Interviews
Il Bergamo Film Meeting nelle parole del suo direttore, Angelo Signorelli
Published
2 anni agoon
Si è conclusa, dopo nove giorni di meraviglie cinefile, la quarantunesima edizione del Bergamo Film Meeting. Per farne un bilancio, abbiamo intervistato il suo storico direttore, Angelo Signorelli.
Qual è la specificità di un festival come il Bergamo Film Meeting?
La specificità è quella, in primo luogo, di far conoscere un cinema che non si vede normalmente nella distribuzione, sia attraverso personali su autori ancora in attività sia attraverso i film dei concorsi, quelli di fiction e quelli della sezione Visti da vicino, dedicata alla produzione documentaristica. Europe Now è la retrospettiva in cui proiettiamo film che magari sono anche arrivati in Italia, ma tanti anni fa e in un numero bassissimo di copie che, quindi, pochi sono riusciti a vedere. È una rassegna soprattutto pensata per un pubblico di giovani, molti dei quali neanche sanno chi sono questi registi o autori come Jerzy Stuhr, che forse qui in Italia è più conosciuto per i film recitati con Nanni Moretti che per la sua straordinaria carriera di attore, sin dagli anni Settanta, o di regista, anche di teatro. La nostra idea di festival è sempre stata quella di fare proposte dense di significato, con percorsi conoscitivi molto forti.
Quanto è complicato organizzare un festival come questo?
Non è troppo complicato se c’è una squadra di persone che sa fare il suo mestiere. E, ormai, i miei collaboratori, insieme a me, sanno dove trovare i film e i contatti con gli aventi diritti. Anche la scelta di queste retrospettive dalla forte coscienza cinematografica è collegiale. Il nostro è un vero lavoro di gruppo, ci troviamo tutte le settimane, abbiamo un giorno fisso, e discutiamo di cosa ci piacerebbe fare. Adesso ci fermeremo per riposare e valutare più a freddo questa edizione appena conclusa, ma poi, immediatamente, cominceremo a pensare alla prossima. Noi abbiamo anche delle attività extra festival, a cui lavoriamo insieme durante tutto l’anno.
Non sarà certo facile, però, mettere insieme cortometraggi, lungometraggi, documentari e retrospettive di questo livello.
Non è facile, certo, ma la nostra mentalità, quella che ho cercato anche di trasmettere ai collaboratori che si sono succeduti, è quella di non arrendersi mai, di insistere. Se uno vuole portare un film al Bergamo Film Meeting deve lavorarci assiduamente, perché ci arrivi, alla fine. Certamente, poi, ce ne sono alcuni che sono più facili di altri.
Non solo i film, anche gli autori, fisicamente.
Certo, anche gli autori fisicamente. Quello dipende un po’ dagli impegni che hanno. Quest’anno, per esempio, abbiamo dovuto rinunciare a due o tre autori, che non ti rivelo, perché li teniamo per l’anno prossimo, per il quale abbiamo già una lista di massima. Non dico che il programma è già fatto, ma al 50% percorreremo delle strade già tentate e non riuscite per questa edizione.
Che bilancio puoi fare di questa quarantunesima edizione?
Quella dell’anno scorso è stata l’edizione subito dopo la pandemia di covid e ha avuto molte difficoltà, soprattutto i primi giorni, poi, via via, la gente ha cominciato a vincere un po’ di paure. Quest’anno è ancora leggermente continuata questa reticenza del pubblico e questo fenomeno rispecchia anche quello che sta succedendo quotidianamente nelle sale cinematografiche. Il cinema d’essai è quello che sta soffrendo più di tutti, con dei crolli di partecipazione intorno al 40-50%. Però, proprio quest’anno, ho notato che si sta ricostruendo lo spirito tipico del Bergamo Film Meeting, la voglia di andare e vedere i film insieme, parlarne, discuterne. Il desiderio di condividere nove giorni d’intenso consumo cinematografico.
A questo festival davvero non manca il pubblico, a differenza di tanti altri. Soprattutto un pubblico giovane.
