Remember di Lee Il-hyung (A violent prosecutor) è un film drammatico che ha esordito in Corea del Sud ad ottobre e presentato in Italia al Florence Korea Film Fest.
Il film è il remake di una pellicola del 2015 dal titolo omonimo diretta da Atom Egoyan e interpretato da Christopher Plummer, che in quel contesto si confronta come superstite di Aushwitz con i propri aguzzini.
Remember è interpretato da Lee Sung-min (Rinato ricco) e Nam Joo-hyuk (Venticinque ventuno) ed è una interessante riflessione sulle implicazioni che la memoria ha, sul finire della propria esistenza, nei confronti del senso di colpa e del perdono.
There is no future for people stuck in the past
Remember, la trama
Pil-joo (Lee Sung-min) è un energetico ottantenne, medagliato veterano della guerra. Quando sua moglie viene a mancare, decide di lasciare il lavoro e sistemare una “questione” che aveva in sospeso da lungo tempo. Per farlo, convince un giovane collega ventenne, In-kyu (Nam Joo-hyuk), a portarlo in giro per la città per una settimana nelle varie tappe della sua missione, in una fiammante Porsche.
Già dopo la prima tappa, In-kyu scopre che in realtà Pil-joo ha in mente un elaborato piano di vendetta di cinque aguzzini che hanno ucciso o indotto al suicidio i suoi famigliari, ai tempi dell’occupazione giapponese. Tra le memorie di Pil-joo offuscate dall’Alzheimer, si menzionano i grandi problemi dell’occupazione giapponese: dal conflitto bellico alle comfort women, dalla repressione culturale allo sfruttamento dello risorse.
E sul finire, si riflette sull’importanza di portare alla luce la verità, e di conciliare le colpe con il perdono.
La questione giapponese
È difficilissimo mettersi nei panni del risentimento (nelle sue più svariate gradazioni) che nasce da aver avuto un paese colonizzatore, un popolo diverso, che ha frantumato la tua famiglia. È un tema largamente esplorato in Corea, logorante, e che ancora adesso suscita accese reazioni. La vendetta di Pil-joo in Remember è, dal suo puto di vista, necessaria.
È interessante come la seconda delle sue vittime, difenda invece proprio il diritto all’oblio della storia e il ruolo dei giapponesi. Sulla falsa riga dei sostenitori odierni del movimento fascista, che puntano il dito alle bonifiche, le migliorie, gli ammodernamenti compiuti nel ventennio. Che le strade e le ferrovie che il Giappone ha importato in Corea possano essere considerate un “carbon offset” per annullare il male, è un punto delicato.
La sequenza in cui, a montaggio alterno, i due aguzzini spiegano le ragioni delle proprie scelte è davvero efficace. In questo la scrittura di Lee Il-hyung si dimostra puntuale e profonda, tanto da stimolare sincero turbamento ad empatia nello spettatore. Per quanto si sappia che esiste un giusto ed uno sbagliato, non è possibile prendere una parte: in tempo di guerra anche i santi diventano peccatori e sopravvivere a questo orrore è una nuova guerra a sé stante.
Only goal was to survive.
Esiste certo un antagonista, perché la storia lo richiede; ma sarebbe piuttosto la Storia con cui ce la dovremmo prendere realmente.
La memoria
Il conto alla rovescia a cui Pil-joo si sottopone ci interroga sul valore della memoria: perché è lui, con la sua pistola puntata in faccia, a strappare la verità dalle bocche dei veterani. Remember, prima che i ricordi lo abbandonino per sempre, seppellendo nella malattia anche le colpe.
Ma davvero si vorrebbe che Pil-joo si fermasse? I sentimenti sono conflittuali. È l’abilità della scrittura coreana di far oscillare il bene e il male, una listella pericolosamente instabile in questi revenge movie così popolari ed acclamati. Ma se le categorie di mescolano, allora la giustizia è altrettanto personale, e diventa un terreno minato. Flebile, così come la memoria.
La struttura quasi solida della sceneggiatura, si prende qualche licenza per arrivare ad uno scioglimento del finale che purtroppo risulta non eccellente, malgrado l’interpretazione e la chimica tra i due protagonisti. Lee Sung-min esperto nel ruolo dell’anziano, e Nam Joo-hyuk, veramente efficace quale ragazzo preso e inghiottito dalla situazione incredibile, incomprensibile, più grande di lui.
Su tutto aleggia lo spettro di una malattia degenerativa che trascina nella nebbia la dignità di quest’uomo, che resta in vita più per resistere agli altri che a se stesso.