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Interviews

Intervista a Rocco Papaleo e Lucio Pellegrini

Marco Pellegrino intervista Rocco Papaleo e Lucio Pellegrini, regista di “È nata una star?”

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Nel confronto-scontro tra Lucia e Fausto risulta evidente non solo una collisione tra gender, ma in particolar modo tra diverse culture regionali: lui meridionale, lei settentrionale.

LUCIO PELLEGRINI (L.P.)

Sì, abbiamo cercato di raccontare due caratteri che avessero una reazione divergente rispetto allo stesso trauma, quindi ovviamente il personaggio di Lucia risulta più fedele alle caratteristiche progressiste e nordiche di quello descritto da Hornby, mentre il padre tende a rielaborare il problema con un atteggiamento più latino, ancorato ad una forma di perbenismo a tratti piccolo-borghese. Ma è proprio lo scontro a riavvicinarli, a permettergli di ricominciare a comunicare.

Rocco, Luciana diceva che il tema delle dimensioni sembra essere solo un cruccio degli uomini, in fondo non risulta così importante. Il tuo commento?

ROCCO PAPALEO (R.P.)

Dovremmo parlare del pene della donna, delle doti di una donna che a noi uomini piace guardare per la sua bellezza, per la sua sensualità o ascoltare per le sue capacità dialettiche. Io privilegio la donna che mi piace ascoltare e spero che per tutti sia così. Alla fine l’orgasmo dura quei pochi secondi e dopo si consuma. Quindi cosa facciamo nel letto? La cosa più importante è avere la possibilità di uno scambio, la possibilità di parlare, perchè in fondo la vita gira tutt’intorno alle chiacchiere. Il sesso, sia in questo film, che in generale nella vita, è un semplice passatempo, un pretesto per arrivare ad altro, a cose più importanti, il dialogo, la possibilità di aprirsi, di essere in contatto con le persone che ti sono vicine. Il film gioca col sesso per affrontare una questione più centrale, l’incapacità di comunicare.

L.P.

La cosa interessante del racconto è che questo pretesto sessuale, che inizialmente ci serve a raccontare le problematiche di una famiglia comune, diventa poi un ulteriore pretesto per affrontare la questione della vita di coppia, il ritorno al desiderio di complicità, di comunicabilità. Insomma, dalla questione di un figlio superdotato la storia prende una strada completamente diversa e arriva a percorrere un racconto umano.

Rocco, essendo padre come affronteresti la questione?

R.P.

Non so come mi comporterei. Io del resto un film porno lo farei, come regista e come attore. Ma in ogni caso non so come reagirei alla notizia di mio figlio porno-divo. Reagirei istintivamente. Mi sento diverso dal personaggio del film, il quale comunque rimane intrappolato in un moralismo piccolo-borghese, spaventato dalla situazione, ma allo stesso tempo consolato da un certo orgoglio maschilista che gli fa preferire un figlio superdotato ad un figlio omosessuale. Io Rocco, invece, mi sento diverso. Mio figlio mi va bene in qualunque modo sia.

Ma avere un pene di grandi dimensioni è o non è un talento?

R.P.

È un talento se ne sai fare buon uso, come in tutte le cose. Ad esempio, se tu hai una bella voce e canti benissimo, ma fai delle canzoni di merda, allora…Certo, con un grosso pene non vedo che altro uso si possa fare. Io, onestamente, ho altri talenti.

Non è comune in Italia adattare best-seller stranieri alle caratteristiche nostrane?

L.P.

Sono molto affezionato alla narrazione di Hornby, alla sua luminosità, brillantezza, ironia. Io ho cercato di rimanere molto fedele al libro, molte scene sono prese direttamente dal romanzo. Invece abbiamo cercato di sviluppare un aspetto latino del carattere di Rocco-Fausto, che nel libro ovviamente non c’era, cercando sempre di non far appassire i toni delicati della narrazione di Hornby, molto personale e autentica.

A proposito della questione della “incomunicabilità” di cui si è detto, alla fine del film sembra che ci sia una sorta di stallo, per poi ripartire con un ulteriore difficoltà da metabolizzare.

L.P.

La scelta di chiudere con un finale aperto ci è servita per sollecitare altre tematiche, che al di là della capacità di due genitori di metabolizzare la consapevolezza di un figlio superdotato, sfociano poi in una situazione diversa, forse maggiormente drammatica, quella di un figlio che non ha fatto per un’unica volta l’attore porno, ma che probabilmente perseguirà con tenacia la carriera di porno-divo.

Rocco, quanto ti sei divertito in quella scena in cui balli con la ragazza semi-nuda, sulle note di Mina?

R.P.

Mi sono divertito molto, non lo nego. Mi sembrava una bella occasione per toccare delle corde un po’ spinte, cercando di scaricare la tensione e l’imbarazzo della scena. Abbiamo riso, prendendoci un po’ in giro. Si è instaurata una relazione speciale che è servita a dare alla scena una tonalità leggera, surreale e divertente.

Aver deciso di trasporre un romanzo straniero e di un’autore così celebre riuscirà a facilitare la distribuzione di questo film anche all’estero?

L.P.

È prematuro rispondere. Abbiamo finito il film da pochissimo. Sicuramente ci aspettiamo delle facilitazioni. Il problema è che la commedia incontra sempre difficoltà di esportazione. Nello specifico della commedia italiana contemporanea, il problema dell’esportazione è legato alle caratteristiche di un genere estremamente farsesco, poco compatibile con l’umorismo dei paesi stranieri. In questo film abbiamo cercato di abbandonare la farsa, a favore di una comicità asciutta e realistica.

A cura di Marco Pellegrino

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