Sinossi
Colonia, 1972. Peter von Kant è un regista cinematografico che, recluso nel suo appartamento, progetta il prossimo lavoro insieme al sottomesso e silente assistente Karl. Quando giunge a trovarlo Sidonie, matura diva da lui lanciata, l’amica gli introduce un povero giovane di belle speranze, Amir. Peter se ne innamora, lo rende suo amante e lo sceglie come star della nuova pellicola. Presto però la complicità reciproca svanisce: Amir si rivela egoista, superficiale e sprezzante, mentre Peter, provato, sprofonda nell’autodistruzione, da cui tentano di salvarlo sua madre, la figlia Gabriele e Sidonie.
Dalla Germania ovest con amore: confini d’autore
Su un primo piano sgranato di Fassbinder scorrono i titoli di testa di Peter von Kant, a sancire platealmente il lascito e la devozione della nuova versione contemporanea verso il mentore di Ozon, che nel 2000 adattò una pièce del cineasta tedesco mai portata in scena con Gocce d’acqua su pietre roventi, titolo misconosciuto nella poliedrica e sperimentale filmografia di Ozon e imparentato con Peter von Kant per il Kammerspiel, gli intrecci passionali, gli svelamenti antiborghesi, il sarcasmo in sottotraccia.
Eppure Peter von Kant enuncia la sua identità autoriale e persino la sua unicità dove il regista francese cita se stesso, aprendo la narrazione con un’immagine artificiosa su una finestra che richiama l’incipit di pellicole precedenti, da 8 donne e un mistero all’ultimo, intelligente divertissementMon crime. E il film è una finestra semichiusa sul mondo aperto e viscerale (del fare cinema), l’orizzontale ritratto di un cineasta dall’interno, la tragedia compassionevole di un uomo ridicolo, un mélo teneramente ilare, secondo quell’equilibrata commistione di generi rivisitati senza pomposa serietà con cui Ozon ha navigato a vista nella storia del cinema, riprodotta con sguardi ricreativi, obliqui e sulfurei.
Peter/Petra: l’adattamento di un classico moderno
Nella compenetrazione tra poetiche dialoganti e distinte, Peter von Kant distilla il mondo di Fassbinder in ogni sequenza e al contempo Le lacrime amare di Petra von Kantriaffiora qui risplendendo di nuova modernità, ariosità, persino gusto per l’intrattenimento.
La sceneggiatura adattata da Ozon, quasi fedele all’originale, comprime l’anima del melodramma primario in un ritmo più serrato da tragicommedia, la regia si sgancia dalla claustrofobia del Kammerspiel mettendo piede all’esterno, gli interpreti plasmano una fisicità più disinvolta e un’umanità più empatica, la scenografia lima la ridondanza del puro camp. Ma sempre alla luce dell’estro ispiratore del regista bavarese.
In un precario e vincente sposalizio tra lezione fassbinderiana e personale reinvenzione si snoda quindi Peter von Kant, in cui fin dal titolo Ozon compie una transizione di genere (come nella recente serie tv Dead Ringers, ricalcata sull’omonimo capolavoro di David Cronenberg), da Petra a Peter, che si estende anche agli altri comprimari di questa sarabanda di amour fou.
Escluse l’amica Sidonie e la figlia Gabriele, l’assistente Marlene diventa Karl, la sensuale e sdegnosa amante Karin si trasmuta nell’angelo caduto Amir, in una versione che, oltre a sancire la trasversalità del personaggio “von Kant”, rilancia uno scardinamento, anche se non inedito, dei codici del mélo, conferendo al personaggio maschile, e non femminile, il ruolo di solista delle intemperie dell’anima.
La solitudine mangia l’anima: il protagonista del film
Peter, più di Petra, piange vere lacrime amare, se non roventi, distrugge e si strugge, si commuove per i trascorsi di Amir e si fa commiserare dalle donne della sua vita; non cela le sue debolezze, la sua infantile volubilità, la sua fragilità di artista, appena dissimulate da una mole di carne imponente e burrosa da comicità slapstick, dai suoi capricci di eremita bon vivant, dall’imperativa autorità verso l’assistente Karl.
Sguardo sornione e occhi indifesi, acconciato come Fassbinder nella sfibrata maturità prossima alla morte, abusante di stupefacenti e di alcool, amante della musica leggera e del ballo più posticcio, ingrato e verbalmente incontinente, goffamente viscerale: un ingombrante personaggio da amare, specchio delle contraddizioni dell’essere in vita in cui si intravede in filigrana il geniale regista tedesco. Si presta interamente a lui il suo interprete, Denis Ménochet, finalmente promosso a protagonista, attorniato da una complice compagine di altri attori e soprattutto di attrici, tra cui svettano Isabelle Adjani e Hanna Schygulla.
