Bolzano Film Festival

‘The Hamlet Syndrome’: essere o non essere in Ucraina

Lo spettacolo teatrale ispirato all’Amleto di Shakespeare ed alle sue scelte, diventa strumento autonarrativo per un gruppo di giovani combattenti ucraini.

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“Essere, o non essere, questo è il problema. È più nobile per l’anima tollerare i colpi dell’ingiusta fortuna, o impugnare le armi contro un mare di dolori e, affrontandoli, por loro fine? Morire, dormire, null’altro”.  Così, con la recitazione dei primi versi del famoso monologo dell’Amleto, inizia il docu-film The Hamlet Syndrome, girato in Ucraina e diretto dai registi polacchi Elwira Niewiera e Piotr Rosołowski: dopo l’anteprima mondiale al Krakow Film Festival e la vittoria del Grand Prix alla Semaine de la Critique del Locarno Film Festival, l’opera giunge in Italia selezionata al Bolzano Film Festival, dove sarà proiettata sabato 22 e domenica 23 aprile in anteprima italiana. The Hamlet Syndrome è stato prodotto dalla tedesca Kundschafter Filmproduktion gmbh e dalla società polacca Balapolis.

La guerra e le sue rovine, i traumi individuali e collettivi, sono raccontati, nel corso di un laboratorio teatrale auto-narrativo, dai cinque protagonisti, giovani donne e uomini che hanno creduto nell’esperienza combattente, partecipando a vario titolo alla Rivoluzione di Maidan del 2014, pagando un prezzo personale molto alto – imprigionati, torturati, stuprati, lesionati dalle bombe, traumatizzati – e si interrogano sul palco, gli uni con gli altri, sull’eterno dilemma esistenziale: ‘essere o non essere’, ‘fare, non fare’, riflettendo sulla reale utilità della guerra, su concetti come la responsabilità, la libertà, i valori patriottici. La conclusione, per alcuni di loro, è quella di non avere mai realmente avuto la possibilità di scegliere. E, nel febbraio 2022, di nuovo la guerra, l’invasione, il riaccendersi del dilemma.

The Hamlet Syndrome: se e come tornare a vivere.

Uno stage in cui si raccontano i traumi vissuti durante la guerra dalla cosiddetta generazione di Maidan, cioè la prima generazione nata dopo il crollo dell’Unione Sovietica e segnata dalle trasformazioni politiche e dalle guerre, prima la Rivoluzione del 2014 poi la guerra, disastrosa e ancora attuale, nell’Ucraina dell’Est.

Simbolicamente riuniti in uno spazio ‘neutrale’, il teatro di un presumibile centro sociale, i cinque protagonisti, sollecitati dalla direzione maieutica della regista, raccontano a turno, prima di tutto a se stessi (la parola rende vivo e reale il ricordo, per alcuni ancora indicibile) e poi ai compagni presenti, le tragedie vissute a causa della guerra o durante la guerra, la perdita degli ideali e delle speranze, la crisi profonda di un’identità patriottica, in ragione della quale l’eroismo sembra perdere di significato e di senso, rispetto alle sofferenze di un popolo e delle singole persone.

Si parla di ‘allenamento psicologico’, con funzione in parte terapeutica, un modo per aprire le proprie ferite e guardarci dentro, col supporto di un gruppo con esperienze analoghe, per condividere un recente passato che impedisce di tornare a una vita normale. L’espressione artistica è libera, c’è chi si racconta con la danza, riproducendo i gesti del dramma, con le grida o con la parola, esplicita ma frammentata, senza svelare tutto l’orrore, o più criptica, ponderata, una parola che racconta di scelte obbligate, prodotte da una pistola puntata alla tempia o da situazioni limite, aggravate poi dal senso di colpa. Durante le prove teatrali la comunicazione non verbale e il racconto s’intrecciano con la massima spontaneità, guidati dalla regista nei momenti più intensi, carichi di emotività repressa e finalmente liberata. Ma col rispetto di non andare mai oltre quello che i cinque protagonisti possono e vogliono raccontare.

“Girando questo film avevamo principalmente due intenzioni – raccontano Elwira Niewiera e Piotr Rosołowski – la prima era quella di attirare l’attenzione sul conflitto in corso, e la seconda, più generale, era di mostrare cosa significhi essere in guerra, quali disastri la guerra lasci dietro di sé e quanto sia difficile tornare alla propria vita. I nostri protagonisti sono l’esempio che possono volerci anni per ricostruire una vita normale. Quando stavamo girando, il conflitto era limitato all’area del Donbass e le persone potevano scegliere se partecipare o meno, se interessarsene o meno. Era più comodo, per così dire. Allora, la vita a Kiev sembrava abbastanza normale. I nostri protagonisti sono stati contrassegnati dal conflitto in modo diverso, ad esempio l’esperienza di Oxana è stata molto più ‘leggera’ rispetto a quella di altre persone. E, naturalmente, ci sono persone come Slavik, che saranno segnate per sempre da quello che hanno passato.”

Quali cause, quali guerre, ‘partire, non partire’

La partenza per il fronte di alcuni dei giovani protagonisti è legata anche ai rapporti difficili con le famiglie ed alcuni di loro sono partiti per la guerra senza il consenso o senza avvertire i genitori: una mamma scopre l’identità di combattente della figlia dalla televisione, un’altra non ha mai accettato l’omosessualità del figlio e lo ha, di fatto, allontanato da sé. Ma il laboratorio teatrale, e lo spettacolo che ne consegue, con una messa in scena di grande effetto, favoriranno, con cautela, il riavvicinamento di genitori e figli, facilitando le relazioni sfilacciate.

“Mi piacerebbe usare Amleto per capire per che cosa stiamo combattendo oggi – afferma la regista teatrale nel film – quando diciamo ‘essere o non essere, fare o non fare, fare un compromesso’. Per che cosa tutto questo?” – “Sono Amleto perché sono femminista; Sono Amleto perché vengo dal Donbass”, così rispondono i giovani evidenziando, come il personaggio più famoso di Shakespeare restituisca il dolore e lo smarrimento di tante persone diverse.

Prima della guerra i protagonisti avevano battaglie differenti da combattere: Oxana quella femminista, Rodion il superamento delle ‘diversità’ di genere e l’appartenenza alla comunità LGBT, ma le cause personali si sono fermate con la guerra. La violenza e il dolore di quanto vissuto al fronte, e la drammatica domanda su ‘cosa sia giusto fare’ hanno avuto una risposta: dopo l’invasione russa dell’Ucraina del 24.2.2022, Katya, Slavik e Roman si sono nuovamente arruolati nei ranghi dell’esercito ucraino, mentre Oxana è emigrata in Polonia ed organizza aiuti umanitari e Rodion ha partecipato cucendo le uniformi militari.

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