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Conversation

‘Vera’ conversazione con Tizza Covi

Vincitore di due premi alla sezioni Orizzonti all'ultimo Festival di Venezia, Vera di Tizza Covi e Rainer Frimmel è il manifesto di una femminilità fuori dalle regole

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Vincitore dei premi come migliore attrice e miglior regia nella sezione Orizzonti della 79 Mostra del cinema di Venezia, Vera di Tizza Covi e Rainer Frimmel  è l’incontro con un personaggio che diventa persona. Del film abbiamo parlato con Tizza Covi

Vera è il film di Tizza Covi e Rainer Frimmel, distribuito nelle sale da Wanted.

Tizza Covi e il suo Vera

Il titolo del film fa riferimento al nome della protagonista, ma è anche una dichiarazione di intenti rispetto alle caratteristiche del vostro cinema.

Per Ėjzenštein il cinema non doveva cercare la realtà, ma la verità. Dunque, in un certo senso, è così, perché la prima è impossibile da cogliere nella sua totalità mentre la seconda riguarda quelle persone che normalmente non vedi nei film. Di queste si occupa la nostra ricerca, perciò hai ragione nel dire che per noi la verità è la cosa che conta veramente nel cinema.

In un certo senso Vera Gemma incarna il vostro modo di essere cinema, nel senso che lei potrebbe esserne un alter ego. Pur appartenendo di diritto al mondo della settima arte, anche lei, come voi, preferisce allontanarsene, andando alla ricerca della vita vera, quella in cui gli esseri umani contano più delle cose. La predisposizione verso il prossimo, l’interesse per le comunità più periferiche, l’importanza delle figure genitoriali e l’attenzione verso i più piccoli sono aspetti del suo carattere, essenziali anche nel vostro cinema.

Tu lo dici in un modo così bello che non saprei cosa aggiungere, se non che il fascino di Vera è di essere del tutto diversa da quello che ti aspetti. Ancora adesso, quando vengo a Roma e passo del tempo con lei, mi capita di parlare di cose leggere oppure di conversare di cinema e letteratura. Il suo essere diversa da come appare a prima vista è una cosa che ci accomuna. L’essere sottovalutati e per certi versi il non esistere a causa di una maniera di lavorare che rifugge le grandi produzioni e i grossi capitali è una condizione, la nostra, per molti versi, simile alla sua.

Noi cerchiamo a tutti i costi di realizzare il nostro cinema, quello che siamo in grado di fare: più piccolo dal punto di vista produttivo, ma alla ricerca di nuovi linguaggi. Per questo forse non siamo molto popolari. C’è chi non ci conosce per niente, ma anche chi ci segue da sempre. Lavoriamo al buio e, come Vera, ci troviamo ad avere un potenziale che nessuno vede o che non è accettato per la mancanza del networking necessario a far partire i progetti. Vera non chiederebbe mai favori per poter lavorare e così facciamo anche noi.

Il rapporto di Vera con il cinema

Il film lo testimonia con un racconto non certo lusinghiero dell’universo cinematografico, autoreferenziale e narcisista come lo sono i registi e gli autori con cui Vera entra in contatto: disposti a considerarla non come essere umano, ma in quanto strumento.

Se puntiamo volentieri il dito sulla società dobbiamo essere disposti a fare altrettanto nei confronti dell’ambiente in cui viviamo, un luogo sempre più egocentrico ed egoista. Abbiamo scelto di farlo con humor e molta autocritica, facendo vedere che non tutto quello di cui si parla è vera arte.

Peraltro il rapporto tra Vera e il cinema è molto complesso, fatto di luci e ombre a partire dal rapporto con la fama e la bellezza del suo celebre padre (Giuliano Gemma, ndr).

Questo film ci ha finalmente permesso di parlare un po’ di cinema perché, girando a Roma, a ogni angolo c’è qualcosa che te lo ricorda. Da parte nostra abbiamo cercato di metterne il più possibile. In una sequenza, poi tagliata al montaggio, Vera racconta a un’amica di quanto amava Sergio Leone e di come lui sia stato l’unico ad aver visto in lei qualcosa di speciale, al punto di prometterle un ruolo in uno dei suoi film successivi. Raccontavamo anche del suo fidanzamento con Enzo Citti e delle loro giornate in borgata passate nelle bische a giocare a carte. A tutte queste cose avevamo dedicato più di una scena che poi abbiamo tolto per evitare di far brillare Vera non di luce propria, ma un’altra volta per il tramite del cinema. Vera era un film in cui si parlava tantissimo di cinema: i tagli e le riduzioni sono dipesi dalla volontà di non allontanarci dalla base principale, dall’umanità e dell’umore della protagonista. Non volevamo farla risaltare per i suoi trascorsi o per gli incontri con personaggi importanti del suo mondo di provenienza.

