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Sky Film

J. T. LeRoy. La recensione

Disponibile dal 21 aprile su Sky Cinema e Now, il film indie del 2018 racconta la storia vera di un clamoroso inganno sulla scena letteraria mondiale

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Presentato nel 2018 al Toronto International Film Festival e solo ora disponibile in Italia su Sky Cinema e Now, J. T. LeRoy, quarto lungometraggio di Justin Kelly, racconta uno dei più discussi e controversi raggiri editoriali di inizio Millennio, incentrato sull’identità enigmatica dell’ambiguo Jeremiah Terminator LeRoy, autore dei best seller Sarah e Ingannevole è il cuore più di ogni cosa. Una piccola pellicola con un cast stellare (Kristen Stewart, Laura Dern, Diane Kruger e in ruoli secondari Jim Sturgess e Courtney Love).

La sinossi

A San Francisco nel 2001 la giovanissima Savannah (Kristen Stewart) incontra la cognata Laura Albert (Laura Dern), donna matura dai trascorsi difficili, un tempo telefonista erotica e ora musicista rock e scrittrice di due acclamate autobiografie sotto lo pseudonimo di J. T. LeRoy. Nome fittizio di un minorenne abbandonato e maltrattato nelle cui vicissitudini inventate Laura ha elaborato ed esorcizzato i traumi della propria vita.

Laura decide ora di sfruttare l’androginia di Savannah chiedendole di impersonare il fantomatico J. T. LeRoy. La ragazza accetta non senza titubanze, mentre l’attrattiva per un’esperienza fuori dall’ordinario congiunta alle potenzialità economiche sfuma nella passione per l’attrice e regista Eva (Diane Kruger), che sta adattando uno dei due libri per il grande schermo. Le incertezze sentimentali di Savannah e la nuova macchina di pubblica visibilità ormai avviata sfuggono a Laura, manager di LeRoy, quando la stampa, incongruenze alla mano, bussa alla porta.

Riverberi letterari

Tratto da Girl Boy Girl: How I Became JT LeRoy di Savannah Knoop, il film sceglie di narrare una vicenda risalente agli anni 2001-2006. Un intreccio quasi romanzesco attorno a un romanzo e al suo autore, un distillato di auto fiction letteraria, doppie personalità, spregiudicatezza trasformista, inganni commerciali e politiche di genere nella versione di solo una delle co-protagoniste, Savannah, riconoscendo però un importante spazio comprimario alla vera tessitrice dell’intrigo, Laura Albert (dedicato a lei è invece il documentario Author: JT LeRoy Story). Non uno sbilanciamento del punto di vista, dunque, quanto una parzialità di sguardo, seppur generosa nel rifinire i contorni anche dell’altro personaggio femminile.

Ma il regista Justin Kelly riapre il gioco della finzione nella stessa sceneggiatura, lavorando su due margini, uno di rielaborazione a tutela di terzi coinvolti (la figura di Eva, modellata su Asia Argento, interprete e regista nel 2004 di Ingannevole è il cuore più di ogni cosa) e uno di sublimazione, con vari dettagli trascurati e omessi, come il ruolo di madre di Laura e una causa giudiziaria di frode avviata contro di lei da una casa di produzione cinematografica.

Dietro la trasposizione di uno scandalo editoriale si affaccia in filigrana, più che una scansione cronachistica dei fatti, un sistema di myse en abyme, un cunicolo di strati in profondità che vuole essere onesto ma non privo di licenze espressive, una dimensione “meta” non troppo caleidoscopica, ma attraente, suggellata dalla citazione di Oscar Wilde in apertura:

La verità è raramente pura e mai semplice.

 

Spostati e dannati: il cinema di Justin Kelly

Già indagatore con I Am Michael (ispirato alla storia vera di un ex attivista omosessuale diventato pastore mormone) di tematiche quali l’identità fluttuante nei dettami della comunità, i chiaroscuri di una sessualità libera, le controverse appropriazioni di libertà, Justin Kelly con J. T. LeRoy ritorna ad esplorare un terreno a lui caro, concentrandosi su un sottobosco sociale meno convulso, cinico e sordido di quello di King Cobra (su un omicidio nell’ambiente del porno gay avvenuto nel 2007), nell’ennesima ispirazione di fatti realmente accaduti che hanno scosso la dirittura del mondo.

Alfiere di un cinema indie (che però non esclude nomi di rilievo nel cast), Kelly, che dopo corti e video musicali ha esordito nel lungometraggio sotto l’egida di Gus Van Sant, imprime una regia scarna, fin troppo trattenuta, ancorandosi alla drammaticità dei rapporti di forza tra i personaggi, al carisma scenico e alla presa espressiva delle sue attrici, in grido di dirottare la filmografia del regista verso una circoscrizione psicologica più intimistica e  vibrante, essenzialmente femminile.

 

Se le prevalenti riprese in interni denotano la frugalità di una produzione a basso costo, compongono però anche un rarefatto microcosmo di anime impaurite, errabonde e apolidi, dove la macchina da presa, nelle porzioni di spazio dei corpi e nei piani ravvicinati delle interpreti, destruttura l’impalcatura della messinscena alla base del plot per tracciare le venature di un’incauta e involutiva innocenza, gli spiragli d’accatto di artisti naufraghi, lo specchio nero di un’America profonda e sbandata.

J. T. Leroy nella sua umiltà di mezzi abbozza la catarsi per le vie della finzione e della reinvenzione di sé, la scommessa inebriante contro la perenne inadeguatezza nel mondo, la munifica ed effimera giostra del celebrity system, lo struggimento della redenzione nell’illusione di amori non corrisposti.

 

Divismo indie: note di recitazione

Ci sono attrici che cuciono sul ruolo da interpretare la propria persona, la propria filmografia, il loro status autoriale e ci sono (poche) attrici che con mestiere si fanno raccontare dal proprio personaggio, che, come Kristen Stewart, offrono agli spettatori la trasparenza della duttilità e al contempo l’opacità del mistero (divistico).

La parte di Savannah/Leroy, rivestita dalla dialettica tra oscurità e luce, serrata introversione ed esposizione, tutta giocata sul crinale della segretezza e del travestimento, arricchisce la galleria dei personaggi della Stewart che si librano sulla poetica del margine, della cornice inadatta al quadro, dell’equilibrio dissolto in un chiarore diafano, dalle assistenti di Sils Maria, Personal Shopper, Café Society a Lady Diana in Spencer.

 

Nei suoi stilemi recitativi, dalla gestualità nervosa alla ritrosia degli sguardi, traspare la tenerezza del disadattamento di Savannah, le increspature della maschera di LeRoy, le ondivaghe sfumature di genere su cui Kristen Stewart ha costruito la sua identità mediale. La attorniano Laura Dern nelle vesti di Laura Albert, rischiosamente sopra le righe, e Diane Kruger nei panni di Eva, attrice e regista francese dall’allure rock e dal temperamento anticonvenzionale e roccioso che la Kruger sa con destrezza plasmare sul referente reale di Asia Argento.

 

J. T. LeRoy

  • Anno: 2018
  • Durata: 108 minuti
  • Genere: Drammatico, biografico
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Justin Kelly
  • Data di uscita: 21-April-2023

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