Nella categoria Panorami Italiani del Festival UnArchive Found Footage è presente un’opera innovativa intitolata Una claustrocinefilia, di Alessandro Aniballi.
L’espressione pura e sincera della meta – cinematografia.
Alessandro Aniballi, critico cinematografico, diventa regista e attore per raccontare il suo amore per la settima arte. Una Claustrocinfilia è un diario scritto e tradotto in immagini filmiche per raccontare la vita e il pensiero del suo autore. Ma è al tempo stesso una bizzarra storia del cinema, dove parola e immagini s’incontrano.
Una claustrocinefilia. La trama
Marzo 2020, scatta il lockdown. Un cinefilo, Alessandro Aniballi, si rifugia nell’unico interlocutore che gli è rimasto, il computer. Si rivolge al suo pc per provare a ricostruire il proprio mondo interiore ed il mondo esterno, fatti di ricordi personali, ma soprattutto di immagini iconiche del cinema del passato. Quelle immagini, quei volti, quei film, lo ossessionano a tal punto da fargli scoprire e verificare che la sua memoria visiva è pressoché interamente occupata dai capolavori che hanno fatto la storia del cinema. Il cinema diventa così lo strumento per attribuire di nuovo un senso alla propria esistenza.

Il festival del riuso creativo delle immagini filmiche
Una claustrocinfilia è presente, fuori concorso, al Festival UnArchive Found Footage Fest, dal 3 all’8 maggio a Roma. Alina Marazzi e Marco Bertozzi sono i direttori artistici di questo evento, di cui Taxidrivers si onora di essere Media Partner, dedicato al riuso creativo delle immagini filmiche.
Una kermesse innovativa per il panorama italiano e innovativo è il film realizzato da Alessandro Aniballi, che ci riporta ai giorni del famigerato lockdown, quando chiuso nella sua stanza si ritrova solo davanti al pc. E allora inizia a scrivere di sé, dei propri progetti e del suo sconfinato amore per il cinema.
Il video essay
Alssandro Aniballi è un critico cinematografico e come molti critici, da anni, coltiva il sogno di varcare l’immaginaria frontiera, realizzando il suo film. E così nasce Una claustrocinefilia. Un film autobiografico, in cui il suo protagonista e autore riesce a proporre una critica cinematografica su alcuni intramontabili classici. E dunque il lungometraggio, della durata di 85 minuti, diventa anche un video essay, comunemente chiamato video saggio.
È questa una prassi cinematografica, diffusa nei Paesi anglosassoni, che progressivamente sta prendendo piede anche in Italia. L’origine dei video essay o video saggio è da cercare nei cosiddetti video – critica, una sorta di documentari che attraverso le immagini raccontano le opere d’arte. L’uso di questa pratica è poi stata utilizzata anche nel cinema e uno dei suoi primi teorizzatori è stato Adriano Aprà nel suo Il testo introvabile, per poi passare alla pratica con Rossellini visto da Rossellini. Insomma, i video essay sono dei film attraverso i film, per usare l’efficace titolo del libro scritto da Chiara Grizzaffi.
Una claustrocinfilia: Essere critico per fare un film
Dopo questa doverosa premessa, torniamo a Una claustrocinefilia, che inizia con l’autore che mette le mani avanti e ammette subito il suo desiderio.
“Il mio essere critico è il tentativo di fare un film”.
Ma siamo nei giorni del lockdown, quando la prima attività sospesa fu proprio quella cinematografica, con la chiusura di tutte le sale. E allora Alessandro Aniballi porge al suo pc, che assume il ruolo di un interlocutore ideale, la fatidica domanda: Cinema… che senso ha questa parola?
Dopo un breve accenno alla Sindrome di Benicious, uno dei tanti progetti filmici di Aniballi, dedicato a un polacco espulso dalla sua patria e che frequentava ogni festival di cinema, c’è un breve intervento di Giovanni Spagnoletti, che parla di Benicious, definendolo un cinefilo a tutto campo.
Ma poi il critico ci fornisce anche una preziosa definizione di cinefilo: un divoratore di pellicole di cui non resta nulla. La cinefilia è una malattia!

Vita, sogno e critica in Una Claustrocinefilia
Ed ecco che, già mentre ascoltiamo le parole di Spagnoletti, scorrono le immagini di estratti di alcuni film, come La grande abbuffata di Marco Ferreri. È in questo momento che Una claustrocinefilia inizia a indossare le vesti di video essay. Ma lo fa in modo informale, senza essere pretestuoso, mentre il regista, attore, sceneggiatore del film racconta la sua vita, con annessi sogni, come quello di intervistare Monica Vitti e sullo schermo scorre un piccolo estratto dell’attrice in Deserto Rosso.
“Monica… Monica… una volta ho sognato di intervistarti”.
Poi tornano gli episodi della quotidianità di Alessandro Aniballi: lo studio del cinese, per diventare il maggior esperto di cinema cinese e l’amore per Baffino, il suo gatto, che purtroppo non c’è più. Ma resta il cinema la vera passione, muro portante dell’intero lungometraggio, che persiste sullo schermo e fuoriesce da esso.
Estratti di La conversazione, Taxi Driver, Entusiasmo e L’imperatore di Roma scorrono davanti agli occhi dello spettatore e il regista continua a giocare con le parole. Linguaggio e visualità s’incontrano, dialogano… si coccolano a vicenda.
Una claustrocinefilia è anche un diario e allora Aniballi ricorda la casa dell’infanzia e suo nonno, che è come Pertini, Totò e Bearzot. È questo l’unico momento del lungometraggio in cui i film cedono il passo a immagini intime dell’autore. Una dichiarazione d’amore giocosa.
Da Francesco Rosi a Orson Welles
Ci sono poi dei momenti in cui emerge la vocazione saggistica dell’opera. È qui che Una claustrocinefilia diventa propriamente un video essay.
Viene proposta una preziosa analisi di Le Mani sulla città di Francesco Rosi, dove si individua l’essenza principale del film basata su un contrasto lancinante, ma mai esibito.
E poi, l’uso del bianco e nero in Toro scatenato di Martin Scorsese, l’importanza di un film come Il testamento del dottor Mabuse di Fritz Lang, Arancia meccanica di Stanley Kubrik e Citizen Kane di Orson Welles.
È quest’ultimo ad attrarre maggiormente l’attenzione di Alessandro Aniballi. Per lui il regista statunitense rappresenta l’essenza del cinema, anche quando utilizza procedure filmiche basiche.
In tutti questi momenti Una claustrocinefilia, anche se non lo cita esplicitamente, si rifà direttamente all’idea di Adriano Aprà, sottolineando l’importanza della moviola nella critica cinematografica. E ciò è possibile solo con il video essay, dove parola e immagine danno vita a una nuova forma di critica.
In questo modo il film di Alessandro Aniballi diventa a tutti gli effetti un film meta – cinematografico. Le idee di un critico diventano il trampolino per il suo essere – non più solo un sogno – un vero regista.
“In questo film ci sto infilando tutto il mio sapere confuso e disinteressato, spesso mal digerito. Forse è questa la finalità…”