Seven winters in Tehran di Steffi Niederzoll è un documentario presentato e premiato al Festival di Berlino e visionato al Jeonju International Film Festival che racconta la storia di Reyhaneh Jabbari.
Il film è al Festival Biografilm.
Una rappresentazione struggente della battaglia sofferta di questa donna condannata a morte per aver pugnalato l’uomo che cercò di violentarla. Questa è una storia di donne che hanno alzato la testa contro l’assurda misoginia del sistema iraniano, aggravato da un patriarcato secolare e un estremismo religioso irrazionale.
Nello sguardo magnetico di Reyhaneh Jabbari troverete una lotta mai terminata e uno straziante, disperato, urlo di vita.
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Seven winters in Tehran, la trama
Reyhaneh Jabbari è una giovane di diciannove anni. Lavora come disegnatrice d’interni. Vieni avvicinata da un uomo di mezza età, Sarbandi, chirurgo plastico ed ex-agente segreto, per un lavoro di conversione del suo studio. Quando si incontrano, lui la conduce in un appartamento dove tenta di abusare di lei. Nell’atto di difendersi, lei lo colpisce con un coltello e scappa.
Il processo che ne segue si mostra pieno di depistaggi, al punto che la stessa Reyhaneh viene torturata e costretta a dichiarare il falso. Sia la ragazza che la famiglia non demordono, e malgrado la condanna, per la quale subisce cinquanta frustate, continua a lottare e chiedere una nuova investigazione. Purtroppo la condanna diventa sentenza, e la mobilitazione si fa internazionale. Le sue foto e le immagini della madre e delle sorelle che perorano la sua causa finiscono su tutti i giornali e le televisioni, sui social e negli occhi di tutti.
Ciononostante, il 25 ottobre 2014 all’età di 26 anni, viene impiccata; ovvero la famiglia del defunto Sarbandi nella figura del figlio maggiore, fisicamente attua la sentenza e non le concede la grazia come previsto dalla legge iraniana.
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Il miglio verde di Reyhaneh Jabbari
Seven winters in Tehran è una storia di perseveranza e perdono. La voce di Reyhaneh apre il documentario e si confida per quell’ultima telefonata prima dell’impiccagione. Nella registrazione grattata, possiamo tuttavia riconoscere una schiacciante sicurezza malgrado la morte così vicina. La regista Steffi Niederzoll si adopera in una precisa ricostruzione della vicenda assurda che ha condotto una ragazza di diciannove anni a diventare vittima ingiusta e simbolo della disumanità in Iran.
Seven winters in Tehran infatti potrebbe anche essere considerato un documentario sul martirio di Reyhaneh: con la sua forza impossibile da mettere a tacere, ha aperto gli occhi del mondo intero sulle gravi ingiustizie che le donne subiscono in Iran.
Emarginate, abusate, ignorate, assoggettate non solo al sesso maschile ma a tutto un sistema distorto e ossessionato. Una distopia tristemente reale, che a dieci anni di distanza sappiamo bene non essere migliorata.
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Una naturale inclinazione all’eroismo
Il lavoro di Steffi Niederzoll diventa quindi una curatela di testimonianze definitive, da immortalare: composte come un’opera unica, e poi regalate alla storia con dovuto rispetto.
Si tratta inoltre di un incoraggiamento a non mollare la battaglia e il supporto offerto alle altre donne nelle carceri iraniane, dal trio composto dalla madre e dalle sorelle di Reyhaneh. Sono loro infatti a mantenere viva ed estendere la battaglia e la naturale inclinazione all’eroismo di Reyhaneh.
Non necessariamente verseremo lacrime. In fondo questa storia non è scritta per un finale lacrimevole. Questa storia nasce direttamente dalla vitalità di Reyhaneh, e per questo guarda oltre, dai germogli nati dalle ceneri del suo corpo non rispettato e innaffiati con l’ardore della giustizia a cui ha voluto votarsi. È più probabile quindi uscirne attivati, arrabbiati, e sinceramente motivati a supportare la causa che trascende i confini e abbraccia le donne e le loro sofferenze, ovunque esse siano.