“Pornhub non è un sito porno ma una scena del crimine”.
Questa è una delle prime frasi del documentario Money Shot, diretto da Suzanne Hill, disponibile su Netflix, che proprio come in una scena del crimine cerca di indagare attraverso prove e testimonianze la storia di uno dei siti più influenti e redditizi degli ultimi anni: Pornhub.
Se tutto nel mondo era sesso per Oscar Wilde, oggi tutto nel mondo è porno, ed entrambi sono potere. Questo è il focus di Money Shot. Una disamina dell’impatto sociale che il sito ha avuto nell’immaginario comune diventando un nome noto in grado di modificare anche le diverse definizioni del sesso.
Pornhub: come ha avuto questo potere?
La società nacque per limitare gli impulsi umani, spesso istintivi e carnali. Ma se invece di limitarli o cancellarli, venissero soddisfatti attraverso la vendita di fantasie categorizzate, impacchettate e consigliate attraverso un attento e sofisticato algoritmo? Con una luce fredda e senza veli: questo è Pornhub.
A spogliarsi è anche la forma di questo documentario, che censura e perde ogni fascinazione lasciando spazio solo a una vicenda grigia e senza passione, mettendo in primo piano le vicende legali che hanno rischiato di minare la solidità economica di questo colosso finanziario.
Mindgeek nel 2010 acquistò Pornhub aggiungendo banner pubblicitari, la possibilità alle performer sessuali di lavorare caricando video a pagamento sul sito senza dover dipendere dalle case di produzione e i download.
Un’ultima aggiunta però fu critica, ossia quella di permettere a chiunque non richiedesse un compenso di caricare video senza verifica.
Pornhub: Nessun giudizio morale o etico
Se fino a quel momento il porno rappresentava una vendita legalizzata in grado di soddisfare le pulsioni umane, la possibilità a chiunque di condividerle ha messo in luce come potessero essere anche molto pericolose, poiché sul sito vennero caricati video di atti non consensuali, revenge porn e pedopornografia.
Da questo momento in poi Suzanne Hillinger punta l’obiettivo sugli scontri legali e politici lasciando parlare tutte le parti coinvolte dalle performer innocenti alle vittime di abusi, senza esprimere un giudizio etico o morale e senza dare una direzione allo spettatore.
In Money Shot c’è chi parla del porno come di un lavoro di ufficio, noioso e senza colori, chi invece ci ha trovato non solo un lavoro ma di fatto una salvezza o un modo per esprimersi; chi, al contrario, solo sofferenza.
Lo screentime a disposizione degli intervistati non permette mai un reale approfondimento delle loro storie e delle loro motivazioni, un’indagine fatta di nozioni e accenni a quelle che sono vicende spesso delicate e che meriterebbero più spazio e approfondimento. Proprio come il racconto dell’unica vittima chiamata a parlare, con la quale l’empatia non viene costruita attraverso la messa in scena, costantemente piatta ed edulcorata, ma solo per via della gravità della violenza subita.
Sono tante le informazioni elencate ma sono troppe quelle lasciate in superficie. Come se la censura nel film delle immagini esplicite ci fosse stata anche nella narrazione che appare purtroppo approssimativa.