L’essere umano nei film di Tizza Covi

D’altronde i vostri lavori privilegiano da sempre la centralità degli esseri umani.

Assolutamente sì, questo ci interessa più di ogni altra cosa.

Lo si vede anche dai movimenti di macchina, pensati sempre in funzione dei protagonisti e della realtà che li circonda. Come succede a Vera, anche voi vi mettete al servizio dei vostri interlocutori. Si potrebbe quasi dire che il vostro sia un cinema di servizio.

L’unico nostro talento è riuscire ad avvicinare la gente. Ci riusciamo perché siamo davvero interessati a loro. Quando abbiamo conosciuto Vera non ho pensato “ah, bene, ora faccio un bel film con lei!”. Prima l’ho dovuta conoscere e dopo circa quattro anni in cui mi sono anche dovuta confrontare con i miei pregiudizi mi è venuta l’idea di come avrei voluto raccontarla. Ho pensato che sarebbe stato bello dare un ruolo principale a una persona alla quale nessuno lo darebbe. La storia è partita da lì, ma per ritornare alla tua domanda, sì, è questo che ci interessa, avvicinarci agli esseri umani e mostrare una quotidianità che nel cinema si vede raramente.

La narrazione in Vera di Tizza Covi

Si può dire che con questo film fate un percorso opposto a quello più usuale per voi? In generale vi capita di prendere persone reali che in qualche maniera – e film dopo film – diventano personaggi. In Vera succede l’esatto opposto, perché qui prendete un personaggio, Vera Gemma, e la fate diventare una persona.

Questo è stupendo! Veramente filosofico! La tua considerazione mi piace tantissimo perché è vero, a un personaggio come lei bisognava togliere il di più per farla diventare di nuovo una non professionista. Avendo lavorato con Dario Argento e in numerose serie televisive, lei, a differenza degli altri protagonisti, conosceva come giocare con la cinepresa, per cui era necessario farla diventare di nuovo pura. Toglierle alla parte di sé che è frutto delle tecniche di recitazione. Comunque sì, hai completamente ragione!

Mi sembra che in Vera la struttura narrativa sia in qualche maniera più definita, meno aperta, pur in presenza di un certo impressionismo documentario, quello fatto di dialoghi estemporanei e di alcuna ricostruzione ambientale.

Il metodo è stato cambiato. In precedenza abbiamo sofferto tantissimo perché non potendo contare su una struttura importante è capitato di passare anche un anno al montaggio cercando di ricavare una storia dalle immagini che avevamo girato. Questa è la ragione per cui Vera ha una forma narrativa più precisa, tale da non dover cercare la storia in fase di editing. Detto questo, il metodo è sempre uguale: nessuno legge la sceneggiatura. Giriamo cronologicamente, tanto che la prima volta che Vera incontra Manuel e il padre è proprio il giorno in cui giriamo l’incidente. Questo per dire che si tratta di un processo in grado di darci la possibilità di cogliere emozioni e documentarle senza dover fornire agli attori indicazioni registiche. Non devo dire al bambino che deve avere paura quando vede per la prima volta Vera perché, non conoscendola, si sentirà comunque a disagio. Al contrario, con il passare dei giorni, la confidenza di Manuel è migliorata e lui ha lavorato davvero bene, grazie anche alla capacità di Vera di rapportarsi con i più giovani. Lei gli portava spesso dei regali e alla fine del film lui l’amava davvero, e questo lo abbiamo ripreso in maniera documentaria. Anche se si svolge all’interno di una fiction. Il nostro è un metodo di poca preparazione. Sul set, oltre a me e Rainer, c’è solo un’assistente alla regia, così siamo costretti a improvvisare molto, cercando di cogliere tutti i momenti importanti che ci vengono offerti. Tra questi anche quello di incontrare qualcuno per strada e chiedergli se può darci una mano. In tre non riusciamo a fare tutto.