Sì, noi su questa fascia di pubblico insistiamo e investiamo molto. Anche durante l’anno li stimoliamo con alcune rassegne, anche di cinema all’aperto, con alcuni classici del cinema, un’attenta proposta di film in pellicola in un’altra area della città, lo Schermo Bianco. Durante l’inverno, insomma, li teniamo un po’ in caldo e queste proposte sono frequentate soprattutto da giovani.
E questo lascia ben sperare.
Sì, è molto positivo riuscire ad attirare giovani che abbiano voglia di vedere i film del passato sul grande schermo, conquistarli al loro fascino. Ci sono anche persone probabilmente abituate a vedere film su uno schermo piccolo, talvolta piccolissimo, come può essere quello del cellulare, ma, quando poi fanno il primo passo, si abituano anche ad altre dimensioni di visione.
Quali sono i momenti che più porterai dentro di te di questa edizione del Bergamo Film Meeting?
Io porto sempre dentro di me, soprattutto, il ricordo delle persone che ospitiamo. Quest’anno la regista di animazione Michaela Pavlátová, poi Jerzy Stuhr, Jaco Van Dormael e Ursula Meyer. Tutte persone che hanno dato molto al festival, anche in termini di riflessioni sul cinema. Poi si sono pure dimostrati simpatici e disponibili. Ecco, questo è soprattutto il ricordo che rimane dentro di me, un ricordo molto forte. Poi la grande felicità di vedere la gente che torna a stare insieme per vedere un film. Sono come porte che cominciano a riaprirsi, piano piano, dopo quello che è successo negli ultimi anni.
Ho visto sale sempre piene.
Sì, però c’è tanta gente che ha ancora delle remore, anche se devo dire che quest’anno mi sembra ci sia stato un certo ricambio, come hai detto tu, stia arrivando una nuova generazione di giovani. Questo forse un po’ è dovuto anche al fatto che, per il festival, lavorano tanti ragazzi giovani e, poi, tra loro ci sono degli scambi, che portano qui persone che, magari, al cinema non vanno molto. Succede che, una volta che cominciano a seguire le nostre proposte, si affezionano e, così, si crea quel clima che è proprio del Bergamo Film Meeting.
Dove si trovano proposte cinematografiche di grandissimo spessore.
Noi facciamo delle proposte coraggiose, come, quest’anno, anche con l’omaggio a Kira Muratova. Però pure a quelle, man mano, il pubblico si è affezionato, anche se sono autori che non conosce quasi nessuno. Stamattina, per esempio, al film della Muratova c’era un pubblico veramente numeroso e io pensavo che, magari, via via un po’ di gente sarebbe uscita dalla sala, invece, alla fine della proiezione, erano ancora tutti lì, contenti, perché poi gli spettatori capiscono che c’è anche un cinema diverso, rispetto a quello che vedono di solito; diverso per tante cose, però intenso, ricco di spunti di lettura, di riflessione, di pensiero, questa credo sia la soddisfazione più bella per uno che organizza un festival. Quando l’altra sera abbiamo presentato Toto le héros con Jaco Van Dormael eravamo oltre le 22:30 e il regista stesso, sul palco, ha detto: «Ma che ci fate tutti qua a quest’ora?». La sala era pienissima e probabilmente neanche lui è così abituato a questo tipo di accoglienza. Ma è stato lo stesso per Ursula Meyer. Jerzy Stuhr è rimasto realmente commosso dal calore con cui la gente lo ha accolto. È una forma di interesse e rispetto che negli anni gli spettatori hanno sviluppato qui. Le persone aspettano gli incontri con gli autori, fanno domande, li vedi che li fermano per strada. Capiscono che è una dimensione molto personale, familiare, non ci si pone il problema di andare a chiedere qualcosa a Stuhr o fargli i complimenti. La stessa cosa è successa con Van Dormael e con tutti quelli che vengono. Così accadeva anche in passato e siamo davvero contenti del fatto che questa dimensione, che mi sta molto a cuore, si stia di nuovo riproponendo.
C’è anche il coraggio di non puntare sui classici nomi di richiamo.
No, quello a noi non è che interessi molto e siamo contenti che il pubblico sposi la nostra proposta. Questo ci fa di nuovo pensare che, negli anni futuri, il festival abbia ancora un senso di esistere.
