In sala dal 25 maggio, Dalíland di Mary Harron vede Ben Kingsley nei panni del celebre ed eccentrico artista, alle prese con gli anni Settanta e con un'importante mostra dalla quale dipendono il suo futuro e quello di sua moglie Gala.
In uscita nelle sale il 25 maggio, distribuito da Plaion Pictures, Dalíland di Mary Harron è incentrato sulla figura di Salvador Dalí e sul rapporto con la moglie Gala, durante gli anni Settanta. A vestire i panni dei due protagonisti, Ben Kingsley e Barbara Sukowa.
La pellicola, presentata al Toronto Film Festival e in anteprima a Torino, fotografa bene lo spiritodell’epoca e di chi lo respirava fino in fondo, come Dalí. Eccentrico, appassionato e travolgente, l’artista lasciò un segno in tutti quelli che ebbero la fortuna di entrare nella sua orbita.
Dalíland | La trama
Nel 1985, Salvador Dalí (Kingsley) si presenta in un quiz televisivo, come ospite misterioso, la cui identità deve essere indovinata attraverso una serie di domande. Guardando le immagini sullo schermo, James (Christopher Briney) torna indietro con la mente al periodo trascorso insieme all’artista.
Erano gli anni Settanta e Dalí viveva nella suite d’albergo numero 1610, insieme alla moglie e musa Gala (Sukowa), seguendo delle abitudine molto precise. Dalíland era appunto il nome dato a questo piccolo regno, popolato da bellissime ragazze, alcol pregiato e ogni tipo di espressione artistica. Ovviamente, il fulcro delle serate era sempre Dalí, con la sua personalità stravagante e strabordante.
James si ritrova, così, avvolto e avvinto dall’atmosfera, arrivando addirittura a lavorare a fianco del mitico pittore. Che sia il caso o il destino ad averlo condotto sin lì, da quel momento la sua vita non sarà più la stessa.
La figura di Salvador Dalí
Dopo il convincente Charlie Says, la canadese Mary Harron torna a concentrarsi su una figura sfaccettata, magnetica e affascinante. Salvador Dalí è stato indubbiamente uno dei personaggi più incredibili che siano mai esistiti. La sua arte è qualcosa di unico, capace di sfiorare corde dell’anima impossibili da raggiungere in altri modi.
Non credo abbiano inventato una parola che definisca Dalí.
La potenza delle sue opere si deve, probabilmente, a tutto ciò che vi metteva dentro. La sua ossessione per la morte, da cui era terrorizzato, divenne una fonte di ispirazione costante e dichiarata. È la vita, infatti, nella sua forma più pura e libera, a emergere dal suo lavoro, quasi fosse un antidoto o uno scudo.
La ricerca del piacere, della bellezza, anche nelle cose più semplici e apparentemente banali, guida la mente e la mano di Dalí. Al tempo stesso, altre emozioni entrano nella sua arte: la collera, la gelosia, lo spirito dissacrante.
L’importanza del sapere chi si è
Dalíland mette ben in mostra tutte le suggestioni, riuscendo a immortalare e restituire la personalità dell’artista. E, con lui, quelle di chi gli gravitava intorno, dalla consorte Gala al pupillo James. Nel film, l’identità è un tema cruciale, sottolineato da un quadernino contenente le firme di Dalí.
Ciascuno tenta di percorrere la propria strada, ma non sempre gli ostacoli lo permettono. Non essere presi sul serio dalla critica, temere la povertà, credere in un amore non ricambiato. Man mano che la narrazione procede, vengono delineati i caratteri e le storie che li riguardano.
Un plauso va, in tal senso, alle prove attoriali: dal veterano Kingsley al giovane Briney, le performance si rivelano un valore aggiunto. E non è da meno, sebbene le poche pose, Ezra Miller nei panni del Dalí del passato.
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