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‘L’uomo sulla strada’ – La recensione

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L’uomo sulla strada è il secondo lungometraggio del regista italiano Gianluca Mangiasciutti. Il film è stato proiettato in anteprima al festival romano Alice nella città il 15 ottobre 2022 ed è stato distribuito nelle sale cinematografiche italiane il 7 dicembre seguente, incassando al box office 161mila euro.

Il cast include ottimi nomi del contemporaneo panorama cinematografico: Aurora Giovinazzo (già protagonista e stella lucente di Freaks Out e Anni da cane), Lorenzo Richelmy e Astrid Casali. Tra gli altri attori, più noti e professionalmente affermati, troviamo Eugenio Gradabosco, Giancarlo Judica Cordiglia e Marit Nissen.

Prodotto e distribuito dalla Eagle Pictures, il soggetto del film ha vinto nel 2010 il Premio Solinas-Storie per il cinema. È attualmente fruibile sulla piattaforma Prime Video.

L’uomo sulla strada La trama

Irene (Aurora Giovinazzo) ha soltanto otto anni quando suo padre viene investito e ucciso da un’auto. La povera piccola, che era andata con il genitore a raccogliere funghi nel bosco, arriva in tempo solo per vedere di sfuggita e confusamente il volto del pirata della strada, protetto dal riflesso degli alberi sul finestrino della macchina.

Questo evento la segna irrimediabilmente. A diciotto anni anni è un’adolescente piena di rabbia e in conflitto con chiunque le giri attorno. Squalificata dopo aver aggredito una ragazza a una gara di nuoto, apparentemente l’unica sua vera salvezza e passione, Irene decide di chiudere con tutto e tutti: lascia la scuola, prende il primo autobus disponibile e va a rifugiarsi da sua zia, a trenta kilometri dalla casa natale.

Lì decide di trovarsi un lavoro in una fabbrica, che si scoprirà essere posseduta e gestita da Michele (Lorenzo Richelmy), proprio l’uomo che dieci anni prima aveva investito e ucciso suo padre. Una situazione inaspettata e piena di suspense diventa per entrambi i personaggi l’occasione per affrontare il passato, traumatico e ineluttabile.

L’uomo sulla strada – Dal soggetto alla sceneggiatura…Qualcosa è cambiato

L’idea di base è sicuramente avvincente, curiosa e in parte vicina a un altro grande titolo uscito nel lontano 2004, L’uomo senza sonno. Si dimostra dunque un’occasione ghiottissima per affrontare metaforicamente alcuni temi piuttosto attuali e per costruire personaggi complessi e sfumati. Ma durante la stesura della sceneggiatura, firmata da Serena Cervoni e Mariano Di Nardo, qualcosa sembrerebbe essere andato storto.

La trama è fondamentalmente semplice e non ha buchi narrativi, ma sicuramente lascia adito a parecchie domande: prima fra tutte è il motivo di così tanti personaggi. La storia segue fondamentalmente Irene e Michele, facce di una stessa medaglia, ma introduce lungo la narrazione tantissime figure che vengono appena abbozzate con l’intento, forse, di  trovare a tutti i costi delle giustificazioni o edulcorare un film potenzialmente asciutto.

Sentieri narrativi inesplorati

Se si dovesse trovare a tutti i costi una risposta adeguata e che supporti tale scelta, allora si potrebbe pensare che tutti questi “schizzi” siano necessari a creare non un’ambiente ma un’atmosfera, che sia rivelatrice e che dia a Irene fin da subito, e costantemente, segnali di estraneità, di scelta sbagliata e inadatta a lei. Tuttavia, una tale giustificazione non risolve il problema dei numerosi sentieri narrativi inesplorati che ci si spianano davanti.

Una conseguenza di questa decisione è aver sacrificato parzialmente la ricerca approfondita sui due protagonisti, sulle loro storie personali e su quei lunghi dieci anni che si sono messi alle spalle dal momento dell’incidente. La vicenda diventa dunque un nucleo coerente e comprensibile di concetti e significati solo se la si considera nell’hic et nunc della narrazione, nel presente ossessivo e reiterato di questo trauma insuperabile, rendendo perciò incomprensibili alcuni passaggi e alcuni risultati caratteriali e motivazionali di entrambi i personaggi.

A favore del film va sicuramente annotata la splendida recitazione di Aurora Giovinazzo e Lorenzo Richelmy, abilissimi a indossare i panni di Irene e Michele, mostrando tanta versatilità. Tutti e due si compensano in maniera equilibrata e profonda, restituendo molta sostanza e passione ad alcuni cruciali momenti della narrazione, che avrebbero altrimenti reso il film macchiettistico e spoglio.

Note di regia

Mangiasciutti ha compiuto un lavoro di ordinaria amministrazione, dando equilibrio e schiettezza a una storia, come già detto, essenziale e a tratti stilizzata. Da evidenziare nel dettaglio, gli intensi campo-controcampo, da cui viene facilmente alla luce tutto il tormento interiore dei personaggi e la gestione dei loro rapporti di potere, cognitivo e affettivo.

È inoltre abbastanza evidente il lavoro sulla messa a fuoco dell’inquadratura, che la maggior parte delle volte estranea i protagonisti della vicenda dal loro contesto, trasformandoli in punti fermi e irrinunciabili dello sguardo e garantendo a quest’ultimo anche una piena comprensibilità delle relazioni interpersonali.

Possiamo dunque parlare di un thriller psicologico forse troppo ambizioso, ma che si vede con estrema serenità e con tanto interesse poiché si mette totalmente al servizio dello spettatore e dove primeggiano le atmosfere livide, austere, e il tormento interiore dei protagonisti.

 

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