AppleTv+ SerieTv
‘L’ultima cosa che mi ha detto’, recensione della miniserie
Published
2 anni agoon
Su Apple TV+ , L’ultima cosa che mi ha detto (The last thing he told me nella versione originale) è una miniserie statunitense basata sull’omonimo best-seller di Laura Dave, responsabile dell’adattamento televisivo insieme al marito Josh Singer (Il caso Spotlight).
Creata grazie all’apporto indispensabile della Hello Sunshine Productions di Reese Witherspoon, la serie ha un cast perlopiù al femminile, guidato dalla regia alternata di Deniz Gamze Ergüven (Perry Mason, Mustang), Lila Neugebauer (Maid, episodio ‘Thief’) e Olivia Newman (Where the Crawdads sing).
L’ultima cosa che mi ha detto, la trama
Hannah (Jennifer Garner) è una donna riservata e gentile. Trascorre le giornate tra il laboratorio in cui crea ceramiche, secondo l’arte insegnata dal nonno, e la sua splendida casa galleggiante a Sausalito in California. É sposata da poco più di un anno con Owen (Nikolaj Coster-Waldau), con cui vive una relazione di intesa, dolcezza e mutuo sostegno. Il difficile rapporto tra Hannah e la figlia di Owen, Bailey (Angourie Rice, Omicidio a Easttown), però, sembra scombussolare l’armonia generale della famiglia.
Eppure saranno proprio le due donne, apparentemente così distanti ed emotivamente slegate, a dover far fronte comune per gestire l’improvvisa scomparsa di Owen.
L’ultima cosa che mi ha detto, il cast
A circa cinque anni di distanza dal suo ultimo ruolo come protagonista (Camping, 2018), Jennifer Garner recupera il centro della scena vestendo i panni di Hannah. La giovanissima Angourie Rice, invece, già apprezzata sullo schermo come Sioban in Omicidio a Easttown, si difende bene nelle vesti di Bailey, un’adolescente schiva e scontrosa stretta in un legame indissolubile con il padre Owen, l’uomo brillante e misterioso intepretato da Nikolaj Coster-Waldau.
È bene citare anche Aisha Tyler nella parte dell’amica fidata di Hannah, ovvero Jules, la sua fedelissima compagna intepretata da Tyner Rushing e l’avvocato di Hannah nonchè il suo ex Jake, ruolo ricoperto da Geoff Stults.
Le tessere di un puzzle
The Shop, la start-up per cui lavora Owen, viene raggiunta dall’FBI per una presunta frode a danno di clienti e investitori. L’oggetto della truffa è un software spacciato per funzionante ma non ancora pronto per essere immesso sul mercato.
Nel giro di poche ore Owen scompare senza lasciare traccia. I soli elementi a cui aggrapparsi sono due biglietti molto enigmatici che lo stesso lascia a Hannah e Bailey, e una borsa contenente mezzo milione di dollari in contanti.
Quando uno strano uomo inizia a seguire Hannah e uno sceriffo federale di Austin bussa alla sua porta, si deduce che l’intrico economico al The Shop è solo la punta dell’iceberg. Il caso non è di pertinenza territoriale di Austin e normalmente la polizia federale non segue questa tipologia di casi.
Il fuggitivo è innocente o colpevole, cosa si cela dietro quella fuga, Owen è davvero chi le protagoniste pensano che sia: queste sono alcune delle domande che portano lo spettatore all’epicentro del plot narrativo. Lo scontro generazionale – e la rispettiva possibilità di incontro – costituiscono il teatro nel quale Hannah e Bailey si muovono per trovare le risposte.
Come tessere di un puzzle, in un gioco di balzi temporali verso il passato e il presente, L’ultima cosa che mi ha detto sfida i confini della categoria di appartenenza, mescolando dramma, mistero e giallo in una storia che vede l’eroina discendere verso se stessa per arrivare alla verità.
Oltre la categoria del thriller
“Sei tu che decidi cosa notare”. Le parole del nonno di Hannah le ronzano nella testa come indizi su dove poggiare lo sguardo. Il viaggio della protagonista rifletterà sempre il binomio tra istinto e saggezza, che in fondo è il lascito dell’esperienza.
Nella miniserie, gli elementi del thriller e del mistero rispondono tutti all’appello in una cornice piuttosto elegante, rafforzata nel risultato finale da una sceneggiatura di matrice chiaramente letteraria.
La produzione di Hello Sunshine fa il resto. L’antagonismo maschile ad ostacolare il viaggio dell’eroina; il chiaroscuro delle dinamiche familiari; la rottura del quadro pittoresco incarnato dalla borghesia americana e quella narrazione pensata, raccontata e intepretata da donne, con la loro pluralità di voci.
I picchi d’azione non sono quindi nell’avvicendarsi degli avvenimenti esteriori, nelle accelerazioni della trama: in questo consiste il tentare il tutto per tutto in una categoria piuttosto stereotipata. I moti si agitano dentro e tra le donne del racconto, verso una verità che è prima di tutto interiore, e poi manifesta.
L’ultima cosa che mi ha detto fino a qui
Non potremo mai sapere come Julia Roberts avrebbe interpretato il ruolo di Hannah, se non avesse rinunciato a causa di un conflitto di impegni. Conosciamo invece il lavoro fatto da Jennifer Gardner: al tempo stesso resistente ed accogliente, ispida e materna, gioca bene le sue carte portando dentro il personaggio sfumature che lo spettatore raccoglie poco a poco, insieme al dipanarsi della storia.
La grande presenza assente è quella di Owen, contemporaneamente meta e strumento del plot narrativo. Questo escamotage lo rende centrale ma c’è da chiedersi se alla fine di questa ricerca non resti solo un pretesto per cominciare un viaggio verso qualcosa che lo trascende: un’intimità costruita sulle differenze, la capacità di dissiparle e la solidarietà che le donne sanno trovare soprattutto nei momenti dolorosi. S’intuisce infatti che il rapporto tra Hannah e Bailey è il fuoco del racconto.
Quindi finora una serie ben costruita, tesa e drammatica al punto da indurre lo spettatore ad andare avanti nella visione e che, non solo risponde adeguatamente ai parametri tematici di riferimento, ma mostra anche una spinta a superarli.