Che prospettive vedi per le prossime edizioni del Bergamo Film Meeting?
Ci saranno dei cambiamenti anche nel gruppo dirigente. Ho deciso, dopo tanti anni di conduzione, di dare maggiore responsabilità a chi lavora con me tutto l’anno. Noi abbiamo sempre avuto questa politica: trovare persone che si formino e crescano all’interno della struttura e facciano funzioni che, solitamente, nei festival vengono commissionate a esterni. Per quel che è possibile, il Bergamo Film Meeting ha una sua autonomia come organizzazione e risorse umane.
Tu sei alla guida di questo festival dall’inizio, da quarantuno anni…
Sì, adesso è anche ora di cedere un po’. Per questo ho deciso di lasciare alle mie due collaboratrici, Fiammetta Girola e Annamaria Materazzini, la direzione del festival a partire dalla prossima edizione.
Com’è cambiato nel tempo questo festival?
Sono cambiate tante cose perché è certamente mutata la realtà intorno. Il cinema si è trasformato con l’avvento del digitale. Se ripenso alle prime edizioni del festival, è mutata anche la struttura del Bergamo Film Meeting. Una volta si facevano le cose in pochissime persone e non c’era da stare attenti a certi aspetti che poi sono diventati importanti, soprattutto nella comunicazione. Da 10/15 anni abbiamo cambiato anche l’organizzazione del programma, abbiamo articolato più sezioni per accontentare fasce di pubblico diverso. Si è aggiunto anche il concorso. Tutte scelte che hanno portato a risultati positivi e hanno reso sempre vivo questo festival.
Nel tempo avrai veramente visto non solo il festival cambiare sotto la tua direzione, ma anche tutto il cinema.
Sì, è cambiato anche il consumo, chiamiamolo così, del film del passato. Abbiamo cominciato proprio noi, come Lab 80, a distribuire i classici. Adesso lo fanno in tanti, noi lo facevamo già quarant’anni fa, ai nostri esordi. Negli ultimi tempi, anche per mancanza di fondi, ci siamo un po’ limitati, in questo senso. Avevamo questa idea del classico del cinema, di creare dei percorsi legati a un genere o agli attori o a delle cinematografie geograficamente localizzate. Questi film giravano poi nelle varie città italiane. Molte di quelle copie che abbiamo ancora in pellicola le riproponiamo adesso nelle varie edizioni del festival. Sono un po’ il nostro patrimonio. Abbiamo sempre avuto questa idea di creare un legame forte tra il presente e il passato. Certo adesso il mondo è più vario, le produzioni tantissime e le risorse, invece, meno.
Anche fuori dalle retrospettive, le opere inedite in Italia proiettate per le due sezioni del concorso sono state molto apprezzate dal pubblico.
Sì, quest’anno il livello era davvero elevato, anche dei film nel concorso lungometraggi e documentari. Poi, a uno il singolo film può piacere di più o meno, ma ci sforziamo sempre di proporre al pubblico film di qualità che, probabilmente, non vedranno mai se non ci fosse il Bergamo Film Meeting.
Tanti bellissimi film che, poi, però, in effetti, non vengono distribuiti e si possono vedere solo nei festival.
Sì, imperano alcune case di distribuzione e poi tutto il resto è affidato a piccoli distributori che non hanno una grande forza e, naturalmente, non possono fare comunicazione in un certo modo. Parlare della distribuzione e dell’esercizio in Italia è, per me, un discorso anche doloroso. Ti fa incazzare, perché, se facessero un po’ diversamente, magari darebbero la possibilità anche alle piccole sale di sopravvivere, invece, queste chiudono, ma la cosa non interessa ai distributori. Per loro conta solo uscire nelle sale più grandi. Si sono formati dei veri e propri cartelli che mirano unicamente a far uscire determinati film dal grande incasso certo e, di tutto il resto, a loro non interessa niente. Questo va a scapito della possibilità, come accadeva una volta, di vedere film di qualità che garantivano anche la sopravvivenza di certe sale.
E pure di certi film.
Sì, tutto questo si è perso. Purtroppo, i film più belli non funzionano nella distribuzione come dovrebbero.