Come in uno specchio: frammenti e riflessi di grande cinema
Proprio Adjani e Schygulla potenziano la portata essenzialmente cinematografica del film di Ozon (già intessuto di cinema con la scelta di rendere il suo protagonista non più stilista – come lo era Petra – ma regista di film), rispettivamente come icona da cammeo di uno dei personaggi più romanticamente folli visti sul grande schermo, l’Adèle H. di Truffaut, e come musa stessa di Fassbinder, qui nelle vesti della madre di Peter, nonché sorta di esecutrice tutelare per il ruolo di Karin in Le lacrime amare di Petra von Kant.
Le lacrime amare di Petra von Kant
È un gioco di specchi e intersezioni Peter von Kant, dove si ammicca a Romy Schneider e dove Adjani si atteggia a diva ormai al tramonto, ridefinendo con coerente teatralità ed esperto carisma i cliché già interpretati in Masquerade di Nicolas Bedos. Ma dalla regia di Ozon fuoriesce anche un atto d’amore al cinema stesso, l’unica devozione possibile e fedele per Peter, costretto a rivedere, distrutto, le riprese su Amir fino a una catarsi sospesa, con una chiusura sorprendentemente affine a quella di Babylon di Damien Chazelle.
Dopo tanto cognac, gin tonic, gelosia e masochismo, rumore e furore di una passione che shakespearianamente non significa nulla (e che Ozon ammanta dei colori saturi del blu, contro le tradizionali marche espressive del mélo), non resta che il girato della macchina da presa, sublimazione delle ceneri di un sentimento fallace ma autentico. Empire of light (per citare l’ultimo film di Sam Mendes), l’impero della luce proiettata sullo schermo come regno del riscatto e della rinascita; ma pur sempre in tonalità blu spettrale, nei meandri della malinconia e della rassegnazione.
Il diritto del più forte: un film politico
Il mestiere del cinema tuttavia non è rivestito da un’aura di idealizzazione e anche attraverso le relazioni interpersonali di Peter e Sidonie la regia di Ozon si accosta con il consueto acume critico e graffiante a tendenze e convenzioni, come quella (auto)celebrativa di un recente filone dedito a immortalare il potere taumaturgico dei film; in Peter von Kant, però, pur in un finale riconoscente al balsamo della celluloide, si affacciano anche le ipocrisie e l’opportunismo di quella che è prima di tutto un’industria, un apparato di potere e di guadagno.
C’è dunque Peter che schiavizza il suo segretario, rigorosamente ammutolito, fino ad appropriarsi delle sceneggiature scritte da quest’ultimo, inscenando una dialettica professionale in cui Ozon dosa comicità keatoniana (grazie alla mimica silente di Stefan Crepon/Karl) e grottesco beckettiano (dove invece in Fassbinder soffiava più la dicotomia hegeliana tra servo e padrone).
C’è anche Amir, che cavalca il successo di stampa e poi abbandona il suo regista e amante. La stessa Sidonie, accusata di essersi svenduta alle ragioni di stato hollywoodiane, rivolgendosi a Peter esclama, echeggiando un altro celebre melodramma sociale di Fassbinder:
Stai dalla parte del più debole, ma vale la legge del più forte.
Menzogna e sortilegio di un sistema, dunque, con le logiche capitalistiche di mercato che si insidiano anche nelle frizioni affettive, in rispettosa adesione da parte di Ozon alla visione sociale di Fassbinder.
Ma il regista d’oltralpe è in grado di aggiornare la parabola artistica discendente di tossicità sentimentale e sfruttamento economico, avvolgendola nel drappeggio violaceo di un’ironia mordace, nel candore di pelliccia della libertà del vivere e dell’amare, nella vellutata sinfonia a passo di danza (“Ognuno uccide ciò che ama”, intonata da Adjani) che rappresenta le levità recondite dietro le increspature della drammaticità, in un ribaltamento di prospettive che esalta infine la forza della creatività e che in Ozon si accorda sempre alla virtù di stile.
Peter von Kant
Anno: 2022
Durata: 85'
Distribuzione: Academy Two
Genere: Melodramma
Nazionalita: Francia
Regia: François Ozon
Data di uscita: 18-May-2023
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