Un gioco di specchi

A me pare che per la sceneggiatura abbiate tradotto in fatti e azioni alcuni aspetti del carattere di Vera e alcuni dettagli provenienti dalla sua biografia. Penso al rapporto tra Samuel e suo padre, in cui è possibile rivedere la complessità che a suo tempo era stata quella tra Vera e il suo genitore. Il tassista che l’accompagna a casa in realtà è l’attuale compagno dell’attrice e anche lui si ritrova a essere padre. Insomma il film è una sorta di gioco di specchi tra il personaggio e la persona.

Sì, questo per noi è molto importante, il frutto di una accurata preparazione. La scrittura è il risultato di tutto quello che so su Vera, come,  per esempio, che a casa sua l’ingrassare era più grave di essere dipendente dalla droga. Era una cosa che mi ripeteva spesso e io, come sceneggiatrice, mi sono chiesta dove potevo inserire questo pensiero, a cosa collegarlo all’interno del film. Nella mia scrittura riutilizzo tutto quello che la gente mi racconta Quello che c’è nella vita reale dei protagonisti è destinato a entrare nelle mie sceneggiature ancora prima di iniziare a scrivere perché io li conosco tutti molto tempo prima.

Pur essendo al presente, nel vostro cinema il tempo ha un’importanza capitale, essendo spesso il motore che vi porta a ritornare sulle vostre storie per capire che fine hanno fatto i personaggi. Il passato non è solo un tempo narrativo, ma anche affettivo. Prova ne è la presenza di Walter Saber, con voi fin dal primo film, e qui nella parte dell’autista di Vera. Senza considerare il peso che ha nella vita della protagonista attraverso la memoria del padre Giuliano.   

Siccome nel profondo del nostro cuore ci consideriamo dei documentaristi siamo anche molto partecipi e vogliamo conservare le storie: vogliamo conservare gli esseri umani, vogliamo conservare le cose del nostro cinema. Forse girare su super 16, ovvero con una pellicola che si preserva più a lungo del digitale, deriva proprio da questo. Ci farebbe molto piacere e sarebbe davvero bello che l’umanità e la bellezza di questi personaggi potessero in qualche modo sopravvivere; che qualcuno fra cent’anni possa ancora avere l’opportunità di incontrare Vera.

Il cinema di Tizza Covi

Parliamo del cinema che ti piace come regista e come spettatrice.

Io e Rainer amiamo entrambi il cinema neorealista italiano, sia come spettatori che come registi, però se devo parlare di un film che mi ha colpito tantissimo e che rivedo spessissimo dico Il buco di Jacques Becker. Come cineasta lui ha sempre fatto grandi film con grandi attori, poi a un certo punto ha deciso di cambiare, lavorando in famiglia, con tre, quattro persone. Ha girato il lungometraggio in una prigione dove ha ricreato la fuga di cinque detenuti. Sul set l’attore principale interpreta se stesso e c’è una scena dove loro spaccano il pavimento della cella. È una scena senza montaggio e tu per quattro/cinque minuti, vedi come si spacca il pavimento. Il buco è un’opera che non smetto mai di guardare: lo faccio vedere a tutti perché per me rappresenta l’essenza del cinema. Penso che gli attori abbiano un ruolo molto importante, e che alcuni film possono recitarli solo loro, ma vedere gente vera che interpreta se stessa mi fa una tenerezza e mi convince della storia in un modo che non trovo in nessun altro metodo.

Dedicato di Loredana Bertè e Che freddo fa di Nada oltre a essere canzoni molto belle sono anche il manifesto di una femminilità fuori dalla norma. Allo stesso modo in cui lo è Vera.

È vero. Abbiamo combattuto per averle perché la nostra è stata una scelta molto precisa e molto lunga. Una scelta femminista, fatta di donne che sono al di fuori del comune, ma anche una scelta di testa, perché se Loredana Bertè canta “Dedicato a chi ha paura e a chi sta nei guai, dedicato ai cattivi che poi così cattivi non sono mai” il suo significato diventa la premessa a quanto il film ci farà vedere. La fine, con Nada che canta Che Freddo fa, diventa una sorta di commento alla storia appena vista. Di solito, come sai, non utilizziamo una colonna sonora, ma in questo caso era importantissimo avere questo tipo di commento, soprattutto se firmato da due grandissime artiste.

Vera di Tizza Covi, Rainer Frimmel.

  • Anno: 2023
  • Durata: 115'
  • Distribuzione: Wanted
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Austria, Italia
  • Regia: Tizza Covi, Rainer Frimmel.
  • Data di uscita: 23-March-2023

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