In una delle commedie più crude e autobiografiche del cineasta newyorkese, i travagli della sua vita privata si mischiano nella sua Nouvelle Vague al divorzio e al lascito d’addio per Mia Farrow
Il 25° film di Woody Allen è l’ultimo con la sua ex moglie ed ex musa Mia Farrow prima del divorzio e dell’imminente scandalo da cui Allen uscì pulito ma perseguitato ancora oggi. L’opera, come la maggior parte dei film del regista di Annie Hall , è interamente ambientata a Manhattan, e per la prima volta non prodotta dallo storico studios della Metro-Goldwyn-Mayer ma dall’amico produttore Robert Greenhut e dalla TriStar Pictures. È disponibile su Chili.
Mariti e mogli: Estratto Scena
Tra il cast troviamo, oltre a Mia Farrow, un’altra attrice feticcio di Allen, Judy Davis, e il regista premio Oscar Sydney Pollack in uno dei ruoli principali. Nei ruoli secondari una giovanissima Juliette Lewis e Liam Neeson. Il film, ripreso dal direttore della fotografia Carlo Di Palma, qui nel doppio ruolo di operatore e direttore della fotografia, venne candidato nel ’93 per due Premi Oscar: miglior sceneggiatura originale e miglior attrice non protagonista per l’interpretazione di Judy Davis.
Scene di un divorzio
La coppia formata da Jack e Sally è alle prese con una separazione apparentemente pacifica, che insinua il dubbio nella stabilità matrimoniale degli amici Gabe, professore di letteratura, e Judy, editor di una rivista d’arte. Gabe e Judy riflettono sul loro matrimonio analizzando i rispettivi bisogni, aspirazioni e appetiti sessuali. Mentre Jack intraprende una relazione con la sua insegnante di aerobica e Sally con un avvenente amico di Judy, Gabe si avvicinerà alla sua studentessa Rain ammaliata dal suo fascino, mentre Judy diventerà sempre più gelosa del rapporto tra Michael e Sally. Due coppie e due destini diversi in cui gli alter ego di Allen/Farrow dovranno fare i conti con intrecci amorosi e melodrammatiche conseguenze.
Il giorno e la notte di Allen tra Bergman e Schopenhauer
Siamo in presenza di una delle pellicole più sottovalutate della filmografia di Allen. Un film spartiacque sia per il periodo meno fluente degli anni 90’ e sia come conclusione di una sodalizio molto prolifico con la Farrow, un cinema europeo made in Usa per certi versi derivativo e nel contempo originale. Con Maritie Mogli Allen sviluppa una trama intricata, prendendo massimo spunto dalle vicende personali del suo matrimonio prossimo alla fine, in un risultato complesso, culturalmente colto come tutte le opere di Woody Allen, e nella consueta attitudine di far sembrare incredibilmente comiche le complesse relazioni personali. I personaggi vivono, caratteristica di altre pellicole come Hannahele sue sorelle , un’infelicità coniugabile alla Schopenhauer. Se il filosofo tedesco teorizza le due infelicità che si incontrano, Allen prepara la terza infelicità dell’amore finito attraverso lo sforzo di un continuum romantico a cui i protagonisti non credono più. Con le dovute differenze.
Per la coppia Jack e Sally l’infelicità e l’impossibilità di rimanere single e di accoppiarsi con altri partner è la sperimentazione per ritornare al punto di partenza, dell’eterno ritorno dell’amore e del matrimonio come filo fragile della vita ma inviolabile. Invece i Roth preparano l’infelicità romantica come conseguenza di un dato di fatto che va solo smussato. Gabe lo fa con l’infatuazione per la studentessa Rain, interpretata da Juliette Lewis, Judy per l’amore nascosto e ricambiato a metà dal personaggio di Neeson. Il riferimento è Scena da un matrimonio del maestro svedese Ingmar Bergman, uno dei miti di Allen, ma come è consuetudine del cineasta newyorkese dinamiche e archetipi bergamiani sono affrontati dal suo agrodolce filmico attraverso una scrittura spigliata degli attori contorti del suo teatro: sconclusionati, indecisi, ribelli, lunatici e sempre sul precipizio della follia. Non solo. Allen, come suo solito, vuole dimostrare e dimostra di essere un grande mangiatore dei grandi classici che sa come adattare. Come in Amore e Guerra, sa inserire agevolmente poetica e citazioni di Dostoevskij e Tolstoj; mastica e rimastica la letteratura russa prendendo singole parole e riferimenti come un favoloso dessert , e inserendo bene il triangolo tra Michael, Judy e Sally similarmente a quanto fece Tolstoj in Anna Karenina.
