Bluescreen è un cortometraggio realizzato per l’edizione 2016 del Premio Zavattini da Riccardo Bolo e Alessandro Arfuso. Il progetto è stato sostenuto e prodotto dalla fondazione Aamod/Greve61 con il sostegno della regione Lazio, della Siae, del Ministero della Cultura e della Società umanitaria-cineteca sarda.
Candidato al Globo D’Oro 2017 e insignito del premio speciale della giuria al 35° Torino Film Festival, il video è attualmente reperibile su Youtube e sarà in programma all’Unarchive Found Footage Fest 2023 a Roma, dal 3 all’8 maggio.
Bluescreen. Un film per l’umanità
“Se le immagini del presente non cambiano, cambia le immagini del passato” Chris Marker
Con questa semplice frase dello storico e acclamato regista francese ha inizio il cinegiornale editato dall’androide MK3 (Gabriele Falsetta) per mostrarci brevemente la sua storia di dipendente presso l’Archivio di Stato. È la presa di coscienza di un operaio-androide, che si accorge della meschinità a cui le pubbliche istituzioni sottopongono lui, i suoi simili e gli uomini con i loro telegiornali; una società che vola verso il progresso attraverso forme subdole di schiavitù.
Una storia che ha dentro di sé tanta umanità, o che forse la contiene tutta: il lavoro registico e di montaggio della coppia Bolo/Fanelli ripercorre attraverso numerose immagini di archivio il “secolo breve”, quel novecento che ha segnato irreversibilmente la nostra attualità, che ha contribuito in toto a tutte quelle grandi narrazioni che ogni singola istituzione ci ripropone incessantemente e senza mai cambiarne la solfa.
E anche la voce over calda e sensibile di MK3 ha qualcosa di familiare, di profondamente umano: è venuto al mondo ed è stato “collaudato” per la società del suo tempo, ha provato sensazioni come le nostre, emozioni ben conosciute, si è creato ricordi indelebili e ha finito per condividerli con l’intera comunità dei suoi simili; secondo i dettami e le istruzioni fornitegli da quelle stesse istituzioni che si sono fatte garanti della sicurezza di tutti.
Ma sia MK3 che Bolo/Fanelli ci stanno in realtà raccontando qualcosa di nuovo: riadattando un intero flusso di memoria collettiva, nasce una narrazione completamente diversa, che pone delle domande che la censura di massa non può prevenire. La “società del controllo” teorizzata da Foucault e Deleuze viene così combattuta con la sua stessa medicina: il messaggio che arriva subito è quello di una sovversione ctonia, che parte da quello che già si ha per rimettere tutto in discussione, ma senza davvero infrangere le regole del gioco.
Solo in questa maniera l’intersezione programmatica e impercepibile di brevi fotogrammi nelle programmazioni ufficiali promossa dal nostro protagonista potrà manifestarsi e portare avanti una rivoluzione silenziosa, ma che sarà destinata a fare tanto casino (una versione seria dell’iniziativa presa da Tyler Durden con le pellicole cinematografiche in Fight Club).
Tuttavia, non è facile prendere l’iniziativa. Per poter cambiare davvero l’ordine delle cose bisogna che tutti scendano dalla “Nuvola” (il nome con cui viene significativamente chiamato il software di aggiornamento degli androidi promosso dagli ingegneri che li hanno collaudati), che tutti prendano parte all’indagine critica e razionale del nostro passato e dei suoi fantasmi.
Ma perché fare ciò? Perché ribaltare l’ordine delle cose? Anche queste domande non hanno una risposta immediata. Per liberare tutta l’umanità? Per porre fine a tutte le guerre e iniziare a costruire un futuro migliore?… Forse tutte le risposte che ci vengono in mente sono accettabili, ma quella che sicuramente soddisfa di più è quell’intrinseca e inestinguibile volontà di preservarci, di continuare ad essere umani e non androidi forgiati con lo stampino. Una prospettiva non così facile da realizzare, né certamente da perseguire.
Libertà e post-production
Insomma, quella che già nel 2000 il critico Nicolas Bourriaud definiva “l’arte della postproduzione”, ossia la creazione di opere ottenute dalla ri-plasmazione di materiali del passato con lo scopo di creare una narrativa nuova e disponibile all’indagine critica dello spettatore, ritorna in questo video proponendosi come arma di difesa contro la subdola e livellante staticità a cui ambisce la contemporanea società dell’informazione, per garantire alla nostra specie un futuro in cui credere e un passato a cui fare riferimento.
Mission impossible? Un finale apparentemente pessimista dà quasi l’idea di sconfitta, di indifferente accettazione delle regole e delle narrative sociali, in cui si consuma rapidamente la memoria di tutti quegli sforzi fatti per cercare di giungere al più alto dei valori in cui l’uomo da sempre crede: la libertà. “Tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia” (e non a caso le parole dello straordinario e indimenticabile Rutger Hauer riecheggiano nella colonna sonora che accompagna i titoli di coda: una persistente e perturbante pioggia). O forse è soltanto un finale di copertura, per non destare troppi sospetti? Finché ci sarà anche solo una minuscola scintilla nei nostri cuori, tutto potrà essere rimesso in discussione.
Bluescreen
Anno: 2016
Durata: 16'49''
Distribuzione: Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico
Genere: Docufiction
Nazionalita: Italia
Regia: Riccardo Bolo
Data di uscita: 05-June-2018
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