‘Goutte d’Or’, al Rendez-Vous arriva lo spiritista senza spirito di comunità
Il secondo lungo di Clément Cogitore, presentato al Festival del nuovo cinema francese di Roma, è un inafferrabile e prezioso thriller dei sobborghi dalle movenze mistiche e dall'anima sociale, con uno straordinario Karim Leklou
È un film notturno, prezioso come una gemma nera, il secondo lungometraggio del francese Clément Cogitore. Goutte d’Or – nella versione internazionale Sons of Ramses – approda al Rendez Vous, il Festival del Nuovo Cinema Francese di Roma. Ed è un appuntamento da non perdere. Curioso mélange di dramma poliziesco, convenzionale thriller da banlieu, anticonvenzionale ritratto di comunità e sfuggente racconto esoterico, si può dire che il film incarni la personalità poliedrica e l’approccio originale del proprio autore. Cogitore, già premiato nel 2016 dai Sindacato Francese dei Critici Cinematografici per l’esordio con l’inusuale film di guerra Ni le ciel ni la terre, è anche abile documentarista, regista di corti, videoartista multiforme. In ogni caso: un affabulatore. Goutte d’Or, storia di un medium ciarlatano invischiato nella ricerca di un disperso, è l’ultima illusione del cineasta: un mirabile gioco di enigmi, sospeso tra caccia all’uomo e fascinosa caccia al significato.
Il trailer di Goutte d’Or
La trama di Goutte d’Or
Dalla Semaine de la Critique del 75° Festival di Cannes. Goutte d’Or, Parigi: l’area della classe operaia del nord della metropoli, nota per il suo mix di popolazioni, in particolare nordafricane, sub-sahariane e asiatiche. Dopo un prologo che mostra delle scavatrici in un cantiere di notte, il film decolla con una sequenza prolungata e rituale. Una signora di mezza età viene ricevuta da Ramses (Karim Leklou), medium locale conteso dagli abitanti del quartiere e contestato dai colleghi rivali (anche loro ciarlatani) a cui ha rovinato la piazza.
Nel bel mezzo di una perfetta recita medianica, il presunto chiromante è costretto a interrompere la performance: qualcuno ha fatto irruzione nel suo appartamento. Ramses teme sia una banda di veggenti rivali, ma scoprirà che si tratta di un pugno di ragazzotti arrivati da Tangeri. Eludendo il fermo della polizia, terrorizzano da giorni la comunità locale. Uno di loro ruba l’amuleto che Ramses ha ricevuto dal suo anziano padre, un mistico un po’ stralunato. Quando il ladro scompare, la banda minaccia Ramses: visto che è un mago, lo ritrovi. Strano a dirsi: il medium farlocco ci riesce. Chissà che non fosse poi così farlocco. E ora la banda lo segue.
L’alchimista dell’oro
Goutte d’Or è una famosa via del popolare quartiere di Barbès, la cui diversità è riprodotta dal casting multietnico e dalla babele linguistica del film: francese, arabo, le varie lingue africane, la darija dei ragazzi (o arabo marocchino). Una scena riproduce perfettamente il mosaico di culture: quando i santoni del quartiere cosmpolita si riuniscono per contestare a Ramses di aver preso possesso di tutte e loro fette di mercato. Ognuno reclama la sua utenza, squadernando il campionario delle provienienze: senegalesi, maliani, congolesi, togolesi, indiani, srilankesi, pakistani, francesi, turisti, ecc. Ma Goutte d’Or è anche l’amuleto di Ramses, poi sottratto dal ragazzo di Tangeri, ben intonato all’esoterismo egiziano evocato dal nome del protagonista.
Goutte d’Or, Ramses (Karim Leklou) durante una delle sue sedute
Ebbene, la seduzione incantatrice del film di Cogitore è proprio nella fluidità con cui il film si muove tra queste due dimensioni: fisica e metafisica. Da un lato, con autenticità, se non documentaria, quantomeno dardenniana, c’è tutta la concretezza dei marciapiedi, delle scale antincendio, dei parcheggi, delle serrande; favorita, perlatro, dalla collaborazione alla sceneggiatura di Thomas Bidegain, già apprezzato per la verità infusa ai film di Jacques Audiard. Dall’altro, c’è la magia sottile, anche furfantesca, delle formule bisbigliate a mezza voce, del medium che sussurra a morti che non vede, delle maledizioni apparenti e delle visioni al crepuscolo nella palette verdastra del direttore della fotografia Sylvain Verdet. È un’alchimia cinematografica bella e buona: l’asfalto diventa oro, la realtà si fa surrealtà.