Mariti e mogli: La solitudine, il figlio e le fobie di Judy/Mia
Chi conosce le vicissitudini Allen/Farrow, pienamente raccontate nelle memories del regista A proposito di niente, saprà bene quanto il desiderio di avere un figlio anche con una certa ostinazione sia stato tra le criticità dell’evoluzione del rapporto di Allen con la sua musa. Il cineasta non si risparmia neanche qui, e in linea con la maggior parte delle opere autobiografiche che hanno segnato la sua filmografia, mette il punto proprio su ciò. L’alter ego di Judy cerca in tutti i modi di combattere l’infelicità coniugale e la solitudine attraverso un figlio di cui Allen/Gabe non sente il bisogno, e che invece lei vuole con tutta se stessa per attaccarsi alle uniche motivazioni che legano l’alienazione della sua vita matrimoniale.
Il figlio riparatore accompagnerà i due per tutto il film come unico mezzo salvifico a problemi più grandi rispetto ad essere genitore. Gabe e Judy viaggiano in antitesi contrapponendo le loro visioni. L’alter ego di Allen, vedendo ormai impossibile la sua relazione con la studentessa Rain, cerca egli stesso di mettere una pezza alle falle con Judy concedendole il figlio tanto desiderato. Ma è quest’ultima a rendersi conto di come l’allargamento della famiglia abbia relegato il desiderio di una madre ad un oggetto, un prodotto di consumo anestetizzante di una relazione ormai arrivata alla data di scadenza.
Il distacco in Amore e l’eterno ritorno
Nell’opera di Allen troviamo un Bergman in Bergman e due destini matrimoniali tradotti in scene di un matrimonio e di una separazione. Perché mentre Gabe e Judy riproducono stesse rappresentazioni già viste nel regista newyorkese , affidandosi a caratterizzazioni che nel mondo alleniano sono molto frequenti ( il professore o scrittore mentore per la studentessa e la moglie insoddisfatta e alienata), è con la coppia Jake/Sally che Allen costruisce un film dentro un film. La Davis e Pollack nella loro disfunzionalità di non riuscire a starsi lontani, mettono in scena il cult bergamiano di Scene di un matrimonio rimanendo fedeli al travaglio di inquietudini, infelicità umorale e ritorno dell’amore, ribaltando la parabola romantica del maestro svedese. L’Amore è più forte del divorzio e dei problemi sessuali che la coppia continua a vivere ma sui quali è disposta a soprassedere. In questa vorticosa coazione a ripetere dell’Amore emerge ancora una volta la bravura di Judy Davis, una delle attrici feticcio di Allen forse più sottovalutate. Mette in scena la follia dell’innamorata, schietta con l’alter ego della Farrow, indecisa e distruttrice con se stessa, eternamente divisa tra insoddisfazione e difficoltà a voltare pagina oltre Jake.
Il lieto fine Mai
In Allen non vi è mai un lieto fine , per se stesso, ma per i personaggi che lo circondano. È una costante della sua scrittura e del suo modo di intendere e rappresentare la sua visione delle relazioni. Involuzione per lui ed evoluzione per gli altri. Lo fa descrivendo la sua storia con la Keaton tra passato e presente in Annie Hall , dà un finale incerto tra Isaac e Tracy in Manhattan, e destina la solitudine a Gabe. Tutti risolvono in qualche modo il loro essere soli e infelici tranne l’alter ego di Allen. Jake e Sally cedono al ritorno rimettendosi assieme, il Michael di Neeson un po’ controvoglia cede alla petulanza di Judy. Gabe invece, rendendosi conto dell’impossibilità della sua storia con la studentessa, svia la metodologia dell’amico Jake rinunciando ad alcun ritorno di fiamma con la moglie, e decidendo di uscire momentaneamente di gara.
La Nouvelle Vague alleniana
Uno tra i più grandi riferimenti di Allen dal punto di vista della grammatica cinematografica è il cinema francese e il movimento di Godard e Truffaut. Fa un ampio uso di jump cut, si avvale del montaggio ellittico nel segno di un realismo della messa in quadro frenetico, iper dinamico e a tratti violento che ritroveremo anche in altre pellicole come Harry a pezzi . Gira quasi totalmente in camera a mano tranne per i campi lunghi che fa in esterno, e usa zoom sui volti dei personaggi che tendono ad evidenziare i plot twist delle varie scene. Non rinuncia al finto docu e all’espediente dell’intervista come resoconto del punto emotivo dei protagonisti tra presente e passato. Si avvale infine nei dialoghi molto spesso del voice over e di insolite, per come ci ha abituato, riprese di quinta che molto spesso riguardano essenzialmente il personaggio di Gabe.
A proposito di Amore
MaritieMogli è una delle opere migliori di Woody Allen, un esempio di cinema verità in cui il regista newyorkese si spoglia ancora una volta delle sue inquietudini e dei suoi travagli personali per regalarci un’altra pagina, l’ennesima, di decostruzione della commedia romantica in un racconto melò e intimo tra il giorno e la notte.
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