Akira compie trentacinque anni e in occasione del suo compleanno è tornato nelle sale il 14 e 15 marzo, come fece dieci anni orsono per il suo primo venticinquesimo anniversario.
Ora come un decennio fa, il film d’animazione cult di Katsuhiro Ōtomo torna nelle sale ad uso e consumo degli ex ragazzi che lo amarono alla follia sul finire degli anni ’80 e per mostrarsi eventualmente, non senza un coraggioso sprezzo del pericolo, alle nuove generazioni, piuttosto smaliziate e probabilmente in parte poco avvezze a calarsi nell’epoca in cui l’opera fu concepita.
Akira: di cosa parla il film di Ōtomo
L’epicentro della storia è un territorio urbano tutto cemento minato da attacchi di motociclisti teppisti.
Si tratta in primo luogo di ribelli, rivoltosi contrari a un regime di polizia che reprime ogni libertà e umana aspirazione, pretendendo uniformità di comportamenti e modi di pensare.
Un futuro condizionato dallo scoppio di una terza guerra mondiale, che ha modificato modi di vivere e compromesso libertà personali fino a pochi decenni prima date per scontate.
Intanto, tra uno scoppio e un altro, tra un attentato e un atto vandalico, santoni e spettri di uomini dagli occhi sbarrati predicano la venuta di Akira, presenza messianica dall’aspetto contrastante, raffigurato in dimensioni da bambino su tratti da anziano.
Un individuo apparentemente indifeso (ma in realtà dotato di immensi ed incontrollati poteri frutto di chissà quali esperimenti segreti ) racchiude in sé l’energia di tutto il tempo che è passato, fatta di scoperte, emozioni, sensazioni e progresso; ma anche cattiverie e orrori accumulati nel corso dell’esperienza umana sulla Terra.
Una maldestra compagnia di ragazzi motociclisti incontra questo esserino in fuga, braccato dalla polizia. Il membro più giovane della banda, Tetsuo, spesso ignorato o preso in giro dal branco, viene contaminato da questa forza misteriosa, divenendo una minaccia incontrollata.
Sarà compito di Kaneda, saggio seppur giovane capo banda, cercare di contrastare la malvagità che si è impossessata del suo amico e nello stesso tempo salvaguardarlo dalle misure marziali e repressive adottate dal governo e dai suoi aguzzini senza sentimento.
Akira – la recensione dell’anime più famoso
É necessario ammetterlo: Akira li dimostra tutti i suoi trentacinque anni.
Già dall’inizio, quando il giovane millennial che si avvicina per la prima volta ad affrontare in sala questo anime giapponese divenuto probabilmente un cult di un suo genitore, non potrà non constatare una certa rozzezza del disegno e la meccanicità impacciata del movimento dei personaggi.
Una circostanza che molto si scontra con la sconcertante naturalezza dell’animazione odierna, magari in 3D e dalla cura quasi maniacale per il dettaglio.
L’animazione dell’epoca dei padri, ovvero di chi è cresciuto ad Atlas Ufo Robot, Jeeg robot d’acciaio e Mazinga Z, ne sente ancora a tratti la mancanza, la nostalgia quasi struggente, memoria indelebile di un passato non lontanissimo, ma decisamente superato.
Anzi volato via, nel bene come nel male.
Tuttavia Akira, pur lungo e talvolta prolisso e poco chiaro, soprattutto nella seconda parte dove deve fare i conti con tutta una sotto-trama di complotti governativi e militari anche intriganti, ma difficilmente comprensibili appieno, è indubbiamente un prodotto adulto e maturo.
Un film che ci immerge in nella Tokyo post-apocalittica di un futuro che è ormai alle porte e che non era molto distante neppure a fine anni ’80.
Un anime da rivedere ogni decennio o da aggiornare alle sofisticate tecniche disponibili?
Un contesto post-apocalittico dove l’umanità sopravvive tra blocchi sovrapposti di cemento che mai come in questo caso possono apparire come una giungla metropolitana.
Rocambolesco, concitato e confusionario, erede di una cultura cyberpunk qui solo accennata, ma presente a tutti gli effetti, Akira affascina ancora, seppur a sprazzi.
É uno di quei casi in cui un eventuale remake tardivo, con le tecniche sofisticate odierne, potrebbe in effetti ridare smalto a una trama complessa e ridonare vigore ad una sceneggiatura che merita di essere abbinata al progresso che contraddistingue l’attuale presente.
Uno stratagemma utile per mettere la storia al servizio di effetti digitali moderni con grafiche sofisticate che più si addicano a rendere credibile il palcoscenico previsto dalla complessa storia alla base di questo cult.