Ritratto di comunità dall’interno
In un certo senso, lo sposalizio diabolico tra queste due anime del film – quella sociale e viva, con quella mistica e allucinata – è data dal fatto che la comunità non è concepita semplicemente come un insieme di persone in lotta per la sopravvivenza. Se così fosse, a proposito di Jacques Audiard, avremmo avuto in Cogitore solo un altro figlioccio del regista di Dheepane di Les Olympiades, impegnato nell’ennesima variante del film di sobborgo. O ancora, avremmo a catalogo solo un altro affresco a tinte fosche – e vibrazioni thrilling – di miserabili che sbarcano il lunario, anche violentemente: tipo l’osannato Les Misérablesdi Ladji Ly. E invece, Goutte d’Or è un film lunare, fatto di umori e atmosfere. Comunità è anche un’entità spirituale, alla faccia degli spiriti fake che il medium finge di evocare. Ramses ha violato i taciti accordi territoriali stabiliti con gli altri spiritisti, monopolizzando il proprio malaffare. Così facendo, ha tradito lo spirito di corpo della comunità:
Tutti mangiavano a sazietà. Sei arrivato e hai mangiato tutto, non abbiamo più niente.
Il traditore
Ramses ha rinnegato l’eredità del padre, di cui ha rilevato l’attività, finendo per spillare soldi ai poveri diavoli della zona. Il suo teatrino di sedute spiritiche è implicitamente classista: i veggenti rivali vengono superati a causa del digital divide. Ramses, infatti, prende informazioni sui propri clienti tra pc e app di smartphone: come fare l’imbroglione di ultima generazione. Ma al padre, il figlio non appare tanto smart: sembra, piuttosto, un diavolo. La perdita dell’amuleto – di cui il padre si dispera – è la perdita della protezione, dell’innocenza benedetta. È la maledizione che colpisce il traditore. Suggestivo, ma anche potentemente simbolico, il fatto che il padre citi Shakespeare dicendo: “tutti i demoni sono qui”. E che per aprire il cancello al figlio, pretenda uno scambio di “frasi d’ordine”:
Quando la porta è chiusa, il diavolo scompare – Rispondo al diavolo nella lingua del diavolo – Chi viene con te? – Nessuno, solo ombre passeggere.
Quanto è facile dire maudit a Parigi.
Bande à part
Tra la maledizione sociale di migranti ed emarginati, e quella esistenziale e personale di chi ha tradito tanto la comunità quanto la famiglia, ecco che Goutte d’Ortrova la magnifica congiuntura nel proprio protagonista. L’animista, così animoso verso il quartiere e animalesco nella lotta imprenditoriale, diventa suo malgrado una sorta di capo-banda dei ragazzi di Tangeri. Nella propria interpretazione di Ramses, Karim Leklou si conferma tra gli attori più convincenti della scena cinematografica francese (Il mondo è tuo, Bac Nord, Playground). Il suo è un carisma arruffato, spigoloso, persino sorprendentemente vulnerabile. Difficile, per lo spettatore, non rimanerne affascinati; fin troppo facile definirlo l’amuleto prezioso del film.
Goutte d’Or, Ramses (Karim Leklou, a destra) si confronta con uno dei ragazzi della banda (Jawad Outouia)
Bellissima, però, anche la vivacità di questi garçons del Marocco, ragazzi selvaggi bulli e fragili, con cui Ramses scoprirà di avere più di qualcosa in comune. In quella banda di ragazzi vede il primo riflesso di un senso della comunità, di una responsabilità verso gli altri che superi l’individualismo. Sono loro che fanno l’alchimia: lo liberano dal sortilegio dell’egoismo. E sono l’oro di un film che sgocciola tensione, sensibilità, spiritualità. La notte parigina di Goutte d’Or è cinema che risplende nel buio.
Goutte d'Or
Anno: 2022
Durata: 98'
Distribuzione: Diaphana Films
Genere: Drammatico, thriller
Nazionalita: Francia
Regia: Clément Cogitore
Vuoi mettere in gioco le tue competenze di marketing e data analysis? Il tuo momento è adesso!
Candidati per entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi Drivers